|
Missione negli Stati Uniti (agosto 1958 - giugno 1959) - di Giacomo Ferrera
I disegni che si trovano in questa pagina sono tratti da stampe dell'epoca e rielaborati da Lucia Maria Izzo
|
Capitolo VIII: Ritorno in Italia il corso è finito. Saluto insegnanti, compagni di scuola e loro famiglie: qui ho contratto amicizie profonde durature. Resterò in corrispondenza con molti, ne incontrerò diversi in Austria e in Germania, taluni verranno a visitarmi a casa, in Italia.
Parto in treno per Washington, dove
arrivo sotto un diluvio. Alla stazione un addetto italo-americano mi
riconosce dall'uniforme, saluta premuroso e mi chiede: Offro un caffè a quel brav'uomo. Intanto "lu luggàgge" per errore dei trasportatori viene trasbordato su di un treno che va in Pennsylvania; lo recupero dopo due giorni. Approfitto della sosta forzata per fare la visita di dovere all'ambasciata d'Italia e per salutare i parenti. Arrivederci in Italia! Di nuovo in treno verso New York, al solito Fort Hamilton. Al sergente americano che mi viene a rilevare devo 20 cents che egli mi prestò là per una telefonata, e che ora gli restituisco con gli interessi. Egli rimane senza parola. A Fort Hamilton incontro e saluto l'ultimo compagno di corso: mi invita a cena a casa sua, a Brooklyn verso il mare, ammiriamo una bella nave italiana che entra in porto a bandiere spiegate e girovaghiamo per la città: bellissimi i negozi italiani sulla quinta strada, un po' deludente Broadway... meglio conoscerla attraverso le canzoni o i musicals. Addio, America! Addio caro amico Ed chiamato "Tiger", capitano paracadutista nella guerra di Corea! Con te saluto tutte le persone care che hanno aperto la casa, il cuore a me, sconosciuto e straniero. Siete un popolo meraviglioso! L'aereo dell'Alitalia mi riporta in Europa. Non ci si ferma più a Shannon, ma a Parigi. Sorvoliamo l'Irlanda, che ora vedo dall'alto, con i campi e prati delimitati da muretti a secco, l'Irlanda sassosa, povera, orgogliosa e tenace. Arriviamo a Parigi. I passeggeri scendono, nessuno sale: strano davvero! Questa città deve essere una calamita per i turisti. Si riparte. Sono solo, tranne qualcuno dell'equipaggio. Quando stiamo per sorvolare il Monte Bianco, che vedo da un squarcio tra le nubi, succede l'inferno. Siamo in un uragano scatenato: piovono dal cielo pezzi di ghiaccio che colpiscono l'aereo e che lo fanno risuonare come una lamiera sotto la grandine, ma quella grandine grossa che si vede. Il pilota si butta a picco verso la pianura per sottrarre l'aereo a quel tormento, ma laggiù è peggio ancora: vedo pioppi piegati dal vento, qualcuno sradicato, ora capisco perché a Parigi tutti i passeggeri erano scesi! Il pilota riprende quota: peggio ancora! Estraggo di tasca un libretto di appunti, scrivo un ultimo saluto per la moglie e penso di aver fatto bene a contrarre una forte assicurazione prima di partire in volo. Finalmente usciamo dal ciclone siamo a Milano, l'Alitalia serve il pranzo. Ma chi mangia? Un doppio Fernet, prego. Sono tentato di proseguire in treno, tuttavia riprendo l'aereo, perché torna il sereno su di una Italia accuratamente lavata. Arrivo a Roma, da un terrazzo dell'aeroporto splende il sole e la treccia bionda di mia moglie, è lei! Mi vede e mi saluta con gesti di gioia incontenibile, la bella avventura è finita. Adesso ne comincia una migliore.
Giacomo Ferrera
|