MarioPasquale e Concetta

 
 

Iuccio, Gino e le galline

 
 

Operai alla Piana

 
 

Tina

 
 

Irene

 

 

Donna Rosina

 
 

Carretto frummintaru

 
 

Carrettu vinaloru

 
 

Carretto domenicale

 
 

 

 

 

 

 

 

Mettetevi comodi! E' la guerra!

Cap II La famiglia

La Piana è la grande e fertile pianura a Sud di Catania bagnata dal Simeto e dai suoi due affluenti Dittaino e Gornalunga, tutta coltivata a graminacee (frumento, segale, granturco, orzo, avena, farro, senape), legumi, ortaggi, agrumi, lino e cotone; è insomma un immenso terreno "a seminerio" destinato al commercio.

I Tedeschi hanno occupato alcune delle fattorie dei ricchi possidenti siciliani e hanno trasformato la Piana in una vera e propria base dell'aviazione. Hanno infatti creato le piste di atterraggio e di decollo per i loro piccoli aerei da caccia disponendo a terra lunghe file di pannelli di lamiera forata ondulata, lunghi all’incirca 10 metri e larghi 3.

L’azienda agricola di Biagio, il padre di Zina, si trova in località Contrada Malaventano e Passo Martino, a 4 km dalla stazione ferroviaria. La proprietà, acquistata nel 1920, è grande 24 salme (circa 86 ettari) e per girarla tutta c'è bisogno del calesse. A Sud confina col Gornalunga, un torrente che d'estate è completamente secco mentre d'inverno straripa. Biagio vi coltiva frumento, ortaggi, lino e cotone, avvalendosi di macchinari avanzati quali il trattore, l'aratro, la seminatrice, la mietitrice e la trebbiatrice. Vi tiene anche quattrocento galline, buoi, vacche, alcuni cavalli {tra cui quello nero del figlio Emanuele) e persino due pavoni. La casa colonica ha le stanze grandi e imbiancate, il pavimento di cemento a scacchi bianco e rosso, le cornici delle finestre in pietra lavica e le grate in ferro battuto. In tutto è composta da un soggiorno, tre cammiri 'i lettu, una cucina co' fucularu in muratura, un bagno e uno stanzino per i formaggi. Ha pochi mobili: un tavolo con delle sedie, una credenza, i letti e una toletta antica. Zina vi ha portato il suo pianoforte; Agata tiene un quadretto con la Madonna delle anime del Purgatorio sul canterano della camera sua e di Biagio con accanto un lumino acceso.

Sulla facciata di ponente è attaccato un grande Fascio di gesso imposto dal Regime. Alla casa si arriva tramite una carrata in terra battuta che sfocia in un grande spiazzo tutto contornato di oleandri bianchi, rossi e rosa. I contadini dormono nel pagghiaru, una capanna circolare col tetto di paglia e la base in legno e con sacchi di paglia disposti sulla piattaforma come materassi, dove saltano nugoli di pulci. Ogni gruppo di contadini viene a lavorare per quindici giorni e poi da' il cambio ad un altro. I giovanotti arrivano belli sbarbati e vanno via irriconoscibili! Tra questi ce n'è uno dalla voce particolarmente bella che ogni sera si mette a cantare "O violino zigano" e tutti stanno ad ascoltarlo.

