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Missione in Germania (1955) - di Giacomo Ferrera

 

 I disegni che si trovano

in questa pagina sono

tratti da stampe dell'epoca

e rielaborati da  Teresa Ducci,

 Lucia Maria Izzo e Maria Concetta Pasquale

 

cibo

teatro 

Norimberga

crolli

  pozzo

birra

fiaccolata

 

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Capitolo IV - Con la gente

Siamo giunti in Germania in un periodo veramente fortunato: gli Americani, fra feste nazionali, fine settimana, feste comandate e ricorrenze varie, sono impegnati in media un giorno su tre. Noi ce ne andiamo a spasso per la città e nel tardo pomeriggio sostiamo in birreria. Siamo capitati davvero bene! Il locale si chiama Patrizielzirkel o qualcosa di simile, alle pareti reca gli stemmi delle famiglie nobili della città (un po' troppe!), nella sala grande sono disposti tavoli e sedie, in fondo un'orchestrina suona con discrezione le sue musiche e, un piccolo palco è attrezzato per eventuali spettacoli di varietà, il personale di servizio è sempre disponibile.

La gente ci vede in uniforme e chiede chi siamo. Dati i recenti trascorsi storici rispondiamo, proprio senza alcuna fierezza, di essere italiani. Con nostra sorpresa, le persone che ci guardavano con aria interrogativa adesso ci fanno festa, si dispongono attorno a noi e hanno una gran voglia di chiacchierare. Le ragazze guardano il paracadutista e, bisbigliando fra di loro, mi sembra di capire che parlano della rassomiglianza con quell'attore americano, quello così maleducato... e poi ne fanno il nome.

Per la cena, andiamo sul sicuro: prosciutto, salsicce, formaggio, pane scuro e birra. Ci sono vicini due distinti signori anziani con rispettive mogli; veniamo a sapere che sono due professori universitari, profughi da Dresda e Lipsia. Uno dei due dice:
- Ach Dresden, Dresden, Florentz von Deutschland! (o Dresda, Dresda, Firenze della Germania!)
All'altro professore ricordo che le belle edizioni di Lipsia dei classici greci e latini erano altamente apprezzate presso le nostre scuole. Egli ne è lusingato, ma aggiunge con profonda tristezza:
- Alles ist verloren, alles ist zerstört (tutto è perduto, tutto è distrutto)

La terza sera siamo già diventati amici. Io arrivo per primo perché il paracadutista si è attardato negli alloggi, ma sono tranquillo perché so che arriverà; i due professori sono preoccupati e mi chiedono come farà l'amico a sbrigliarsela da solo; io spiego appunto come farà. In quel momento, eccolo che arriva! Il distinto professore estrae di tasca alcune monete, porge la mano, dice "Bahnhof!" e si fa una bella risata.

Questa è proprio una serata allegra. L'amico dice che è stufo di mangiare sempre le stesse cose; io, per quanto faccia, non riesco a tradurre la lista delle vivande, che costituisce un problema in tutte le lingue.
- Cerca il nome più lungo e vedi un po' di capire cos'è.
Guardo la lista e scorgo una parola davvero lunga, una di quelle in cui i tedeschi agganciano un vocabolo all'altro come vagoni per la formazione di un treno. Capisco solo: Patrizier... carne, pesce, patate, verdure, crauti... non so che altro... platte, piatto tipico del locale.
- Mi va benissimo perché ho fame.

Il cameriere chiede conferma due volte, incredulo; i due professori drizzano le orecchie, le persone dai tavoli vicini si voltano incuriosite. Quando il cameriere torna con un piatto di portata che pare una barca, tale da occupare mezzo tavolo e contenente tante cibarie da sfamare un plotone di soldati al campo, tutti si alzano e si fanno attorno per guardare. Il paracadutista dice:
- Comincio da qui. Che roba è questa?
- Mi sembrano pesciolini crudi...

Spariscono pesci, pezzi di carota, salsicce, pezzi di sedano, carni cotte non so come, roba affettata, crauti, insalate, polpette, arrosto, pollo... breve interruzione: ancora una birra! Seconda ripresa: piano piano la roba sparisce, non resta una briciola, piatto vuoto. Ancora una birra, prego! A quel punto, gli spettatori applaudono con ammirazione.

