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Missione negli Stati Uniti (agosto 1958 - giugno 1959) - di Giacomo Ferrera
I disegni che si trovano in questa pagina sono stati eseguiti dall'autore del testo e rielaborati da Adele Chiappisi, Maria Pompea Coluzzi, Teresa Ducci e Lucia Maria Izzo
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Capitolo I: Da Roma a New York
Il dispaccio è
fin troppo chiaro: andare negli Stati Uniti per un corso della durata di
un anno scolastico. Quale corso? Advanced course n.1, il più
impegnativo...dove? A Fort Benning, nella Georgia, presso la città di
Columbus, al confine con l'Alabama. Quando? Quasi subito, appena il
tempo di preparare le uniformi perché nel nostro esercito bisogna fare
tutto all'ultimo momento e sotto il pungolo della fretta. L'ordine è di
indossare la divisa anche durante il viaggio. E via verso l'avventura! Partenza da
Roma con un aereo a turboelica, in una prima classe quasi vuota, cielo
coperto, piove. Uno squarcio fra le nubi fa intravedere la scogliera di
nervi. Voliamo su Genova che non si vede, su casa mia che non ho mai
visto dall'alto, sull' Appennino, sul Piemonte; valichiamo le Alpi e
siamo in Francia, ma sembra di volare in un mare di bambagia. La hostess
serve la cena, perché ormai è sera inoltrata: mi complimento con una
leggiadra fanciulla per l'ottimo servizio e per la bontà degli alimenti. Essa mi dice che purtroppo la cuccagna è finita perché, secondo recenti
impegni internazionali, il servizio di ristorante dovrà essere unificato
per evitare la concorrenza fra le società di bandiera. Difatti, tutti i
passeggeri preferiscono le linee italiane per l'ottima qualità dei vini
e per la bontà della cucina. E chiamali scemi! Il cielo si
schiarisce, ormai è notte, voliamo su Parigi, che vedo scorrere sotto di
me tutta illuminata e in tutta la sua estensione, mentre mi sto
sgranocchiando un pollo arrosto dai mille sapori; penso alla fame e alla
sete sofferta in Africa e mi dico: carpe diem, anche se è notte. Attraversiamo
la Manica, che qui è abbastanza larga, il mare celtico, raggiungiamo
l'Irlanda e atterriamo a Shannon per il rifornimento del carburante. Con
noi atterra un aereo della Lufthansa. Si riparte tra un'ora. Trascorro
quel tempo gironzolando nella sala di attesa, scintillante di vetrine
ricolme di tabacchi, di dolciumi e di liquori. Rivedo la nostra hostess
che saluta timidamente le sue colleghe della Lufthansa, due pezzi di
valchirie che potrebbero indurre chiunque a volare e a convolare.
Sussurro alla nostra: Si riparte, e
in un balzo siamo sopra l'oceano. Entrano due americani, marito e
moglie. La signora, aiutata dalla hostess, prende posto in una cuccetta e
tira la tenda; il marito siede, si stiracchia e si mette a dormire. Good
night, good night! Ma chi dorme? Estraggo una carta turistica dalla
custodia che ho davanti: molto interessante! C'è riportata la rotta che
percorriamo, che deve essere l'inverso della famosa trasvolata di
Lindberg ( 20 maggio 1927), il quale si fece trasportare verso l'Europa
da una perturbazione atlantica: bravo! Fu l'errore di un'epoca. Italo
Balbo rispose sportivamente volando due volte in senso contrario e in
formazione (nel 1930 e nel 1933), ma non se ne può parlare perché per
noi egli è fascista e reazionario, dimenticavo: anche bieco. Ma non lo è
per gli americani, che gli hanno dedicato una strada a Chicago, dove
ancora oggi esiste una Balbo Street "because he was a great man" (perché egli era un grand'uomo). Voliamo
seguendo l'apparente percorso del sole. Alla lunga notte segue un'alba
interminabile e un'aurora infinita; si vede l'oceano sotto di noi,
leggermente increspato: laggiù è mare grosso. Dalla borsa tiro fuori il
binocolo da batteria di mio fratello: si dovrebbe vedere terra! Difatti,
lontano verso il nord, si profila la Groenlandia... quello dovrebbe
essere Capo Farvel... si punta ora verso sud ovest... mentre sto
armeggiando con carta e binocolo, sento alle mie spalle un "buongiorno"
augurale. È il "paròn del vapùr" che fino a quel momento ha dormito come
il gran Condé prima di Rocroi e ha lasciato tutto nelle mani del suo
secondo (o del suo terzo) all'italiana. Mi vede interessato alla rotta
e, con aria saputa, mi dice: Frattanto si
sono svegliati l'americano e la signora che viaggiano con me. Il Signore mi
racconta che suo nonno era italiano, immigrato dalla Campania. Quindi,
bracciante e semianalfabeta. Così vengo a sapere che egli appartiene
alla terza generazione, e precisamente a quelli che hanno studiato e si
sono egregiamente inseriti nella società in cui vivono; senza complessi
di inferiorità si occupa di musica: quella è la sua attività e la sua
vita. Parla un ottimo inglese e un perfido italiano; mi dice di essere
stato a Napoli su consiglio dei suoi vecchi e di esserne ripartito con
una vera ricchezza di spartiti musicali. Adesso si vola
a quota inferiore: foreste, paesi e città scorrono rapidamente sotto di noi: Maine, New Hampshire, Massachussets, Connecticut, New York.
Siamo arrivati. Scendo la scaletta e guardo giù per non inciampare; a
terra, trovo un dollaro d'argento e lo raccolgo: come augurio di
benvenuto non c'è male! Un sergente americano mi attende, controlla i documenti e mi sistema negli alloggi di Fort Hamilton, vicino a Brooklyn: ve la raccomando questa appendice di New York! C'è chi si occupa di pompe funebri. Qui ne vedo diversi: mettono vistosi e lugubri segnali davanti alla porta di casa e promettono funerali con i fiocchi. Vien voglia di tornare indietro e di cambiare strada. Qui, fra
queste case basse, blu, misere e tutte uguali, la malavita deve
prosperare, favorita anche dalla vicinanza del porto. Ricordo un vecchio
ritornello che dice: Le migliori
residenze sono verso il mare, le peggiori in periferia. Ma se questa
zona di Brooklyn si presenta così male, quella di New York non è da meno;
Bronx poi detiene il primato dello squallore. Si rischia la vista
guardando i grattacieli di Broadway e di Manhattan che si profilano
laggiù: mi ricordano l'aria di una canzone degli anni 30:
Giacomo Ferrera
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