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Le confessioni di un italiano - di Giacomo Ferrera

 

 I disegni che si trovano

in questa pagina sono stati

eseguiti da Maria Pompea Coluzzi,

Lucia Maria Izzo e Gisella Malagodi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ovvero: i ricordi di uno squallido dopoguerra

Siamo i primi rimpatriati dall'Egitto, dai campi di prigionia inglese. Appena sbarcati a Taranto (20 aprile 1945), veniamo destinati alle unità italiane impiegate sulla linea gotica dove ancora imperversa la guerra. Siamo una trentina di ufficiali: paracadutisti, S. Marco, arditi, guastatori. Da Taranto a Lecce. Quante belle ragazze! Non ne vedevamo una da anni... ma noi, via, a Bari.

Una vecchia portinaia, con tanto di scopa in mano, ci ferma, chiede chi siamo, dove andiamo. Alla nostra risposta, con grande sollazzo di tutti, gratifica con pesantissimi apprezzamenti l'operato del nostro governo che sacrifica tanti bei giovani (dice lei) come noi, e chiama a testimone tutto il vicinato. I giudizi vengono espressi ad alta voce. Sono rivolti a un vasto pubblico e contengono termini irripetibili. Grazie, nonna! Sei nel giusto.

Guardiamoci attorno. Oltre alle belle ragazze vediamo tanti bei colleghi intenti a gironzolare. "Che fan qui tante peregrine spade?" Sono i profughi dalla Sicilia, dalla Calabria nonché dal Nord. Ma quanti! Nessuno pensa a riciclarli? Come mai il patrio governo per reperire quattro rompicolli come noi ha attinto ai campi di prigionia? Misteri.

Da Bari a Roma, e svelti. Ma giunti là, scoppia la pace su tutti i fronti d'Europa. A me la licenza per il rientro dalla prigionia? Ma neanche per idea! Al comando di un reparto di specialisti e di ex partigiani inquadrati nell'esercito. E subito! In più, mi danno una moto per assolvere incarichi vari presso le unità angloamericane, perché si sa che ne conosco la lingua. Gli inglesi ci detestano, e ne hanno ben donde; gli americani hanno tutta l'aria di non capire un bel niente di questa Europa divisa e litigiosa.

Vado a Civitavecchia, perché gli americani sono in partenza. In cambio di tre firme, mi lasciano tre enormi depositi di materiale prezioso e pregiato "di non conveniente trasporto". Mi do subito da fare, mi attacco al telefono (civile e mal funzionante) e subisso il Ministero di chiamate interurbane che poi nessuno mi rimborserà. Mi fermo sul posto, e esaurisco tutte le mie modeste sostanze, salto alquanti pasti e solo così riesco a mettermi in contatto con "li superiori", a ottenere servizi di custodia armata, personale per gli inventari, trasporti. I nostri magazzini del genio militare della Cecchignola vengono così riccamente riforniti. Bel colpo! In zona trovo il capitano Coli, del mio corso, colla sua compagnia di soldati.
- Aldo, passami una gavetta di pasta e fagioli. Sono nero di fame!

Un altro bel colpo fu quello operato in campo amministrativo-contabile da un losco figuro che credette di sistemarsi per l'avvenire. Con i suoi abili maneggi, riuscì a realizzare somme cospicue ai danni dello Stato, e pensò di investire quel capitale in case e fabbricati; ma trovò persone più abili di lui, che lo pelarono e lo lasciarono carico di debiti: sic transit...... e io dissi: ci ho gusto! Un esperto in materia finanziaria, analizzando il sorgere di tante improvvise ricchezze per effetto della borsa nera, mi spiegò come e qualmente il denaro torna poi là dove è sempre stato. Il che puntualmente avvenne.

Arrivano i reduci dai lager tedeschi, vedo un'ombra umana seduta sul marciapiede: è un maggiore dell'esercito, vorrebbe andare a casa a Viterbo. Mi racconta di essere stato catturato dai tedeschi alla caserma all'Aurelia e di aver visto dalla finestra il suo comandante con l'attendente e la valigetta in fuga verso i monti della Tolfa senza né avvertire né dare l'allarme. Sapeva; da buon italiano tagliava la corda e lasciava gli altri nei guai.
- signor maggiore, questo automezzo è a sua disposizione e la trasporterà subito in famiglia. Quanto al suo eroico ex comandante, che oggi già pontifica in una scuola militare, pensiamo noi a mettere una buona parola.
Quel poveretto ringrazia piangendo e parte tutto consolato.

Anche i reduci dal fronte russo hanno molte cose da dire, ma i loro racconti riescono male accetti ai comunisti nostrani: pare davvero che l'Unione Sovietica non sia il paradiso dei lavoratori, stando alle notizie di fonte diretta e di prima mano. Comunque è comodo fare il comunista in Italia! Ma dalla Russia arrivano anche i nuovi salvatori della patria: uno dei loro primi provvedimenti è l'epurazione dei fascisti e la confisca dei profitti di regime e io tremo. Sono stato caposquadra dei Balilla, tutti mi hanno visto sfilare per la città; un centurione della milizia mi ha offerto un cono gelato da centesimi 30... spero che nessuno se ne ricordi.