Intanto, anche il palcoscenico si anima: qualche cantante, accompagnato dall'orchestrina, ci fa sentire alcune ariette popolari, mentre le voci aumentano di tono. Ad un tratto, silenzio generale: sul palcoscenico appare proprio lui, Adolf Hitler! Stessa faccia, stessa pettinatura, stessi baffetti, stesso impermeabile trasandato, stessi stivali deformati, come al tempo delle sue campagne elettorali... è un attore truccato con abilità, il quale, così conciato, dà inizio a un discorso fiume, con parole e con frasi accozzate a caso. Quindi, non si capisce granché. Ma con nostra grande sorpresa vediamo che la gente ride fragorosamente, sentiamo che la sala risuona di risate. L'attore che imita voce, gesti e atteggiamenti con grande bravura, provoca un'ondata di allegria rumorosa in continuo crescendo. Fino a 10 anni fa, non avrebbe riso proprio nessuno. Uno scroscio di applausi saluta l'attore, che scompare salutando a sua volta con il braccio alzato.

L'orchestrina suona un valzer e la gente segue la musica col canto:

Trink, trink, Brüder mein trink,
lasse die Sorgen zu hause...

(bevi, bevi, fratello mio, bevi! Lascia a casa le preoccupazioni)

Una adolescente mongoloide, seduta in un canto con i suoi genitori, guarda il paracadutista come se vedesse un nume in terra. Un bel momento, quella ragazza si alza, viene verso di noi e siede accanto a lui. I genitori si muovono per recuperare la figlia, ma egli fa cenno di lasciarla e se la prende a braccetto come fanno in questo momento gli altri per seguire ondeggiando il ritmo dell'orchestra. La fanciulla è quieta, buona, felice e partecipante; il suo povero viso si illumina, guarda il suo idolo e gioisce di quella vicinanza. Più tardi, i genitori si alzano per uscire, recuperano la figlia e salutano con un sorriso pieno di gratitudine. Quel gesto ci fa guadagnare le simpatie di tutti, ammesso che ce ne fosse ancora bisogno.

 

Capitolo V - Per la città

L'amico vuole visitare Amburgo, che non è a due passi. Lo convinco a non cercare guai e a restare a Norimberga, dove c'è ancora molto da vedere e dove stiamo benissimo. La città reca ancora i segni vistosi delle immani distruzioni, anche se le vie sono libere e se gran parte delle macerie è stata sgomberata; ma i caratteristici edifici della Norimberga medievale, quelli con i tetti a grandi spioventi dai quali occhieggiavano file di abbaini, quegli angoli di casa i quali sporgono le vetrate delle verande non esistono quasi più: sono rimaste nelle illustrazioni delle favole dei fratelli Grimm.

La "Germania anno zero" è superata; la ricostruzione procede a pieno ritmo, come in Italia, ma con una differenza: noi abbiamo cominciato a ricostruire le case e poi le fabbriche, loro hanno proceduto in senso contrario. Sono in piena attività le industrie meccaniche, ottiche, chimiche, dei giocattoli da una vistosa insegna leggo: Farben (colori); da un'altra: Linde. Qui deve trattarsi di una industria frigorifera, dato che il barone Von Linde fu l'inventore dell'apparecchio per fabbricare l'aria liquida. All'angolo di una casa in rovina c'è un bel negozio di ottica: mi fermo e compero una macchina fotografica. L'avessi avuta quando ero in alta montagna o in Africa! Altri negozi molto interessanti sono ancora sistemati più o meno come quello, in attesa di un miglioramento che ormai non tarderà.

La gente vive ancora in convivenza nei pochi alloggi disponibili o perfino negli scantinati, ma già si vedono i segni di un benessere che comincia a diffondersi. Le comari che da Fürth si recano in tram a Norimberga o che ne tornano sono allegre e loquaci; le studentesse o le giovani sono in genere belle, si rendono conto di esserlo e parlano poco. Pochi gli uomini della nostra età: troppi ne sono caduti sui vari fronti, veramente troppi, e hanno lasciato un vuoto che ora appare in tutta la sua evidenza.

Durante la prima guerra mondiale La Germania riuscì a salvare tecnici, scienziati e inventori, mentre noi perdemmo fior di intelligenze; sarà riuscita a fare altrettanto nel recente conflitto? Lo ignoro. So soltanto che noi purtroppo abbiamo salvato diverse cantanti, quelli che via radio diffondevano i loro languidi belati nel penoso tentativo di recare sollievo a chi gelava fra le nevi, sguazzava nel fango o arrostiva sulla sabbia.

Fra le rovine si vedono scorci della città vecchia, rimasti immutati da chissà quanti anni: una abitazione sulla riva di un canale, collegata a un boschetto mediante un bel ponticello di pietra: una meraviglia! Un tempo, tutta la città era così e così è rimasta fortunosamente intatta la casa del pittore incisore Albrecht Dürer, artista sommo, che sembra scaturito più da una Firenze del quattrocento che da una città tedesca. Gli abitanti di Norimberga sono fieri di questo genio e ne hanno ben donde.