Biagio ha sessantatre anni, è mediamente alto, coi baffi, di carnagione chiara. Ormai è canuto e assai stempiato, ma da bambino è stato biondo. Il celeste dei sui occhi è brillante e profondo, veramente particolare, e purtroppo nessuno dei suoi figli lo ha ereditato della sua stessa sfumatura. Biagio, o come lo chiamano in città Biasi, è un uomo distinto con un abbigliamento sempre impeccabile che rinuncia alla bombetta solo in campagna per un largo cappello di paglia. Biagio ha ben nove fratelli: Concetta (la maggiore, sposata con lo zio Mario Pasquale, padre di Luigi, marito di Zina), Rosaria, Luigi, Serafina (monaca di casa), Giuseppe, Antonino Emanuele, Palma Irene, Pasqualino (diacono morto giovane) e Santo (sacerdote). Sua moglie Agata invece ha tre sorelle: Giuseppina, che di mestiere fa la pantalonaia, si è sposata grande ed ha un figlio di nome Agostino, il quale vive a Roma, e Santa e Carmela, che al contrario sono schiette e vivono da sempre con lei e Biagio, aiutandola coi figli e nei lavori di casa. Santa, nella fattispecie, è molto brava nella gestione della casa, mentre Carmela in cucina e nei lavori a maglia. Santa qualche giorno prima è andata a trovare il cognato col treno, ma i Tedeschi hanno bloccato la zona e lei non è più potuta tornare. Per fortuna è un tipo spartano, che sa adattarsi a tutte le situazioni e non si spaventa facilmente; e comunque i Tedeschi non danno fastidio. Tutto al più vengono a domandarle qualche cipolla. Santa ha quarantotto anni.

Biagio e Agata sono sposati da trentotto anni ed hanno avuto ben dieci figli; tre di questi purtroppo sono morti in tenera età di gastroenterite, quando Agata non è riuscita ad allattarli ed è dovuta ricorrere al latte di asina, e sette sono in vita.

Mario, il maggiore, è il secondogenito. È di altezza media, robusto, biondo, con gli occhi celesti e dei bei lineamenti. Ha trentacinque anni ed è sposato con Sarina (sorella di Luigi). È diplomato all’Istituto Tecnico Commerciale “De Felice” e poi laureato in Economia e Commercio e ci tiene molto ad essere chiamato “u signurinu” e “u dutturi”. Così come tiene all’abbigliamento. Fino ad oggi non ha mai esercitato la professione avendo prima aiutato il padre a gestire la masseria alla Piana e poi avendone preso una tutta sua confinante con quella di Biagio, dove tiene molti cavalli e muli. Per montare il suo bellissimo cavallo bianco, si è fatto confezionare dei pantaloni alla cavallerizza, che indossa insieme agli stivali con gli speroni. Da qualche tempo la proprietà gli è stata occupata dai Tedeschi e così anche lui soggiorna lì, scendendo di tanto in tanto a Catania per trovare Sarina che, ha la sua stessa età, è mediamente alta e robusta, biondo-rossa di capelli e con gli occhi celesti. La ragazza, da signorina, ha preso lezioni private di pianoforte e francese e ogni mattina riceve la parrucchiera che le viene in casa per acconciarle le trecce a corona. I due sono sposati ormai da sei anni, ma non hanno avuto figli. Per questo, si affezionano facilmente ai figli dei parenti e dei contadini, specialmente se biondi, e spesso se li fanno lasciare a casa propria per qualche ora. Per Gino (figlio del fratello Luigi) poi Sarina ha una vera passione! In effetti il bambino si fa guardare, coi suoi boccoli biondi e il suo carattere vivace e impertinente. Sarina chiede spesso a Zina di mettergli il cappottino grigio e il berrettino blu, comprati alla "Casa del Bambino" di Via Etnea, e poi se lo porta a passeggio o dalle amiche!

Zina è la terzogenita. Porta lo stesso nome della sorellina primogenita, morta di pochi mesi. Anche lei ha preso lezioni di pianoforte e di francese; è bravissima a ricamare e a lavorare sia a maglia che ad uncinetto. Fino alla licenza media ha frequentato il collegio delle monache Benedettine di Via Crociferi, insieme alle figlie della Catania bene, dove oltre alle materie umanistiche, alle scienze e alla matematica si studia taglio e cucito, ricamo, musica, economia domestica. Poi aveva espresso il desiderio di continuare gli studi presso un istituto commerciale, ma il padre le aveva negato perentoriamente il permesso, adducendo come motivazione il fatto che la scuola fosse mista. Di indole riservata e schiva, tanto da essere dalle cugine definita aristocratica, Zina è al contempo molto generosa e disponibile nei confronti della famiglia e in particolare dei fratelli minori, dei quali è sempre disposta ad ascoltare le confidenze e a prendersi cura, confezionando maglioni e sciarpe. Per vicinanza d’età, prima di sposarsi, la ragazza ha trascorso molto tempo insieme al fratello Mario, andando con lui a teatro a seguire le Opere e al Lido della Stazione a fare i bagni.

