Lunedì 16 agosto:
Ore
9:00. Partenza da Ankara per Erzurum su un aereo militare turco, un
Dakota C 47 denominato “ cassa da morto”. Oltre ai due piloti e a
noi, un carico di medicinali: bene, possono servire anche subito.
Dopo un volo alquanto agitato a causa delle forti correnti d'aria,
cerchiamo di atterrare su una pista a fondo naturale, a nord di Sivas, presso Erzurum. Trombe d'aria ben visibili perché portano in
alto, turbini di sabbia e di polvere impediscono di prendere terra;
dopo alcuni tentativi e dopo le conseguenti virate, il pilota si
decide e tenta l'atterraggio. Finiamo in un turbine e poi in un vuoto d'aria, che si
traduce in una caduta di circa 40 m. L'aereo sbatte sulla pista,
rimbalza e scricchiola da tutte le parti; i cartoni dei medicinali
ci rovinano addosso. Ora possiamo scendere: vediamo! Carrello
sgangherato, ala destra leggermente storta per lo sforzo. Ma ce
l'abbiamo fatta, siamo arrivati e ci salutiamo.
- Arrivederci! Dicono i piloti in turco.
- Speriamo di no! Rispondiamo noi, in italiano.
I piloti si ritirano negli alloggi; l'aereo viene trainato in
officina, dove viene riparato con sistemi artigianali e rimesso in
servizio dopo alcuni giorni. Al suo primo volo, sulla rotta Erzurum-Trebisonda, perde un'ala e precipita con a bordo una squadra
militare di calcio: nessun superstite. Era l'aereo che avremmo
dovuto prendere nel viaggio di ritorno ad Ankara.
Ore 11.50: arriviamo ad Erzurum, sull'altopiano anatolico,
a 950 m-
sul livello del mare, sede del comando di una grande unità turca. Ci
presentiamo al generale comandante, il quale ci affianca un maggiore
come accompagnatore e come interprete per tutte le visite
programmate e per tutte le attività da svolgere. Questo maggiore
turco è molto colto, ha studiato anche alla scuola militare di El
Paso (USA) ed è di ampie vedute.
Alloggiamo al circolo ufficiali e consumiamo i pasti alla mensa,
dove il generale con il suo stato maggiore prende posto su di una
specie di palco onde mettere maggiormente in evidenza il suo livello
gerarchico. La mensa puzza di montone, piatto nazionale; gli
alloggi puzzano di caprone, perché tappeti e coperte sono di lana.
Dovunque, puzza di acido capronico: finiremo per esserne impregnati
e per portarcela addosso in Italia. I servizi igienici sono rivoltanti;
dai rubinetti dei lavandini cola un liquido giallastro.
Nel pomeriggio, usciamo e visitiamo due moschee, delle quali una è famosa
per i due minareti tronchi a causa di un terremoto; tra un anno esatto,
nell'agosto 1966, un altro terremoto ridurrà Erzurum a un cumulo di
macerie. Ne parlerà tutto il mondo. Quella bella moschea tutta
ricoperta di ricoperta di
ceramica azzurra non esiste più.
Capitolo VII – Erzurum, Sarikamis, Kars
martedì 17 agosto
Vista la situazione igienico sanitaria,
raccomando di mangiare solo cibi cotti e di bere e o caffè o bevande
sigillate previa pulizia dell'imboccatura, perché qui i colibatteri
e le amebe prosperano. Se avete sete, tenetevela; per sopportarla,
masticate uno stecco o un sassolino: parla l'esperienza del Sahara.
Prediche al vento!
Le zone a est di Erzurum
e tutte le vie di comunicazione verso il confine sovietico
sono interdette ai turisti, i quali qui non arrivano perché
l'ambiente è scoraggiante. Comunque, le strade sono controllate da
posti di blocco; partiamo da Erzurum di buon mattino: percorriamo
strade a fondo naturale, di estremo interesse. Dobbiamo fermarci due
volte per cambiare le ruote, forate o tagliate. Come mai? Osservo il
fondo stradale e vedo numerosi ciottoli di selce scura che, quando
si spezzano, diventano lame taglienti e punte così aguzze da bucare
copertoni di autocarri. Ma questa, all'età della pietra, era una
miniera inesauribile: le utensilerie Solingen e le fabbriche Krupp
di quell'epoca erano qui… Manca il tempo per approfondire le
ricerche.
Ma come vivono queste pecore che vedo pascolare
grasse e ben pasciute se non c'è né erba come foraggio né
acqua per abbeverare? L'erba cresce, rada, bassa e strisciante,
buona e ricca di umori: alimento completo.
Sarikamis è un enorme complesso di caserme
costruite con mano d'opera coatta turca dai russi invasori nel 1917,
centro rioccupato dai turchi all'inizio degli anni 20; prendiamo
contatto con le unità del posto e ci diamo da fare.
Mercoledì 18 agosto
Sempre a Sarikamis continuiamo a prendere
contatto con le unità, che sono numerose e potenti.
Giovedì 19 agosto
A Kars, a est di Sarikamis: avanzando verso la
frontiera sovietica, qui si trova un altro insieme di unità di
pronto impiego. Visitiamo due posti di frontiera, mettiamo in
funzione una radio ricetrasmittente e cerchiamo di intercettare
qualche messaggio. Il maggiore turco che ci accompagna scuote la
testa e non capisce; prendo io le cuffie e sento Rita Pavone che
canta,
naturalmente in italiano: “per le che sei la mia passione/io ballo
il ballo del mattone”. Trasmettono da Leninakan, il grande centro
abitato che abbiamo davanti a noi. Traduco:
- It is an Italian
song: the brick-dance
- Das ist ein
Italienisches Lied: der Ziegelsteintanz
a dire il vero, la cosa non interessa granché,
ma costituisce una variante sul tema che stiamo svolgendo.
Lungo la strada che conduce a Kars abbiamo
notato alcuni villaggi in cui animali e persone convivevano pacificamente
negli stessi locali. Di solito, questi agglomerati di catapecchie
sono tagliati in due da un ruscelletto che raccoglie i liquami dalle
stalle e dalle case; quelle chiare, fresche e dolci acque vengono
adoperate per lavare, per rigovernare, per bere e per cucinare. La
gente gode ottima salute, forse perché è auto vaccinata. Uomini e
donne sono belle persone, di bambini che sguazzano giulivi in quel lerciume sono biondi e rosei; se fossero lavati rivestiti,
sembrerebbero olandesi o svedesi.
Di qui è passata la grande immigrazione degli
indoeuropei diretti verso nord; i Gàlati hanno voltato a ovest e
hanno popolato la Gallia, la testa della colonna è arrivata in
Scandinavia e la coda si è fermata qui. Non ci sono alberi, manca la
legna per fare fuoco. Per alimentare i focolari si adoperano,
diciamo così, torte di vacca impastate a mano e appiccicate ai muri
del paese per farle disseccare. Siamo nelle steppe dell'Asia.