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Missione negli Stati Uniti (agosto 1958 - giugno 1959) - di Giacomo Ferrera
I disegni che si trovano in questa pagina sono stati eseguiti dall'autore del testo e rielaborati da Adele Chiappisi e Teresa Ducci
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Capitolo II: Da New York a Columbus (Georgia) Alla stazione di New York,
mentre aspetto il treno, un negro mi gironzola attorno e adocchia il
bagaglio. Una signorina, invece, adocchia un poliziotto e sussurra
qualcosa. Il poliziotto, a sua volta, si avvicina e dice qualcosa al
negro, che si allontana e sparisce; quindi mi chiede se possa essermi
utile. Il viaggio è lungo perché dura
tutto il giorno, tutta la notte e buona parte dell'indomani. Non è poi
molto comodo, perché rotaie, traversine e massicciata devono essere
piuttosto "all'onda del mar", tanti sono gli scossoni e i sobbalzi.
Ecco
perché, nel 1945, vidi i genieri americani che guardavano con
curiosità e con interesse professionale le rotaie della linea Roma-Firenze che si presentavano dritte, lineari e perfette nei tratti non
bombardati. Ma qui c'è da farsi venire il mal di mare. In corridoio mi capita una
avventura di viaggio davvero singolare: incontro un giovane padre
gesuita con il breviario in mano che mi guarda e chiede da dove io venga.
Quando viene a sapere che sono italiano, il suo viso si illumina. I Romani sono stati in
Britannia per trecento anni, hanno portato un alfabeto con il quale si
può scrivere tutto. Il 60% delle parole inglesi ha ancora etimologia
latina... chi ha rovinato la scrittura sono state le invasioni
barbariche degli Juti, dei Sassoni, dei Normanni... La cultura limitata
dei primi monaci e dei clerici vaganti ha fatto il resto... oggi, nella
lingua inglese, i gruppi di consonanti e di vocali non sono indicatori di
una pronuncia, sono piuttosto ideogrammi per indicare singole parole...
lo afferma perfino a Bernard Shaw in un suo articolo assai arguto. Continuiamo a discutere fino a
notte inoltrata, non senza andare prima a cena al vagone ristorante: un
orrendo piatto di pollo ai peperoni gabellato come specialità spagnola.
Andiamo a riposare. Nel lungo percorso verso sud, abbiamo attraversato
il New Jersey, il Maryland e ora siamo in Virginia: grandi città,
piccoli centri agricoli, fattorie isolate, belle residenze, casolari di
legno squallidi e cadenti come quelli descritti da Steinbeck. Di buon
mattino mi affaccio e guardo il panorama: che bella giornata! Mi sfilano
davanti i bei paesaggi della Carolina del Nord e del Sud, ed infine
della Georgia: fiumi larghi, grandi boschi, vasti prati, case bianche
che spiccano sul verde... Arriviamo ad Atlanta. Devo
scendere e cambiare treno. Il padre gesuita prosegue e mi lascia
l'indirizzo: mi prega caldamente di andare a fargli visita al suo
convento, a New Orleans. Lo ringrazio, lo saluto e lo vedo proseguire. Davanti alla stazione c'è una
grande piazza, come quella che si vede nel film "Via col vento" tutta
piena di feriti. Ma l'aspetto è mutato perché la città è tutta nuova
come l'avessero ricostruita ieri. Purtroppo manca il tempo per
visitarla. Arriva il mio treno e proseguo per Columbus, dove giungo
nel pomeriggio inoltrato. So che qualcuno deve venire a prendermi,
quindi vado nella sala di attesa che trovo piena di negri. Questi mi
fanno gentilmente notare che la sala dei bianchi e dall'altra parte.
Ringrazio e vado, ma solo uscendo mi rendo conto di un cartello
indicante "coloured people only", solo per gente di colore. Non lo avevo
letto! Arriva un automezzo militare
che fa la spola tra Fort Benning e la stazione. Salgo e
giungo destinazione, dove non ci sono distinzioni di razza. Siamo
assieme bianchi, neri, gialli, meticci e perfino indiani pellerossa. Due
di questi ultimi, nelle parate della seconda divisione paracadutisti "Indianhead"
(testa di pellerossa) sfilano davanti a tutti nel costume tradizionale
dei Sioux, e come ci tengono! Il corso
comincia subito, e senza tanti complimenti, più impegnativo del
previsto. Faccio subito amicizia con i colleghi americani, i quali mi
introducono nelle loro famiglie e mi fanno conoscere i bambini. Ogni
domenica mattina queste deliziose creature vengono a curiosare nella mia
camera, aprono i cassetti che trovano pieni di frutta e ripartono
contenti. Essi, a casa, vengono rimpinzati di dolci; ma non vedono quasi
mai frutta fresca, di cui sono ghiottissimi, e sanno che da me si trova
sempre. I padri che li accompagnano non disdegnano un assaggio di
whisky, e ripartono contenti pure loro. Fra i non
americani, oltre a me, un inglese, un austriaco, quattro giapponesi,
cinque indonesiani e due birmani. Negli studi, primeggia un
giapponese: piccolo, minuto, intelligentissimo. Quello è una
calcolatrice! Mente pronta e memoria prodigiosa. Mai visto un simile
fenomeno! È uno dei superstiti di Hiroshima: l'uniforme bianca lo salvò
dalla vampa di luce e di calore, le bretelle nere gli rimasero stampate
sulla pelle. Soffre di leucemia, sa che avrà vita breve e trascorre
lunghe ore in meditazione.
Giacomo Ferrera
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