Irene ha trent’anni ed è ancora schietta. È bassina e un po’ in carne come la madre Agata, ha castani sia gli occhi che i capelli ondulati, porta gli occhiali ed è una vera e propria fanatica dell’abito e dei gioielli! Rispetto a Zina, è meno disponibile in famiglia, preferendo impiegare il suo tempo a studiare pianoforte, nel quale è divenuta davvero maestra.

Emanuele ha ventotto anni, è sposato con Teresa ed abita in Via Galati. Di tutti i figli è forse il più bello con i suoi occhi celesti, la sua altezza e il suo portamento imponente. Da bambino portava i capelli lunghi e biondi ed era un vero spettacolo! È diplomato. Va anche lui a cavallo ed è sempre elegantissimo. Col suo carattere irascibile e un po’ prepotente, Emanuele è anche un tipo vanitoso, che ama farsi guardare, e ha sempre avuto la testa più alle ragazze che allo studio. Del resto queste lo scuncicano senza sosta!

Nino ha venticinque anni e sta facendo il militare a Macchia, una piccola frazione di Giarre (negli anni passati è stato a Tripoli e in Tunisia e infine a Palermo). Non è troppo alto, ha gli occhi azzurri ed ha frequentato l’industriale.

Pippo e Arturo sono i più piccoli di casa. Hanno rispettivamente ventidue e sedici anni.

Pippo è un tipo sportivo, ama andare in canoa e fare escursioni sull’Etna. Ha sempre avuto il mito della Germania, non sotto il profilo politico quanto sotto quello culturale e paesaggistico; per questo in passato ha preso lezioni di tedesco da un madrelingua che abitava sull’Etna, vicino all’Istituto di Vulcanologia, e ormai parla la lingua perfettamente. Ha inoltre frequentato la “Doich House”, un circolo culturale che ha sede in Piazza dei Martiri (il grandioso piazzale da cui inizia il cosiddetto “passiaturi” che porta fino alla stazione) nel quale ufficiali tedeschi e simpatizzanti si riunivano per discutere di letteratura, musica e pittura tedesca. Prendendo amicizia con questi tedeschi, è andato poi spesso ospite presso di loro in Germania. A Catania Pippo ha frequentato il liceo classico “Nicola Spedalieri”, poi si è iscritto alla Facoltà di Chimica, ma l’ha lasciata qualche tempo dopo per trasferirsi in Germania, dove ha svolto i lavori più svariati, compreso insegnare italiano. In Sicilia è tornato nel 1940, poco prima dello scoppio della guerra: era sceso per una vacanza, ma al precipitare degli eventi è rimasto.