La guerra è finita, ma i partigiani imperversano: circolano armati, organizzano blocchi stradali, rapinano, saccheggiano e praticano esecuzioni sommarie. Noi ci incolonniamo verso nord, dove c'è una turbolenza da Far West.
-Signor capitano, ma che facciamo sì che sono i blocchi stradali?
- Fuoco! Sparate a vista, capito?
Ma non occorre. Quelli non sono mica scemi: fanno i prepotenti con i deboli.

in realtà, la marcia verso Nord procede senza intoppi; siamo accolti perfino con qualche applauso La spiegazione del fenomeno? Le bandiere rosse sugli automezzi che trasportano carburanti e munizioni... oggi si accoglie con applausi il primo armato che passa, purché straniero, anche se è un selvaggio con le piume in testa. Eccoci ridiventati servi sciocchi, senza dignità. Accettiamo e subiamo tutto da tutti, e ripudiamo quel che è nazionale: tanti secoli di dominio straniero hanno lasciato il segno. Ma questo nostro atteggiamento servile ha i suoi aspetti umoristi: nella nostra lunga marcia vediamo scritto sui cartelli e sui muri: VIVA ELCOME. Ma chi sarà mai costui? Spiegazione: WELCOME significa benvenuto, saluto rivolto agli angloamericani. Quella W iniziale  fu scambiata per un "EVVIVA" e quindi venne enucleata dal vocabolo a cura dei dotti scrittori murali, forse di quegli stessi del passato regime. Il tutto poi è stato riprodotto moltiplicato con uno zelo degno di miglior causa.

Di questa diffusa dabbenaggine approfitta subito un nostro giovane collega appena congedato: alto, biondo, di bellissimo aspetto, di corporatura atletica, assume un bel nome d'arte e si fa passare per un famoso cantante, naturalmente americano, mai sentito nominare. Accompagnato da cinque buontemponi come lui, organizza un giro per le varie balere della riviera e dintorni; preceduto da una sapiente pubblicità, bela rauco canzoni ignote e incomprensibili, riscuote successi travolgenti e si fa un mucchio di soldi. L'unico pericolo che corre è costituito dalle esuberanze delle ammiratrici, urlanti come scimmie, violente e disinibite, che prendono d'assalto questo nuovo idolo. Se volete sapere qualcosa di più di lui, leggete il capitolo successivo.

Nella nuova scala dei valori, dopo i cantanti e dopo i chitarrai, viene la Resistenza. Del tutto dimenticati negletti i caduti in guerra: la cosa interessa solo i loro congiunti. Eppure, abbiamo avuto figure di tutto rispetto, eroiche e spavalde, giganti nella sventura. Ma chi se ne ricorda più! Loro sono rimasti là. Qui si balla il boogie-woogie e si canta "dove sta Zazà", nuovo inno nazionale.

Il Gallinaccio non accetta la sconfitta e si suicida, come un antico samurai. Con lui finisce un'epoca della nostra vita. Si dice che le sue ultime parole siano state "Ho sbagliate tutte quante".. No, signor capitano! Lei non ha sbagliato proprio niente! Altri invece hanno sbagliato tutto, e ciò nonostante ora campano benissimo...

Nel momento della più cupa depressione morale e politica si fa il referendum istituzionale: monarchia o Repubblica? Io sono a Genova con la divisione Mantova impegnato con grossi problemi di ordine pubblico.  La situazione è poco chiara, le bande rosse sono armate e si organizzano, per loro i nemici siamo noi, e io allora occupo i forti della città che conosco da ragazzo. La propaganda è violenta, sleale, scorretta. Il risultato è Repubblica.

Umberto II, il modello della nostra giovinezza, è il gentiluomo che non ci meritiamo: accetta la sentenza. Aveva già detto di non volere un trono macchiato di sangue, e ora va in esilio. Abbiamo perso un Re; ci restano i politici, i fuoriusciti che avevo visto giungere a Roma pieni di livore, con le pezze nelle braghe e "con le scarpe rotte ai pié". All'arrembaggio per la bella preda, come somari al trotto per un posto alla greppia. Si parla di brogli nelle elezioni, di masse che non hanno potuto votare... ma tutto ciò, poco interessa a chi ha un sentimento che non va oltre l'apparato digerente. Noi siamo reparti di pronto impiego, non abbiamo né il tempo né il modo di occuparci di questi problemi. Via! A difendere la frontiera orientale d'Italia, sul prolungamento della Cortina di Ferro, là dove nessuno gradisce di essere trasferito. Là trascorriamo anni e anni, duramente impegnati nella difesa del territorio nazionale e delle istituzioni. E oggi vi saluto tanto questa bella democrazia e questa bella Repubblica nata dal dolore di una guerra malamente perduta, fondata sul lavoro degli altri e finita nella melma di Tangentopoli. Vi saluto tanto i ministri in discarica, gli onorevoli si fa per dire, gli inquisiti di "Monteciborio" e quelli del "Suonato", i loro boriosi portaborse.

Insomma, questa Repubblica va in decomposizione e puzza. Questo che dico costituisce forse vilipendio delle patrie istituzioni? No signori! Il vilipeso sono io: ho accettato la situazione istituzionale, ho lavorato onestamente e con impegno in Italia e all'estero e ora provo un senso di vergogna quando esibisco passaporto italiano, perché siamo in bancarotta. Per di più, per molti miei connazionali, sono "monorchide, bieco e reassionario"... vorrei andar via, verso terre lontane e pulite. Alaska? Canada? Nuova Zelanda?

Ma ormai è tardi, nessuno torna indietro.

 

Giacomo Ferrera, ferragosto 1995