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Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena e Parma
Scuola di Applicazione  - Diario 1934-1937 - di Giacomo Ferrera

 

I disegni che si trovano

in questa pagina sono stati

eseguiti dall'autore del testo

e rielaborati da Teresa Ducci, Gisella Malagodi,

Lucia Maria Izzo, Liliana Manconi

e Maria Concetta Pasquale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo X: Al Poligono di tiro (1934-36)

Quante lezioni di tiro abbiamo svolte! Mi limiterò a descrivere la prima e l'ultima, tralasciando tutte le altre svolte di massima nel fango dei dintorni di casa Busani, la dimora più famosa d'Italia. Per la verità, l'ultima lezione non ci fu e dirò il perché, ma parliamo della prima.

Siamo a Modena, in un pomeriggio dell'anno 1934: adunata in cortile, armati e con gli zaini affardellati. Attenti! Dal plotone di sinistra a sinistra in linea di fianco! Uno dopo l'altro i plotoni partono, mentre il Gallinaccio in testa a tutti procede a passo di carica: è già arrivato alla stazione ferroviaria quando l'ultimo plotone si è appena mosso. Egli supera celermente il cavalcavia, è già al poligono della Sacca e incomincia starnazzare, mentre il plotoni, secondo la regola dell'organetto, escono dalla stretta del cavalcavia e arrivano come possono. Qualche allievo inciampa e cade a immagine e somiglianza del bersagliere di Porta Pia, parecchi restano indietro, le formazioni sono scompaginate: scena da corsa al cannone, come alla battaglia di Marengo.

- Lèie si metta a poste! Cosa fanno gli ultime! De Lorenzis tenga bene quel fuccilo! De Anna, a poste con l'uniforme! Zaine e materialo a terra! Sotto i prime... caricato... fuoche...!!!

Molti di noi sanno sparare benissimo; tuttavia i primi colpi vanno per terra o contro la tettoia. Il Gallinaccio urla e non si avvede che dopo una corsa tipo battaglia di Goito i primi tiratori hanno ancora il fiato grosso e che come disse il poeta Giovenale, col fiato grosso si spara male. Guardo nello spiazzo gli zaini disposti in bell'ordine, pieni di ogni mercanzia: tanti teli da coprire tutte le bancarelle della fiera di Senigallia, montagne di calze, di coperte, di panni, di fazzoletti, di maglie, di mutande, di gavette... e cinghiette arrotolate, mi raccomando! Tutte cose indispensabili per eseguire il tiro. Alla sera, prima di addormentarmi, anziché pensare a quella bella ragazza che conducevo accogliere violette dietro la siepe, penso al mercante in fiera.

L'ultima lezione di tiro dovrebbe essere quella dell'estate 1936 a San Valentino, in alta Val Venosta; in realtà in tale circostanza non si svolge un bel niente perché il programma propone il Gallinaccio dispone. Ma veniamo ai fatti.

La sera prima l'allievo Ferruccio Mazzara, dell'altra compagnia, passa per il nostro accampamento con la sua voce baritonale annuncia:

- Domani in poligono tocca prima noi. Voi pacchia! Comincerete dopo le nove!

Il poligono è in una valletta vicino all'accampamento, a quattro passi. Ergo: finalmente si dorme! Difatti, prima dell'alba, suona la sveglia... facciamo appena in tempo a mandare al diavolo l'aurora dalle rosee dita e quella di bianco vestita, la falce di luna calante, le chiare fresche dolci acque, l'Alpe Bianca dai rivi d'argento e le vaghe stelle dell'Orsa; un cuciniere assonnato e imbambolato come noi ci propina una bevanda calda e poi... adunata! Si vede che hanno anticipato l'orario dei tiri.

Partiamo con i consueti affardellamenti e con il Gallinaccio in testa, ma invece di andare al poligono si procede nella direzione opposta; si vede che ci hanno cambiato programma. Cammina cammina nel bosco, come nella fiaba di Pollicino, finché voltiamo destra e imbocchiamo una vallata parallela a quella del poligono: si vede che abbiamo un poligono nuovo. Invece no: il Gallinaccio volta ancora a destra e comincia ad arrampicarsi sul fianco di una montagna che, vista dal basso, incombe minacciosa su di noi. Ahimè! Dobbiamo raggiungere il solito poligono scavalcando una catena alpina... il Gallinaccio senza carichi e senza impedimenti procede veloce; guarda prima la carta e poi un rilievo che ci sovrastano ed appare soddisfatto: ma quello non è l'agognato crinale, la sospirata cima! È semplicemente una prominenza sul fianco del monte la quale, vista dal basso, dà la falsa impressione di essere prossimi alla vetta. Il fenomeno si ripete più volte mentre il tempo scorre, le ore passano, noi saliamo e il sole pure. Verso le 11.00 il Gallinaccio finalmente raggiunge la cima, quella vera, e ora cerca invano di guadagnare il tempo perduto buttandosi giù per l'altro versante a rotta di collo e dimenticando la regola di Berengario: a ogni salita corrisponde una discesa uguale e di senso contrario. Intanto la compagnia "e tutte quante" è ancora disseminata sull'altro versante. Comunque, con la mia squadra, seguo il Gallinaccio nella sua corsa folle e cerco di non restare indietro perché noi siamo i primi a sparare. E corri corri corri dal vertice della lunga erta montana, finché a mezzogiorno abbondantemente passato il Gallinaccio arriva finalmente nel poligono: lo attende il nostro nuovo comandante di battaglione, quello grande e grosso che ci guarda con gli occhi buoni pieni di comprensione. Eccolo là, tutto solo, piantato a gambe larghe come il colosso di Rodi, inesorabile come la nemesi. Faccio in tempo a fermare la squadra e a buttarmi dietro un cespuglio perché qui c'è aria di temporale. Il Gallinaccio si presenta e si sbatte sull'attenti come una ramazza, mentre a noi giungono frammenti di un dialogo tempestoso.

- Ma lei, da dove arriva? Sono ore che aspettiamo! Dove si è cacciato?

- Ho pensate di faro una marcia... di orientamente e per allenamente... a vantaggie di ogniedune aglieve...

- Ascolti bene! "Ogniedune aglieve", come lei dice, quando si sveglia di buon mattino ha già la visione panoramica di un'attività massacrante... e ne ha le scatole piene di me, di lei e di tutti noi, capito? E non tiriamo troppo la corda... e non inventiamoci nuove attività... riporti la compagnia nell'accampamento... li lasci in pace... poi ne riparliamo.

Insomma, per dirla con il profeta Maometto, chi arriva tardi si becca un cicchetto.

Torniamo alle nostre tende. Per qualche tempo non vediamo più il Gallinaccio; poi, nelle marce e nelle escursioni il nuovo comandante di battaglione si mette in testa, procede pian piano, si ferma a guardare il panorama e pare che faccia apposta a frenare il Gallinaccio il quale, notoriamente insensibile alle bellezze della natura, deve tuttavia conformarsi a stare in contemplazione del paesaggio con nostro grande sollazzo.

Tutto questo ha una morale: bisogna avere sempre fiducia nei superiori, perché di tanto in tanto c'è qualcuno in alto che capisce e che provvede. Ma ormai siamo agli ultimi giorni: l'Accademia sta per finire... peccato! Cominciavamo a divertirci.


Giacomo Ferrera