Arturo invece sta studiando al Collegio Navale “Niccolò Tommaseo” di Brindisi, in questo frangente sfollato a Forte dei Marmi, con la prospettiva di andare poi  all’Accademia Navale di Livorno. Il suo sogno è infatti studiare “tecnica della navigazione e vascelli” e diventare Capitano di lungo corso e poi ammiraglio, perchè così pensa di poter servire la Patria. Da bambino, quando andava alle grandi adunate fasciste alla Villa Bellini con i familiari, a chi gli domandava come si chiamasse rispondeva "Arturo Balilla"! Il collegio navale di Brindisi prepara giovani allievi cadetti dai 6 ai 18 anni con i corsi di liceo classico e liceo scientifico e con una formazione paramilitare al pari di una accademia navale vera e propria; nella struttura ingegneristica vuole ricordare il ponte di comando di una nave ed è composto di vari padiglioni che si affacciano su un cortile interno, enorme, al cui centro si erge il gigantesco albero maestro di un veliero. Detto piazzale funge da area di ricreazione, di adunata e di esercitazione per gli allievi. Il primo anno di ginnasio per Arturo si era aperto nel settembre del ’40, all’età di tredici anni, e in quell’occasione il padre Biagio lo aveva accompagnato personalmente col treno. Arrivati al porto, poi i due avevano preferito prendere una piccola imbarcazione, anziché il tram,  che li aveva portati fino alla banchina dove sorgeva il collegio. Quell’anno il ragazzo era risultato essere il più piccolo dei nuovi iscritti ed era stato fatto “mascotte”. Sulla banchina del porto all’epoca era ben visibile la corazzata “Impero” ancora in fase di armamento. Dallo scoppio della guerra, gli inglesi si erano però resi conto ben presto che Brindisi era una ottima base di partenza per un’eventuale espansione italiana nei Balcani e così tra il 30 ottobre e il 31 dicembre 1940 la Royal Air Force aveva scaraventato sulla città ben 21 incursioni aeree con l’obiettivo di distruggere e le strutture difensive erette a difesa del porto (Arsenale) e la base navale dislocata all’interno del castello svevo. Ognuna di queste volte i responsabili del collegio navale avevano fatto sdraiare a terra gli allievi per schivare i colpi che entravano a furia dalle finestre. Nel gennaio del ’40, non apparendo più Brindisi sicura, personale ed iscritti erano stati infine trasferiti a Forte dei Marmi. Lo stabile qui è un enorme grattacielo di forma cilindrica con al centro una scala elicoidale. La vita militare non è per nulla facile, fatta com’è di continue prove fisiche, studio intensissimo, nonnismo, angherie e punizioni; ma Arturo, da ragazzino discolo e scapestrato quale era arrivato, è riuscito a diventare il “primo del corso” e dunque gode di alcuni privilegi, come per esempio l’essere esonerato dallo stare in fila, potersi alzare dal banco durante le ore di studio e dare ordini agli altri camerati. Tutte cose che egli comunque svolge con estrema diplomazia per non inimicarsi nessuno.

Mentre Zina parla al telefono con Agata, Luigi va a riprendere i figli Iuccio e Gino dalla madre, che abita in un’ala del suo stesso palazzo.

È Concetta. Una donna di media statura, robusta, castana con gli occhi verdi, purtroppo malata di cuore, di diabete e di gozzo, e che per questo, prima di ogni pasto, mastica sempre dei lupini amari ritenendo che regolarizzino l’azione della tiroide. Nel 1943 Concetta ha sessantacinque anni.

Luigi è il secondogenito di casa ed ha tre sorelle: Sarina, la maggiore, Zedda e Tina, le minori. L’unico fratello maschio, Mariuccio, nato dopo di lui, purtroppo era morto all’età di tre anni.

Sarina è sposata con Mario, fratello di Zina, ed è particolarmente brava nel fare calcoli, difatti è l’amministratrice di casa, tenendo quadernetti e rubriche per ogni tipo di spesa domestica e per la contabilità del negozio.

Zedda è sposata con Iano, e invece è molto brava nelle pulizie di casa, nel fare il bucato e nel riporlo nei cassetti, indicando su ciascuno il contenuto.

Solo Tina non è ancora maritata. Ha ventitre anni, è alta, robusta, castana con gli occhi celesti. Essendo la minore, è sempre stata un po’ viziata, sia dai genitori che dai fratelli più grandi; caratterialmente è vivace, irrequieta e capricciosa. Da bambina ha frequentato il Collegio delle Orsoline, in via delle Orsoline, vicino Piazza Dante, ma nemmeno la rigida educazione delle suore è riuscita a calmare il suo temperamento ribelle, tanto è vero che più di una volta era scappata dalle finestre del collegio per tornare a casa, finché, all’età di dodici anni, i genitori si erano rassegnati a non riportargliela più! Tina adora suonare il pianoforte e cantare e difatti, con la sua splendida voce, allieta i matrimoni nelle chiese vicino casa intonando romanze e arie famose. Altra sua passione sono gli animali, specialmente i cani e i gatti, coi quali parla, sicura di essere compresa. A differenza delle sorelle, Tina non ama molto stare in casa e preferisce aiutare il padre al negozio, dove riceve le attenzioni e la corte dei commessi, i quali, malgrado la ferrea sorveglianza di Mario Pasquale, non perdono occasione per sussurrarle paroline dolci e complimenti. Adesso che è rimasta l’unica in casa, è un po' depressa e non vede l’ora di sposarsi! Suo padre Mario Pasquale, su consiglio del medico, ogni domenica la porta al teatro, al varietà o al cinematografo Sangiorgi in Via di Sangiuliano per farla svagare, mentre sua madre Concetta si rifiuta di accompagnarli perchè si scannalìa delle scene dei baci e prega continuamente Sant’Antonino di farle trovare un buon marito! Magari un avvocato.

