I disegni che si trovano
in questa pagina
sono
stati eseguiti dall'autore e rielaborati da
Adele Chiappisi, Maria Pompea Coluzzi,
Teresa Ducci e Lucia Maria Izzo
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Capitolo VIII – Ani, la città fantasma
venerdì 20 agosto
Posto di frontiera. Il confine è segnato dal
corso del fiume Aras. Al nostro arrivo il posto di osservazione
sovietico, situato su di una vistosa altana, distacca due soldati
verso il fiume. I due procedono fieri e marziali, ma non appena scesi
dall'altra sponda del fiume, fuori dal campo di vista dei loro
superiori, depongono il fucile, si liberano dello zaino, si levano
giacca e berretto, si stravaccano sull'erba e si mettono a fumare
beati.
Per reciproca convenzione è proibito usare carte e binocoli,
indicare, fare fotografie. Ma io mi fotografo il paesaggio nella
mente: potrei rappresentarlo con uno schizzo.
Entro nella città fantasma, vuota, disabitata,
circondata da mura possenti. Sulla grande porta, come fregio, la
svastica persiana; dentro, le colonne del foro Romano, gli edifici
pubblici, muri di case private e resti di abitazioni ancora ben
conservate: sembra di essere a Pompei. Un grande edificio sulla
sponda del fiume era un monastero di suore, perché la città era
popolata da armeni convertiti ormai da tempo al cristianesimo.
Qui, fino al 1917, ha lavorato un archeologo
russo dei musei di Pietrogrado, non ancora Leningrado,
non ancora San Pietroburgo. I suoi reperti sono ancora riuniti in
una sala ricoperta da una volta: li esamino con commozione, perché
sono il primo europeo che mette piede nel locale da allora,
dall'avvento del bolscevismo cui nulla importava dell'archeologia.
Noto frammenti di terracotta ornata, strumenti di pietra, certe
ciambelle di sasso che servivano per torcere i fili di lana:
manufatti che risalgono a migliaia di anni prima dell'era cristiana.
Sono tentato di mettermi qualche oggetto in tasca, dato che sono
solo, ma non lo faccio per rispettare il lavoro che l'archeologo ha
dovuto interrompere e che qualcuno riprenderà.
Fuori città, sul fianco della collina vicino al
fiume, si aprono numerose caverne, ma non c'è tempo per visitarle,
bisogna andare. Riesco comunque a fotografare la svastica e a
visitare una chiesa cristiana che si trova nei pressi, ancora ben
conservata perché viene adoperata dai pastori come ovile durante i
temporali e dei musulmani come luogo di preghiera ad Allah. Entro e
resto ammirato: fasci di colonne, archi a sesto acuto… La
costruzione e dell'VIII-IX secolo dell'era cristiana: ma lo stile
gotico è nato qui! Chiedo al collega turco che cosa significhi
quella vecchia scritta a carbone sul muro interno della Chiesa e gli
legge e traduce: “qui Selgiuq entrò a cavallo e conquistò la
città”. Siamo nel X secolo, ma dobbiamo tornare all'epoca nostra
perché la giornata è ancora piena di impegni.
Capitolo
IX – Erzurum e dintorni
Sabato 21 agosto
Da Sarikamis ad Erzurum: continuiamo il giro
fra i reparti
Domenica 22 agosto
Interessante la visita alla divisione che combattè contro i russi a Kars e a Sarikamis e che riconquistò
Erzurum nel 1917.
Oggi il capitano degli alpini sta male: ricovero
in ospedale con febbre e gravi disturbi intestinali ha bevuto
l'acqua fresca di un pozzo… Devo sgomberare l'ufficiale in Italia
via aerea non sentirò di certo la sua mancanza, perché mi è stato
più di impiccio che di aiuto: sulle truppe da montagna ho più esperienza
io di lui.
Da lunedì 23 agosto a venerdì 27 agosto
In giro continuo fra i reparti della zona, ho
raccolto dati che possono comunque interessare, dalla viabilità alle
escursioni termiche, dall'addestramento all'impiego delle varie
unità.
Il collega turco che fa da interprete e guida
non è astemio: negli intervalli di mezzogiorno e della sera ci
facciamo dei succulenti pranzetti a base di montone arrosto con
cipolle crude e ottimo vino di Trebisonda. Egli conosce dei bei
posticini…
Tanto pago io. Così diventiamo amici.
Faccio in tempo a scrivere la
relazione sull'attività fino a oggi svolte.
Giacomo
Ferrera
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