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Missione in Turchia (1965) - di Giacomo Ferrera
L'immagine presente in questa pagina è stata elaborata da Lucia Maria Izzo
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Capitolo III - La Turchia La Turchia di oggi è quel che rimane di un impero - quello ottomano - che si estendeva dalla Persia al Nord Africa, dai Balcani tutta l’Arabia. Il gran sultano se ne stava a Costantinopoli o Istanbul che dir si voglia, beato in terra. Le navi e le carovane gli portavano i tributi dai paesi più lontani e le teste recise dei funzionari disonesti o che non funzionavano; oggi, in Italia, un solo sultano non basterebbe. Quel grande impero, con il passare degli anni, dovette ridursi in limiti sempre più ristretti, ma dal Nuovo Atlante edito a Milano nel 1820 da Bertelli e Fanfani risulta che l'impero ottomano comprendesse tutti i Balcani, dalla foce del Danubio a metà Dalmazia, dalla Mesopotamia a tutta l'Arabia. Non si capisce poi bene chi comandasse dal Marocco l'Egitto: al delta del Nilo c'erano ora i Francesi, ora gli Inglesi. Altrove, i vari Beì e Pascià facevano un po' quel che volevano.
A pagina 117 del citato Atlante, alla voce “Barbaria”, si legge: “le
foreste e i deserti nascondono un gran numero di leoni, tigri e
leopardi, iene formidabili e struzzi… Al di là dell'Atlante, il paese è
infestato da scorpioni…”. Dall'Atlante edito dall'Istituto geografico
Hözels di Vienna (1913), risulta che il Türkishes Reich comprendesse
l'Asia Minore, la Siria, la Palestina e tutta la costa orientale del mar
Rosso, in più le regioni che oggi si chiamano Iraq e Kuwait.
Così la Turchia - o meglio: l'impero ottomano - si presentò al primo
conflitto mondiale a fianco dell'Austria-Ungheria e della Germania, alle
prese con gli anglo-francesi nel Mediterraneo, con la Russia zarista nel
Caucaso e nel Mar Nero, con le tribù infide degli arabi e dei nomadi a
sud i quali, sobillati dal colonnello Lawrence d'Arabia, insidiavano le
lunghissime vie di comunicazione terrestri. Le potenze dell'intesa
ritennero che la direzione d'attacco più redditizia fosse quella
attraverso i Dardanelli, sia perché avrebbe colpito la parte vitale del
dispositivo (Costantinopoli), sia perché avrebbe finalmente consentito
il collegamento con la Russia zarista, alleata e isolata. La campagna,
caldeggiata da Winston Churchill (ma guarda un po'!) cominciò male e
finì peggio. Le operazioni terrestri, svolte nel disordine più completo,
si risolsero in un disastro “da manuale”, condotto e pilotato da cretini
piramidali. Le testimonianze lasciate da pochi soldati superstiti sono
ancor oggi qualcosa di allucinante.
Le operazioni navali non andarono certo meglio: su nove navi da guerra,
tre affondate, tre malamente storpiate, tre messe in salvo in extremis.
La corrente marina proveniente dal Mar Nero trasportava gratuitamente
mine e torpedini contro il naviglio inglese, schierato per dare fuoco
navale in appoggio alle operazioni terrestri. A questo punto, devo
rivedere il mio giudizio sui generali e sugli ammiragli che, nella
nostra storia militare, non hanno certo brillato: sia ben chiaro che
nessuno ha mai eguagliato la cretineria degli anglo-francesi nel 1914-15
in Francia e a Gallipoli!
Mentre colà le operazioni procedevano regolarmente verso il disastro - e
non è che da parte loro i Turchi stessero molto meglio - il 26 marzo
1915 arrivò dalla Germania il generale Liman Von Sanders e prese il
comando del V corpo d'armata ottomano, lo riordinò come poté ed entrò in
azione. Vinse la partita perché fece meno errori degli altri, e si leccò
i baffi come un gatto. Il colonnello turco Mustafà Kemal, nella
circostanza, si rivelò un leone e si fece un nome: ne riparleremo.
Proprio allora, il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei
primi fanti artiglieri e genieri che marciavano verso l'Isonzo e verso
il Trentino il 24 maggio 1915. Il Piave calma e placido? Non credo!
Potrei avere un bollettino meteorologico dell'epoca? Il perché ve lo
spiego subito (1). Le campagne del nostro Risorgimento e quelle
successive si svolsero sotto violenti acquazzoni, famoso quello di
Solferino e San Martino nel 1859. Il 10 giugno 1940, quando l'Italia
entrò trionfalmente nel secondo conflitto mondiale, una tormenta di neve
spazzò le Alpi come d'inverno, e ci bloccò lassù poi, sul fronte russo,
il nostro corpo di spedizione sopportò uno dei peggiori inverni; così
come toccò all'armata d'Italia con Napoleone durante la campagna di
Russia. Quindi, prima di dichiarare la guerra, pensiamoci due volte.
Ma vediamo un poco quello che accadeva nel “radioso maggio” del 1915.
Sul fronte orientale il rullo compressore dell'alleata Russia zarista si
era fermato ansante e piuttosto malconcio sotto i colpi di maglio degli
imperi centrali. I franco-inglesi marcivano nelle trincee della Marna, e
pensavano che quella fosse chissà quale vittoria. L'impresa dei
Dardanelli era fallita, con perdite spaventose. Sul mare imperversavano
le navi corsare tedesche: peggio che ai tempi della Filibusta. Nelle
colonie africane, l'imprendibile colonnello Von Lettow faceva il diavolo
a quattro. Insomma, l'Intesa era - diciamo così - nei guai fino al
collo. Il nostro patrio governo era informato? Ne dubito, perché
intervenne nella “guerra breve” e nel momento peggiore. Conclusione: prima di dichiarare una guerra, pensiamoci tre volte, perché due sole non bastano.
___________________________________________________________________________________________ Giacomo Ferrera
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