Il palazzo di famiglia sorge all’angolo tra la Via Plebiscito e la Via Mulino a Vento. Trenta anni addietro è stato acquistato da Mario Pasquale e dai suoi fratelli. Sulla Via Plebiscito è rimasto inalterato e ha al piano terra il negozio di rame e ferramenta di Mario Pasquale, alcune botteghe e case terrane in affitto (in una di queste ci vive Rosina, la ricamatrice, che ha confezionato i corredi di tutte le ragazze di famiglia, insieme alle altre sorelle anch’esse sarte, e in un’altra donna Mara, la lavandaia, mamma di Annetta e Pippa, che viene a fare il bucato un giorno da Concetta, un giorno da Sarina, un altro da Zedda e un altro ancora da Zina) e al primo piano l’appartamento di Mario Pasquale e Concetta, destinato a rimanere a Tina. Questo cosiddetto palazzo vecchio possiede anche un grande cortile, detto cortile Lanzafame, sul quale si aprono magazzini, botteghe e case terrane, date in affitto; in alcuni di questi depositi Mario tiene il grano e i legumi provenienti dalla masseria alla Piana.

Sulla Via Mulino a Vento invece il caseggiato è stato ristrutturato e ammodernato, divenendo più alto e più lussuoso, e quindi viene detto ‘u palazzu novu. Al piano terra ha anche questo botteghe e case terrane in affitto; mentre ai due piani superiori ha sei grandi appartamenti, tre per piano, che Mario Pasquale ha dato in dote, due per ciascuno, a Luigi, Sarina e Zedda, quando nel ‘36 i tre ragazzi si sono sposati, a breve distanza l’uno dall’altro. Al primo piano abitano Luigi e Zina; al secondo Sarina e Mario e Zedda e Iano e ciascuna di queste coppie li ha personalizzati con l’aggiunta di stucchi, marmi, gessi e affreschi. Gli altri tre appartamenti sono affittati. In uno di questi  abita un medico, il dottor Fichera. Il complesso edilizio è tanto grande che ospita ben ventiquattro famiglie in affitto.

