Radiografia e sinossi di una poesia:
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La sera del dì di festa
di Giacomo Leopardi
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a cura di Paola Lerza
TEMA TESTO CONFRONTI
IL NOTTURNO ROMANTICO LUNARE

Immagine di Lucia Maria Izzo


  
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi

Rara traluce la notturna lampa:


Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente
luna (Ultimo canto di Saffo, 1-2)

E tu
pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la
rischiari. (Alla Luna 4-5)

Che fai tu,
luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i
deserti; indi ti posi. (Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, 1-4)

Già tutta l'aria
imbruna,
Torna
azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da'
colli e da' tetti,
Al
biancheggiar della recente luna. (Il sabato del villaggio, 16-19)

Elementi comuni da notare: in giallo l'aggettivazione che insiste sulla staticità silenziosa dei paesaggi; in rosa le notazioni coloristiche e di luce; in bianco i verbi, anch'essi indicanti la stasi; in grassetto e sottolineati i termini-chiave dei brani presentati; infine, in corsivo sottolineato, i termini che indicano l'ambientazione naturale.
LA SOFFERENZA D'AMORE

Immagine di Lucia Maria Izzo

Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi

Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.


 

tu finor giammai quel che tu stessa
Inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
Che smisurato amor, che affanni intensi,
Che indicibili moti e che deliri
Movesti in me;
nè verrà tempo alcuno
Che tu l'intenda
(Aspasia, 61-67)

Elementi comuni da notare: in giallo i verbi - preceduti da negazione - riferiti alla donna ignara; in bianco le espressioni che indicano più propriamente la sofferenza d'amore del poeta, in forma di proposizione interrogativa indiretta.
IL SENSO DELL'ESCLUSIONE

Immagine di Lucia Maria Izzo

 

Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
    E l’antica natura onnipossente,

Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro

Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.

 

                                  Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo, (Il passero solitario, 36-37)
                                  Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l’empia
Sorte non fenno
. A’ tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo.
(Ultimo canto di Saffo, 19-27)

Elementi comuni da notare: in grassetto sottolineata l'immagine del poeta che solitario si affaccia sul mondo; evidenziata in bianco la negatività e l'esclusione del poeta da parte della sorte-natura; in giallo il focus sugli occhi, veicoli di uno stato doloroso.
IL GIORNO DI FESTA

Immagine di Lucia Maria Izzo

Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti

Piacquero a te:

 

 

Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
[...]
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
(Il passero solitario, 27-28 e 31-35)

Elementi comuni da notare: in grassetto sottolineata la dichiarazione del giorno di festa, in un caso già trascorso, nell'altro ancora in corso. E' una festa che coinvolge la gente comune ed esclude il poeta. Da notare, evidenziata in bianco, la reciprocità espressa dai verbi.
LA SOFFERENZA D'AMORE

Immagine di Gisella Malagodi


   
                        non io, non già ch’io speri,
Al pensier ti ricorro.


 

 

Dispera
L'ultima volta.
(A se stesso, 11-12)

Elementi comuni da notare: la sofferenza d'amore esclude la speranza (in grassetto sottolineato).
LA GIOVINEZZA PERDUTA

Immagine di  Lucia Maria Izzo


                                        
Intanto io chieggo

Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate!


 

 

A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
(Il passero solitario, 50-55)

Elementi comuni da notare: il pensiero negativo del futuro, che conduce a una visione negativa anche del presente.
GENTE E SUONI DI RECANATI

Immagine di  Lucia Maria Izzo


                                            

                                  Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,

Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;


E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba. (Il sabato del villaggio, 28-37)
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero. (La quiete dopo la tempesta, 11-18)
Elementi comuni da notare: il parco umano di Recanati, costituito da personaggi umili ritratti nella loro dimensione quotidiana, i quali spesso accompagnano laloro attività, di lavoro o di riposo, col suono (sia esso un canto, un fischio, un grido o semplicemente il rumore legato al mestiere)
IL POTERE DISTRUTTIVO DEL TEMPO

Immagine di  Lucia Maria Izzo


E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia.
Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
  Ogni umano accidente.
Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorìo
Che n’andò per la terra e l’oceàno?

Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e più di lor non si ragiona.

Onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte
, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
(La ginestra, 226-230)

Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato

Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
(Il sabato del villaggio, 38-42)

A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.

(La ginestra 106-110)
Elementi comuni da notare: l'opera distruttrice e annichilante del tempo che tutto travolge (evidenziata in bianco) è tanto più significativa in quanto è riferita a grandi civiltà storiche, e in particolare a quella dell'antica Roma (Ercolano e Pompei nella Ginestra; le espressioni sono in grassetto sottolineato). In questa riflessione, più generale, si inserisce quella sul tempo ciclico e inutile dell'uomo, evidenziata in giallo.
LA FINE DELLA SPERANZA

Immagine di  Lucia Maria Izzo


    Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,

Premea le piume;


 

 

Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
(A Silvia, 32-35)

Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita. (sabato, 43-47)

Elementi comuni da notare: in grassetto sottolineato, l'intensità della speranza coltivata durante la giovinezza (le espressioni relative sono evidenziate in giallo); le parole evidenziate in bianco esprimono invece la sofferenza che accompagna la fine della speranza.
IL SUONO CHE SI PROPAGA

Immagine di  Lucia Maria Izzo


                        
ed alla tarda notte

Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,

Già similmente mi stringeva il core.


 

 

D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
(Il passero solitario, 1-4)

Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
 (Il passero solitario, 29-31)

Elementi comuni da notare:  il suono protagonista - canto o rumore che sia, in grassetto sottolineato - si propaga attraverso un ambiente spaziale indeterminato : significativi la presenza ricorrente della preposizione per, l'uso dell'onomatopea (lontanando, rimbomba) e la reduplicazione (a poco a poco, di villa in villa)

a cura di Paola Lerza