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Le carenze dell'esercito italiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Chi ha avuto la ventura di militare nell'ultimo conflitto mondiale, avrà notato o fatto notare nei suoi racconti soluzioni sbagliate, comportamenti irrazionali, saggi provvedimenti mai presi.

Il soldato deve essere un fedele esecutore di ordini, non può prendere iniziative se non nel suo limitato campo di azione. Eccolo quindi con le gambe strette nelle "fasce gambiere" che se troppo strette o male applicate ostacolano la libera circolazione. A chi, come noi giovani, ne vedeva i danni, la scomodità e la perdita di tempo, veniva risposto con aria saputa che così facevano gli antichi Romani, il che non è affatto vero. Lo fece una volta Giulio Cesare nella seconda campagna gallica per superare di sorpresa le Cevenne innevate, e non più; e neppure fu fatto sul vallo di Adriano o su quello di Antonino fin lassù nella Scozia, dove di solito fa piuttosto freddo. Ma l'abitudine di imporre l'uso delle fasce era talmente tenace e radicato  che veniva imposto anche ai soldati indigeni delle colonie, e non solo a noi, ma perfino a quelli del Congo Belga: piedi scalzi, ma gambe vistosamente fasciate.

Il giornalista Luigi Barzini descrisse una sentinella rossa al Cremlino, tutta impellicciata, inguantata, con stivali di feltro, testa coperta da colbacco di pelo, ben protetta dal gelo, e fece il confronto desolante con un bersagliere di sentinella d'inverno a Milano, tutto intirizzito, che si soffia sulle mani gelate, avvolto nella mantelluccia striminzita, che batte i piedi per scaldarsi, con il cappello piumato elegante si, ma che non protegge per nulla. Sapevamo benissimo che in Russia con quel freddo servono stivali di feltro, o in alternativa perfino otto o più paia di calze di lana grossa, una sull'altra, anche senza scarpe... eppure i nostri antenati erano stati in Russia con Napoleone e qualche esperienza avrebbe dovuto essere rimasta. Invece, niente...

Noi, con l'Africa settentrionale sotto il naso, conoscevamo la Libia e la Tunisia fin dai tempi di Roma e di Cartagine, ma ci arrivammo nel 1911-1912 come se non ci fossimo mai stati; senza raccontare come ci presentammo laggiù nel secondo conflitto mondiale: una massa di uomini appiedati, una vera debolezza in campo operativo. I corazzati inglesi vi penetrarono come lame roventi nel burro, e ci diedero una bella lezione. I tedeschi, che non erano mai stati in Libia, si presentarono come se ci fossero sempre stati: mezzi meccanici con una tinteggiatura mimetica perfetta, uniforme coloniale da servire come modello, motori finché possibile raffreddati ad aria, filtri a olio in modo da bloccare la polvere, mezzi corazzati collaudati in serre surriscaldate con tempeste di sabbia artificiali, lassù in Germania, nei loro poligoni.

Infine - ci crediate o no - ogni soldato tedesco era munito di paletta, che poi era come la nostra vanghetta, per uso militare (lavoro di sterro) o igienico (seppellire escrementi), evitando così l'invasione schifosa degli scarabei, proprio come da prescrizione biblica, Deuteronomio, 23, n. 13. È una scena impressionante e ributtante vedere in pieno deserto gli scarabei spuntare da ogni parte proprio là dove non c'era nulla e darsi subito da fare nel loro piccolo; altro che agenzia trasporti! Spesso si vedeva, dietro una duna, qualche tedesco accovacciato con la sua brava vanghetta piantata davanti per occultare appunto il davanti, manico in verticale davanti agli occhi, tutti con lo stesso comportamento. Potenza dell'organizzazione! Da noi, paletta? E che! Pretendete forse che certe menti elette si abbassino a quei livelli? Proprio no!

De minimis non curat praetor.

Giacomo Ferrera