logo EROINE IN FUGA prind

 

Si mettono qui a confronto due eroine assai diverse per temperamento, ma accomunate dalla necessità di fuggire perchè inseguite.
Angelica, l'eroina dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, è una bellissima principessa che arriva dal lontano Catai a seguito del fratello Argalia, il quale la promette in sposa, come un oggetto, a chi riuscirà a batterlo in duello. Ma una serie di eventi fa sì che Angelica si trovi nell'intero poema da sola, a fuggire continuamente da una serie di cavalieri, cristiani o pagani, che la inseguono al puro scopo di possederla. Fuggire e tornare in patria è dunque il suo unico scopo, finché non troverà un uomo di cui innamorarsi davvero e lo sposerà.
Diversa è la figura di Erminia, principessa pagana innamorata di Tancredi, eroe cristiano che combatte sotto le mura di Gerusalemme assediata. Erminia non è donna di guerra, è timida e schiva, ma non esita a travestirsi per uscire dalla città di nascosto quando vede il suo amato ferito. Nel tentativo di raggiungerlo e curarlo, è sorpresa dai nemici e deve fuggire.
Sorprendenti le somiglianze tra i due testi - quello ariostesco e quello tassiano - che propongono la stessa scena.

LA FUGA

1.     La donna: spaventata, inerme, passiva

2.     Il cavallo: a briglia sciolta, sceglie lui la strada da percorrere

3.     La selva: intricata, ostile, selvaggia

4.     La direzione: caotica, casuale, sconosciuta

5. La durata della fuga: all’incirca un giorno e una notte

L. ARIOSTO, Orl. Fur. I T. TASSO, Ger. Lib. VI-VII
Nel primo canto dell’Orlando Furioso Angelica fugge per evitare i suoi pretendenti, cristiani o pagani che siano. Desiderata da tutti senza desiderare nessuno, la donna si sente perennemente braccata e fa della fuga, quasi sempre,  il suo unico modo di essere. La pagana Erminia, innamorata del cristiano Tancredi e sofferente per l’impossibilità di questo amore, viene sorpresa di notte da una pattuglia cristiana mentre cerca di raggiungerle di nascosto il suo amato. Non le resta che fuggire per non essere catturata.
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La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:

ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di sù di giù, ne l'alta selva fiera
tanto girò
, che venne a una riviera.
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Fugge tra selve spaventose e scure,
per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover de le frondi e di verzure,
che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
fatto le avea con subite paure
trovar di qua di là strani viaggi;
ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
35
Quel dì e la notte a mezzo l'altro giorno
s'andò aggirando, e non sapeva dove.
113
Fugge Erminia infelice, e ’l suo destriero
con prontissimo piede il suol calpesta.
1
Intanto Erminia infra l’ombrose piante
d’antica selva
dal cavallo è scòrta,
né piú governa il fren la man tremante,

e mezza quasi par tra viva e morta.
Per tante strade si raggira e tante
il corridor ch’in sua balia la porta,
ch’al fin da gli occhi altrui pur si dilegua,
ed è soverchio omai ch’altri la segua.
3
Fuggí tutta la notte, e tutto il giorno
errò senza consiglio e senza guida,

non udendo o vedendo altro d’intorno,
che le lagrime sue, che le sue strida.

LA SIMILITUDINE

1.     L’animale indifeso, femminile

2.     La precedente situazione di sicurezza e di pace

3.     L’arrivo imprevisto del predatore

5. La fuga concitata e spaventata
L. ARIOSTO, Orl. Fur. I T. TASSO, Ger. Lib. VI
Nella similitudine di rito, tesa a evidenziare la fragilità della donna e la sua eterna posizione di preda, Ariosto presenta una scena di natura: una bestia feroce che si procura il cibo secondo il suo istinto, inducendo chi sopravvive a fuggire da un luogo ritenuto fino a quel momento sicuro Tasso prospetta invece una vera e propria scena di caccia: l’animale predato, mentre tenta di dissetarsi a un corso d’acqua apparentemente tranquillo,  viene sorpreso dall’uomo. Ne sono testimonianza i cani, presenza tipica dell’arte venatoria umana. 
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Qual pargoletta o damma o capriuola,
che tra le fronde del natio boschetto
alla madre veduta abbia la gola
stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,
di selva in selva dal crudel s'invola,
e di paura trema e di sospetto:
ad ogni sterpo che passando tocca,
esser si crede all'empia fera in bocca

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Sí come cerva ch’assetata il passo
mova a cercar d’acque lucenti e vive,
ove un bel fonte distillar da un sasso
o vide un fiume tra frondose rive,

s’incontra i cani allor che ’l corpo lasso
ristorar crede a l’onde, a l’ombre estive,

volge indietro fuggendo, e la paura
la stanchezza obliar face e l’arsura;

IL RIPOSO NEL LOCUS AMOENUS

1.     La presenza dell’acqua, chiara, pulita e dolcemente mormorante

2.     La vegetazione ricca di erba fresca, alberelli e fiori

3.     L’aria leggera e soave, anche con gli uccellini che cantano

4.     Il sonno della donna nell’ambiente amico

L. ARIOSTO, Orl. Fur. I T. TASSO, Ger. Lib. VI
Il locus amoenus ariostesco, rispetto a quello tassiano, è assai più ricco di particolari ambientali, alcuni dei quali sono stati qui omessi; al poeta infatti interessa sostanzialmente l’aspetto estetico del quadro di natura, e non lo stato d’animo della donna. Anche Erminia dopo tanto vagabondare raggiunge un locus amoenus in cui troverà pace, ma la bellezza fisica del luogo, pur con i parametri classici, è ridotta all’osso: al poeta interessa assai di più dipingere lo stato d’animo di Erminia, tormentata dalla passione amorosa.
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Trovossi al fin in un boschetto adorno,
che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;
e rendea ad ascoltar dolce concento,
rotto tra picciol sassi, il correr lento.
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Quivi parendo a lei d'esser sicura
e lontana a Rinaldo mille miglia,
da la via stanca e da l'estiva arsura,
di riposare alquanto si consiglia:
tra' fiori smonta, e lascia alla pastura
andare il palafren senza la briglia;
e quel va errando intorno alle chiare onde,
che di fresca erba avean piene le sponde.
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Ecco non lungi un bel cespuglio vede
di prun fioriti e di vermiglie rose,

che de le liquide onde al specchio siede,
chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;[...]
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Dentro letto vi fan tenere erbette,
ch'invitano a posar chi s'appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette,
ivi si corca ed ivi s'addormenta
3
Ma ne l’ora che ’l sol dal carro adorno
scioglie i corsieri e in grembo al mar s’annida,
giunse del bel Giordano a le chiare acque
e scese in riva al fiume, e qui si giacque.
4
Cibo non prende già, ché de’ suoi mali
solo si pasce e sol di pianto ha sete;
ma ’l sonno, che de’ miseri mortali
è co ’l suo dolce oblio posa e quiete,
sopí co’ sensi i suoi dolori, e l’ali
dispiegò sovra lei placide e chete;
né però cessa Amor con varie forme
la sua pace turbar mentre ella dorme.
5
Non si destò fin che garrir gli augelli
non sentí lieti e salutar gli albori,

e mormorar il fiume e gli arboscelli,
e con l’onda scherzar l’aura e co i fiori.
Apre i languidi lumi e guarda quelli
alberghi solitari de’ pastori,
e parle voce udir tra l’acqua e i rami
ch’a i sospiri ed al pianto la richiami.

Angelica erminia
TESTI DI PAOLA LERZA IMMAGINI DI LUCIA MARIA IZZO