Mario Pasquale è il penultimo di sei figli: Santo e Mariano, i maggiori, e Vincenza, Agata e Carmela. La storia dei sei fratelli era stata amara e difficile, essendo essi rimasti orfani del padre Luigi in tenera età. Solo Vincenza (la terzogenita) si era sposata giovane con un parente, probabilmente un cugino (tant’è vero che portava il suo stesso cognome) di nome Mario e che veniva da Noto, ma tutti gli altri, dovendo provvedere alla madre Rosaria e a loro stessi, si erano dovuti rimboccare le maniche e inventarsi un mestiere. All’epoca dei fatti la famiglia abitava in Via Camastra. Sembra provenisse da Paternò. Dei tre maschi, Mario Pasquale era quello con la mente più votata al commercio e all’imprenditoria e così, con Santo e Mariano, aveva iniziato col raccogliere rame vecchio e poi, piano piano, messo sù una fonderia di rame e di ottone nella quale produceva pentole, tegami, dischi per fare la pasta. Per incrementare gli introiti e fare conoscere l’esercizio anche fuori Catania, si andava anche a vendere i manufatti nelle fiere di paese. L’attività era talmente cresciuta e diventata redditizia che i cinque erano praticamente divenuti ricchi. E per prima cosa avevano acquistato i caseggiati di Via Plebiscito, dove si erano trasferiti. La ricchezza era tale che ogni anno i fratelli acquistavano nuove case e proprietà. Gli uomini lavoravano alacremente alla fonderia e le donne gestivano la casa. Erano persone di chiesa e devotissime, tanto da essere soprannominate “muzzicavisuli” (bacia pavimenti). A dimostrazione della loro fede e probabilmente anche per ringraziare il Cielo della benevolenza mostrata nei loro confronti, al piano terra del palazzo, su Via Plebiscito, avevano così fatto edificare un bellissimo altarino in onore di S. Agata, vergine e martire catanese di età romana, patrona della città, davanti al quale il 4 febbraio, durante la festa a lei dedicata, il fercolo della Santa si fermava e le candelore compivano i loro balli e le loro acrobazie. L’icona con l’effige della martire era stata opera del pittore Napoli, il più importante di Catania. Forse per l’affetto smisurato che li univa, per il legame divenuto indissolubile negli anni difficili dell’infanzia, o forse per non dover vedere disperso il patrimonio conquistato con dura fatica e sacrificio, i cinque fratelli non si erano mai voluti sposare per rimanere insieme. Solo Mario Pasquale, a quarant’anni, aveva ceduto alla corte della nipote Concetta (figlia primogenita della sorella Vincenza), più piccola di lui di quindici anni, e si era ammogliato. L’avvenimento aveva all’epoca non poco destabilizzato la famiglia e aveva richiesto un consulto generale dei fratelli, al termine del quale Santo, Mariano, Agata e Carmela avevano acconsentito alle nozze, convenendo che in fondo fosse anche giusto lasciare tutto il patrimonio agli eredi di uno di loro. Del resto non avvenne nessun distacco, giacché fu Concetta a venire ad abitare in Via Plebiscito, coi cognati, e non Mario Pasquale a lasciare i fratelli. Essendo parenti stretti, per potersi sposare, i due avevano dovuto richiedere la dispensa alla Santa Sede. Dei sei fratelli oggi, nel ’43, è rimasto in vita soltanto lui, Mario Pasquale. Ha ottant’anni. È un tipo altissimo e magro, con due lunghi baffi rivolti all’insù. Ha gli occhi celesti e da ragazzo è stato biondo, esattamente come i fratelli Santo e Mariano. Quando non lavora, Mario Pasquale sta chiuso nel salone a pregare e fumare. Caratterialmente è autoritario e severo, e pertanto incute soggezione solo a guardarlo, ma nell’animo è generoso e sensibile. Si toglie il pane di bocca per i figli e per i nipoti. Quando la Patria richiese agli italiani un aiuto materiale per mantenere i suoi figli al fronte, Mario Pasquale donò una gran quantità di articoli del suo negozio e sua moglie e le sue figlie si privarono di gioielli e anelli, perfino delle fedi nuziali.

Anche Biagio è nipote di Mario Pasquale, essendo egli il figlio secondogenito di Vincenza, e quindi un fratello di Concetta; ecco dunque perché Luigi e Zina sono cugini, esattamente come Sarina e Mario, ed ecco perché anche per i matrimoni di queste ultime due coppie si è dovuto interpellare la Santa Sede. Prima di diventare un ricco coltivatore diretto e acquistare la casa sul Teatro Greco, Biagio aveva cominciato lavorando alla fonderia con lo zio Mario Pasquale. Poi, poco prima o all’atto del matrimonio con Agata, si era messo in proprio, aprendo un negozio di ferramenta in Via Auteri, dove lo aiutavano la moglie e i figli maggiori ancora schietti Mario, Zina ed Emanuele. Grazie ai consistenti introiti Biagio aveva così potuto aiutare i fratelli Luigi e Giuseppe ad aprire un’attività simile alla sua per conto loro in Via Transito. Dopo aver acquistato la masseria alla Piana però era divenuto difficile seguire anche l’emporio, che così era stato chiuso. Sua moglie Agata invece era una provetta sarta e in una stanza dell’appartamento in Via Auteri aveva aperto un atelier di abiti da sera, in cui si faceva aiutare da circa otto ragazze. Una volta trasferitasi in Via Vittorio Emanuele però non aveva voluto continuare l’attività, preferendo dedicarsi all’educazione, agli studi e ai matrimoni dei figli maggiori che frattanto erano diventati adolescenti e alla crescita degli ultimi nati.

 

 
 

testi e foto di Daniela Pandolfo;

grafica di Lucia M.Izzo e Teresa Ducci