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Il "falco alto levato"

di Paola Lerza

 

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Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato
(Eugenio Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, in Ossi di seppia)


Ci hanno chiesto quale modello seguiamo. Quale modello pedagogico, formativo, operativo… quale tra i vari modelli che sono stati e che sono oggetto di studio di tanti guru e mostri sacri della comunicazione a distanza. Mi è venuto da dire che non seguiamo nessun modello, che ce ne costruiamo uno giorno per giorno e sempre diverso, ogni volta che ci incontriamo, ci parliamo al telefono, nel forum o sulla chat, ogni volta che ci scriviamo una mail o che inventiamo una pagina web. Modello “genio e sregolatezza”, se proprio vogliamo dargli un nome. Ma forse è un po’ pretenzioso… caliamo.
Possiamo dire che il nostro è stato comunque un iter di formazione molto atipico, molto sui generis. Sono i termini più scientifici e comprensibili che mi vengono in questo momento. Se dovessi dire invece quello che mi viene dal quore (e con sua buona pace anche mamma Ortografia può andarsene al diavolo), ripeterei una frase fatta e scontatissima, operando una lieve correzione. La frase dice: “facciamo il possibile… per i miracoli ci stiamo attrezzando”. Ebbene, noi ci siamo attrezzati, ed ecco la correzione: il miracolo lo abbiamo fatto. Sì, signori, perché la forza (in termini dotti mi pare si chiami sinergia) che esce dal nostro gruppo è un miracolo. In quale modello socio-inter-psico-peda- si collochi tutto questo, francamente non lo so. Preferisco pensare che abbiamo scombinato i pedagogismi da manuale, destrutturato il sistema decimale, destabilizzato l’atomo, sforato lo schema metrico. Un po’ come il falco alto levato di Montale: la coda assurda – ma assolutamente geniale – di un verso straordinario, un verso che “buca” la gabbia dell’endecasillabo per volare, per volare alto. Il falco alto levato. La voglia di volare, il piacere di volerlo fare insieme, il miracolo di riuscire a farlo. Il propellente non è quello solito, però, non è quello convenzionale: niente idrocarburi… inquinano, lo sappiamo tutti. E’ un mix di entusiasmo, amicizia, affetto, professionalità, ma soprattutto di tanto, tanto quore. E se qualcuno si azzarda a correggere, sappia che dovrà sorbirsi dalla sottoscritta una lezione interminabile sulle potenzialità intensive delle labiovelari. Quindi non lo faccia: ne andrebbe della sua salute mentale.
Siamo un gruppo di insegnanti, è vero. Ma prima che insegnanti siamo persone, siamo esseri umani, siamo amici. Normalmente, quando sei a scuola, te ne importa abbastanza poco del collega della porta accanto. Del collega online, poi, non te ne frega proprio niente, manco lo conosci. Noi ci conosciamo, invece, e soprattutto ci vogliamo bene. Ed è molto, molto diverso. E’ un rovesciamento di prospettiva, direi. Noi mettiamo sul tavolo innanzi tutto la nostra voglia di comunicare, di stare insieme, di divertirci e di cazzeggiare. Oopss… pardon. Nemmeno questo è un termine adatto. Ok, ok, si chiama l’aspetto ludico, correggiamo. Il lavoro viene da sé… non c’è bisogno di chiedere o di programmare, di stabilire obiettivi, destinatari, risorse o tempi. Anche perché non si tratta quasi mai di “lavoro” e basta. In genere sono idee, il che è un’altra cosa. Il lavoro è indotto, è programmabile, quantificabile, ha un prezzo. Le idee, invece, sono qualcosa di molto simile ai sentimenti… penso che ci siamo capiti. In termini più consoni e conformi (a cosa, poi?), dovrei dire che la fase operativa è il derivato naturale di una particolare attività creativa, che costituisce la piattaforma di lancio del gruppo. Anche se nessuno di noi è un genio. La genialità, se c’è, è un prodotto collettivo, un mosaico che si compone con le tessere di tutti. Avere la consapevolezza di questo suscita un sentimento che ritengo molto simile a quello che gli uomini – scienziati e non – definiscono felicità.
In quale tipo di casistica questo rientri, lo ripeto, onestamente non lo so. Forse, più che in una casistica, rientra in una casinistica. Se qualcuno vuole prendersi la briga di studiarsela, faccia pure. Noi lo guardiamo volentieri, ma – senza superbia, beninteso – dall’alto, come il falco. Il falco alto levato.


POSTILLA: UNA LETTURA ARBITRARIA E ALLEGORICA DEL TESTO DI MONTALE

Leggetevi i versi di Montale… un poeta genovese, guarda caso…. Leggeteli bene, meditateli, misurateli. Pensate al significato che normalmente viene loro attribuito dalle antologie scolastiche, e che cerco di parafrasare a modo mio: in questo schifo di mondo non ho mai conosciuto altro bene al di fuori della divina Indifferenza, che è un prodigio, un miracolo, una condizione tanto ottimale quanto difficile da raggiungere. E’ il distacco nella consapevolezza, la capacità di non farsi travolgere dagli eventi e di mantenere il proprio equilibrio e la propria indipendenza intellettuale. E chi ce l’ha, questa divina Indifferenza, tanto divina da meritare addirittura l’iniziale maiuscola? Ce l’hanno esseri lontani e non terrestri, evanescenti e labili, come una nuvola, oppure oggetti statici, inanimati, inattivi e muti come una statua che dorme sotto il sole. Ma ce l’ha anche il falco, perché sa che può levarsi, andare in alto, andare lontano. E il falco è vivo, è una creatura animata, dotata di moto proprio e di libero arbitrio; proprio per questo “buca” lo schema fisso dell’endecasillabo e spicca il suo volo oltre le barriere dei canoni formali. Fin qui ci siamo, mi pare: sono cose già dette, già viste, già scritte.
Ora, però, provate a pensare al mondo della scuola, al nostro piccolo mondo. Anche qui, raggiungere la divina Indifferenza è un prodigio non da poco. Qualcuno ce la fa, però, e anche senza troppa fatica. Ce la fa il collega che si isola nella sua torre d’avorio e che vive in una dimensione lontana, tutta sua, come la nuvola; ce la fa il collega che subisce passivamente perché non gliene può fregare di meno o perché non vuole fastidi, come la statua. E ce la fa il falco. Ma qui le conclusioni le tirate voi, e magari chissà… un giorno la letteratura socio-inter-psico-peda ve ne renderà merito.