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Missione negli Stati Uniti (agosto 1958 - giugno 1959) - di Giacomo Ferrera
I disegni che si trovano in questa pagina sono stati eseguiti dall'autore del testo e rielaborati da Teresa Ducci, Lucia Maria Izzo e Sebastiana Schillaci
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Capitolo IV: Natale 1958 e Capodanno 1959 La scuola chiude i battenti, ognuno va a casa. A Washington e a Buffalo lo ho alcuni parenti i quali mi invitano a casa loro; ho un compagno di corso che ha i genitori a Norfolk, in Virginia,il quale mi offre ospitalità a casa sua, io accetto! Andrò fino Norfolk con lui. Quindi, Natale a Washington, Capodanno a Buffalo. Il mio compagno americano è stato a Trieste con le forze di occupazione, sente nostalgia di Duini, di Sistiana e di Miramare, mantiene il ricordo cocente di una triestina di cui si era invaghito... ma perché non te la sei sposata, baùcco? Da noi, le mogli giuliane o friulane sono come i napoletani in questura! Egli è virginiano, si chiama Cooley. Ma non fatemi pronunciare quel nome, perché in italiano suona assai male. - Se sei
virginiano di Norfolk, tuo nonno era nordista o sudista? Partiamo di pomeriggio con la sua splendida Buick: egli provvede alla guida, io alle varie spese di albergo e ristorante. E via verso il mare! Attraversiamo Macon, bella città armonicamente distribuita su verdi colline e arriviamo a Savannah. Lasciamo lo stato della Georgia ed entriamo in quello della Carolina del Sud da dove nel 1861 scoccò la scintilla della secessione, e arriviamo a Charleston. Queste belle città, come tante altre, furono sistematicamente distrutte, saccheggiate e incendiate nel 1864-1865 dai nordisti per castigare il sud, ignari di distruggere una storia e una ricchezza e di ritardare di almeno vent'anni l'ascesa prodigiosa della nazione. A Charleston,
negli anni 20, scoccò invece la scintilla di un ballo che prese il nome
dalla città, con un motivetto che invase il mondo. Seguo
l'itinerario con una carta stradale e quando entriamo nell'abitato di
Charleston mi permetto di indicare la giusta via. L'amico mi risponde
seccamente: Entriamo nello Stato della Carolina del Nord, seguendo la litoranea. L'amico dice che conosce tutte le strade; difatti sbaglia subito, perché lascia la costa e si butta verso l'interno. È sera: meglio fermarsi al primo motel, dove si sta benissimo. Al mattino,
riprendiamo il cammino. Riusciamo a riguadagnare la strada costiera ed
entriamo in Virginia, in mezzo a campi di cotone e a chiazze di neve. Accoglienza calda, affettuosa e familiare: che brava gente! Madre tedesca e padre virginiano da generazioni. Usciamo e facciamo una passeggiata nel porto di Norfolk, base militare. Vi è attraccata una portaerei, una di quelle famose che parteciparono alle battaglie navali nel Pacifico contro il Giappone. Qui a Norfolk i sudisti costruirono la prima corazzata della storia: la Virginia. Entrò subito in azione, si ficcò in mezzo alle navi dell'unione senza neppur essere scalfita dalle bordate incessanti che le fioccavano addosso e fece una strage di quei vascelli di legno, proprio su questo mare che ho davanti. Abbiamo modo
di visitare con comodo Fort Monroe, la parte che costituisce il museo
della guerra civile. Come è interessante! Giornali dell'epoca, armi
raccolte sui campi di battaglia, proclami, bollettini di guerra, vecchie
fotografie ( i primi documentari dei corrispondenti dal fronte), cinque
egli di ogni genere. Ma l'amico non mi lascia guardare e chiama: Il domani mattina saluto quella cara famiglia e riparto con un pullman diretto a Washington. Siamo d'accordo di trovarci a Norfolk a fine vacanza: telefonerò. Mi è vicina di sedile una ragazza veramente bella, che bamboleggia e poi dorme o finge di dormire. Buon riposo! Ho altro da ammirare. Attraversiamo Richmond, tutta nuova. L'ho appena visto, in fotografia a Fort Monroe, un cumulo di rovine fumanti al tempo della guerra civile. Era la capitale dei sudisti, qui era la sede del presidente del, quello della branda. Nella campagna le chiazze di neve si fanno sempre più larghe a mano a mano che si procede verso nord. Alla fermata di Washington scendo e fermo un taxi che sembra uscito da un film di Ridolini. Dico Arlington, via e numero. L'autista negro parte senza far cadere né un fanale né un parafango e mi scarica a destinazione, dove incontro mio zio che porta a passeggio il nipotino. Ritrovo i parenti partiti da Trieste e da Gorizia qualche anno fa, e con loro trascorro Natale lieto e sereno anche se lontano da casa. Ho modo di visitare Washington in lungo e in largo e di fare una puntata all'ambasciata d'Italia. L' addetto militare mi chiede di informarlo su diverse cose: prendo nota mentalmente, poi di risponder sarà soddisfatto oltre ogni sua aspettativa mi raccomanda: " attento agli italoamericani! " me ne guarderò. Parto in aereo per Buffalo. All'arrivo mi attende la cugina Rina e mi trasporta festosa a casa sua alla periferia della città, sulla strada per il lago Eire. La casa è bella, in mezzo a un bosco; è tutta coperta da un candido manto di neve, mentre in città la neve è nerastra. La cugina ha sposato un professore di musica che è anche direttore dell'orchestra del teatro di Buffalo. In questo periodo egli lavora di notte e riposa di giorno... e noi ci adeguiamo, con ingresso libero a teatro. Che bella vita! Cara Rina, per Capodanno o quando credi, lo prepari un bell' arrosto senza il ripieno di segatura di abete? Lei lo preparò in maniera superlativa; era grosso come un agnello, era così buono che ce lo mangiammo tutto in tre. La cugina guida, è sempre in movimento, conosce molte persone e io con lei ho modo di girare nella zona delle cascate, in Canada e lungo le rive dei grandi laghi. Un giorno mi dice che deve andare a Lackwanna, sul lago Erie, per certe sue faccende e che verrà pure una delle tre sorelle Montana. La famiglia non trae il nome dallo stato del montana, ma dal meridione d'Italia da dove proviene. Quindi, ricordiamoci di quel che fu detto all'ambasciata d'Italia e... apri l'occhio, John! Quando arriva
da noi, la fanciulla intraprendente mi stringe d'assedio e allora io
prego la cugina di salvarmi Comunque,
anche qui un bel momento la festa è finita. Si torna. Al mattino prendiamo la via del ritorno, questa volta senza perdere la costiera. Ci spostiamo nella Carolina del sud, al motel Magnolia. L'amico non cessa di darmi lezioni sul progresso americano e mi spiega come, attualmente, e perché tutte le porte dei locali pubblici si devono aprire verso l'esterno. "For instance, this one!" (per esempio, questa). Fa per uscire e dà una bella facciata contro la porta a vetri che è stata montata a rovescio. Rientriamo. Le vacanze natalizie sono finite. Un collega arriva dalla Florida e mi fa trovare in camera un bel cesto di frutta della fattoria. Queste persone sono commoventi! Giacomo Ferrera
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