In piazza ammiro la Fontana delle Virtù, uno dei pochi monumenti che la guerra ha risparmiato; mi incuriosiscono i piccoli cannoni di bronzo che si protendono a raggiera attorno alla fontana e che servono per chi voglia bere. Basta soltanto abbassarne uno, dato che sono posati in bilico sull'orlo, e quindi bere l'acqua quando sgorga dalla volata. Proviamo un po'! Mi avvicino, abbasso pian piano la volata di uno dei cannoni e discosto da una parte, per inveterato istinto professionale, memore del detto: "davanti a i muli, dietro i cannoni, lontano dai superiori". Un bel getto d'acqua destinato a me investe il marciapiede. Il mio armeggiare ha attratto alcuni passanti che ora si allontanano delusi: ci vanno pesanti i tedeschi con questi scherzi! Solo una simpatica vecchietta si ferma con me, ride e mi spiega come funzione tutta la faccenda.

Anche il castello che domina la città è rimasto intatto. I ragazzini sono attratti dalle armi, dalle armature e toccano. Il custode deve intervenire più volte per farli smettere. Per la precisione, quei pargoletti non sono italiani.

La guida ci mostra il pozzo del castello: che sia profondissimo lo dimostra versando da una brocca una decina di getti d'acqua a intervalli di almeno un secondo l'uno dall'altro, dopo circa 10 secondi si sente l'arrivo del primo getto. Seguono gli altri, in fragoroso crescendo. La guida spiega che quel posto fu scavato ai tempi di Federico Barbarossa, e che gli scavatori erano prigionieri di guerra milanesi, i quali forse non rividero mai più Milano. Penso che anche questo spieghi l'animosità con cui i milanesi combatterono alla battaglia di Legnano: c'erano certi conti da regolare.

Andiamo a cenare dal Patrizier. I due professori ci accolgono allegramente, come al solito. Quando arriva la birra uno dei due, completamente calvo, prende il boccale, se lo pone in testa in equilibrio e si mette a danzare al suono dell'orchestrina. L'altro, che non vuole essere da meno, prende a sua volta il boccale, se lo mette in testa, si alza e si rovescia addosso tutto quel liquido schiumoso. Tutta la sala ride, come sanno ridere i tedeschi quando sono pieni di birra; la moglie sgrida l'incauto, come sanno sgridare le mogli tedesche quando sono arrabbiate. Noi mettiamo pace e poi tutti assieme ci beviamo sopra.

Il professore che è rimasto all' asciutto si mette accanto a me con il suo bravo boccale, si accerta con un'occhiata che la moglie non lo ascolti e mi sussurra:
- Ach, Italien, Italien! Ghina Lollobrìghida! Sofia Loren!
Accentua le sue eterne esternazioni con un fischio finale che attira l'attenzione della moglie, ma egli imperterrito alza il boccale e dice:
- Prosit!
Tocchiamo i bicchieri, ci allacciamo con le braccia e seguiamo ondeggiando il ritmo dell'ultimo valzer; ci alziamo per rientrare in caserma, perché è tardi. Arrivederci. Arrivederci.

Usciamo. Ormai è notte, ma la città è animata; passa gente in costume folcloristico, ma non appare affatto allegra: sono quasi tutte donne o ragazze, ognuna con una fiaccola. La fiaccolata si prolunga verso l'infinito, leggiamo i vistosi cartelli che di tanto in tanto qualcuno ha sul petto: Leipzig, Magdeburg, Stettin, Poznan, Halle, Erfurt, Dresden, Danzig, Posen, Landsberg, Freiberg, Königsberg...tutte città rimaste nella Germania est o passate alla Polonia... questi sono tutti profughi dell'est comunista. Sì, ne sappiamo qualcosa noi dei profughi giuliani dalmati. Vorrei unirmi al corteo e aggiungere alla lista delle loro città anche Zara, Pola e Fiume. Questa gente procede silenziosa, a passo lento con lo sguardo duro. Chi sa leggere in quegli occhi può capire che, un domani, la resa dei conti sarà terribile, perché questa gente non scherza.

 

Capitolo VI - Ritorno

E' arrivato il momento di tornare. Salutiamo gli amici del Patrizier, gli americani, Fürth e Norimberga: si ritorna in Italia dopo questa che è stata, tutto sommato, una bella vacanza ricca di esperienze nuove; l'amico paracadutista torna a Roma e io a Cormòns. Cosa può essere accaduto durante la mia assenza? Quando manca la gatta, i topi ballano. Ma adesso vi faccio ballare io!

Alla sede del mio comando voltavo l'ingombro di pratiche arretrate: che sia una manovra intesa a bloccare il superiore molesto? Vediamo di che si tratta e mettiamoci al lavoro. Dalla finestra vedo il Monte Quairìn; dal verde di quella lettura spicca il bianco santuario della Madonna dell'aiuto. Ne ho proprio bisogno!

 

Giacomo Ferrera