Il disegno che si trova
in questa pagina è
stato eseguito dall'autore
e rielaborato da
Adele Chiappisi,
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Capitolo X - Erzurum, Trebisonda e
ritorno
Sabato 28 agosto
Partiamo. Trebisonda dista circa 300 km. Lungo il
percorso non manchiamo di visitare reparti e di prendere appunti, fino a
quando non si arriva a destinazione. L'artigliere sta male: colica
epatica; anche gli ha bevuto l'acqua fresca! A Trebisonda, un medico
turco lo visita, lo cura e lo mette a dieta e a letto. Io, il turco e il
capitano carrista stiamo benissimo: cappone arrosto, cipolle crude e
vino.
Domenica 29 agosto
Oggi si cambia dieta. Il turco conosce un
ristorante che sembra uno di quelli che si vedono nei film western
ambientati nel nuovo Messico, ma che è famoso per i suoi pesci barbi
al cartoccio, appena pescati nel Mar Nero. Di fronte a noi, un
armeno sta spolpando e divorando ingordamente del pesce, e reca
vistosi frammenti del medesimo sparsi e trattenuti nella folta barba.
Ci facciamo una strippata di pesce al cartoccio e scoliamo più di una
bottiglia quale giusto premio per la passata sopportazione della
gran sete, il tutto alla faccia del Profeta. L'amico turco si
sbottona e dice che i loro preti sono una massa di ignoranti.
Lunedì 30 agosto
Grande festa nazionale, a Trebisonda, con sfilata
dei reparti militari e di gruppi folcloristici. Il generale
comandante ci invita a cena: altra spanciata di pesce al cartoccio,
ma con signorile discrezione. Mentre sostiamo in giardino con altri
ospiti, la radio comunica che il generale è stato promosso, il che
aumenta l'allegria.
Martedì 31 agosto
Piove. Sospesa la visita alle fabbriche di Rize.
Mercoledì 1 settembre
Visita ad altre reparti: truppe da montagna,
fanteria, artiglieria
Giovedì 2 settembre
Da Trebisonda a Erzurum. Preparativi per il
ritorno.
Venerdì 3 settembre
Altra giornata ideale per il volo di rientro!
L'aereo civile turco (il nostro, quello militare, è già precipitato
senza di noi) parte da Erzurum, sosta a Erzinkan, a Sivas e
fortunosamente ci scarica ad Ankara. L'addetto militare non crede ai
propri occhi e fotocopia freneticamente tutti gli appunti che ho
preso: ci vivrà di rendita per un bel po'. La missione è finita, ma
il bello deve ancora venire.
Capitolo
XI - da Ankara a Istanbul
Sabato 4 settembre
Diamo un'occhiata all'aereo: è il solito Dakota
da carico, trasformato per passeggeri con la consueta ingegnosità
turca: ne sappiamo qualcosa! Alle normali file di sedie, ne hanno
aggiunto una per sfruttare al massimo la capacità di carico. Prendo
posto vicino al finestrino per scattare qualche fotografia
dall'alto. Si avvicina un distinto signore, mi vede l'uniforme e mi
domanda in turco se la sua gentile consorte possa prendere posto
accanto a me. Rispondo in italiano che ne sono onorato e che la
signora si accomodi pure. Egli me la affida, ringrazia e scende. Com'è bello intenderci così fra popoli diversi e con lingue diverse!
Ma ancora non so che mi sono preso proprio un bell'incarico. La
signora si siede: è tanto grossa è tanto larga da invadere anche il
mio sedile. Sono le ore 11.30: si parte. Mi sento benissimo, dopo le
mangiate di montone, di cipolle crude e pesci. Passa ancheggiando l’
“hostesso” con limonate e biscotti. Ne prendo alcuni e comincio a
rosicchiare mentre guardo fuori. L'aereo rulla e poi si alza
faticosamente in volo.
Già si avvertono i primi vuoti d'aria, che
provocano l'emissione di strani gorgoglii da parte della signora, la
quale mi guarda con occhi bovini come quelli di Filomedusa Boòpis di
cui parla fugacemente Omero nell’Iliade. Con la mano libera dai
biscotti, afferro un sacchetto e lo preparo per la triste bisogna
che si profila imminente. Filomedusa me lo riempe all'istante. Pronto un altro, e poi un altro, e un altro ancora… Il povero “hostesso”
si precipita, sgombera, e intanto mi serve altri biscotti perché
sento una punta di fame. Esauriti i sacchetti a portata di mano,
mi faccio dare quelli dei vicini e aiuto quella poveretta con parole
di conforto.
- Ma cara
signora, sono cose che capitano, faccia pure, si liberi senza
riguardi. Mi salvi solo la divisa e la mano destra con cui sto
mangiando; per il resto, non ci sono problemi.
Filomedusa mi guarda con occhi riconoscenti.
Finalmente la poveretta riesce a liberarsi completamente, quindi si
accascia esausta e chiude gli occhi.
Guardo fuori, l'ultimo lembo di questo altopiano
triste e squallido, privo di alberi, rigato da qualche corso d'acqua
magro e fangoso, e scatto una panoramica. Vedo davanti a noi l'imponente
catena dei monti che bordano l'altopiano anatolico; mi pare che l'aereo
punti diritto contro la parete di una montagna. Sento i motori che
arrancano al massimo per guadagnare penosamente quota, ma la parete si
profila sempre più vicina. Ormai non riusciamo a superarla. Ma non ho
visto che davanti a noi si apre, tra due cime, un passo montano. L'aereo
si infila proprio lì, sfiora quasi il terreno brullo sul quale posso
contare i sassolini e si butta sull'altro versante: ci ritroviamo
altissimi perché abbiamo superato l'orlo dell'altopiano.
Alle ore 11:45 atterriamo a Istanbul. Per scendere,
devo aspettare che Filomedusa si alzi; per fortuna, la signora è attesa,
qualcuno arriva per riceverla e per aiutarla.
- Mi scusi tanto per il disturbo che le ho arrecato,
la ringrazio per tutto quello che ha fatto per me! - Dice Filomedusa in
turco,
con i suoi grandi occhi buoni.
- Non dica questo, cara signora! Non mi ha recato
alcun fastidio. La sua compagnia mi è stata molto gradita. Mi ricordi
tanto a suo marito! - Dico in italiano.
Si scende. Alloggio al Plaza hotel, camera con vista
sul Bosforo. Come in tutti gli alberghi fino ad ora visitati, noto fori
nelle porte e nelle tende delle finestre che danno sui terrazzi: ne
deduco che i turchi sono dei guardoni.
Si riparte domani; abbiamo 24 ore di tempo per vedere
Istanbul. Me ne vado a visitare una moschea, la via dei bazaar e il
ponte di Gàlata, in mezzo alla gente. Vicino al ponte c'è una barca con
dentro tre uomini indaffaratissimi: il primo pesca, pulisce i pesci e li
getta ancora saltellanti in un calderone di olio bollente, il secondo
regola fuoco in cottura, quindi passa i pesci cotti al terzo; questi ha
pronto un cestone di pagnotte già tagliate in due, mette dentro il pesce
cotto, vende ai passanti e incassa i soldi. Il profumo è delizioso. Mai
vista simile organizzazione: dal produttore al consumatore!
Passo la notte alla finestra e non mi stanco di
guardare il Bosforo
Giacomo
Ferrera
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