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«Chi sono? Donde
vengo? Dove vado?». Le domande canoniche che l'uomo si pone da
sempre, nel tentativo di motivare razionalmente la propria
esistenza, riguardano lui stesso, il singolo, l'io. Ma mentre
una risposta razionale è stata ed è oggetto di ricerca da parte
del filosofo, il poeta si dispone all'autoanalisi partendo da
un'ottica soggettiva, personalissima, che solo attraverso
l'elaborazione artistica raggiunge parametri universali.
L'antichità classica è piuttosto avara di poesia a carattere
introspettivo, preferendo in genere, nell'ambito della lirica,
componimenti encomiastici, amorosi o d'occasione. Più personale
rispetto al mondo greco appare l'elegia latina, in cui il poeta
parla diffusamente di se stesso e dei propri stati d'animo,
senza tuttavia giungere a vere e proprie meditazioni
esistenziali, che restano prerogativa degli ambienti
filosofico-religiosi, soprattutto nel periodo di crisi che
caratterizzò i primi secoli dopo Cristo.
Il Medioevo tende a proiettare l'individuo sullo sfondo del
rapporto uomo-Dio, avvertendone problematicamente le
contraddizioni e le difficoltà. L'io è quindi spesso oggetto di
un'analisi tormentata e a volte spietata; su di lui grava talora
quel senso di colpa che deriva dall'essere uomo e che spinge
costantemente alla ricerca di una non facile redenzione.
I secoli successivi, più protesi alla scoperta della realtà
esterna e dei rapporti socio-politici in genere, offrono pochi
spunti alla meditazione intimistica e soggettiva: il singolo,
considerato ora parte integrante di un tutto armonico, ora
infinitesimo frammento del cosmo, rimane prevalentemente
oggetto, e non soggetto di analisi.
La grande affermazione dell'io come essere unico e irripetibile,
dotato di forza creativa, si ha in epoca romantica, tra la fine
del XVIII e l'inizio del XIX secolo, quando il nuovo
individualismo - esasperato a volte fino al titanismo - condurrà
alla riscoperta della dimensione interiore. I poeti romantici,
italiani e stranieri, hanno offerto testimonianze di altissimo
valore artistico, che vanno dal ripiegamento malinconico su se
stessi all'autoesaltazione eroica, in una serie variegata e
ricchissima di soluzioni.
Nel mondo poetico
moderno l'io mantiene una posizione di grande rilievo,
sottolineata ulteriormente dagli enormi divari che la nostra
epoca ha aperto tra scienza e coscienza, tra società e
individuo, tra le molte possibilità di illudersi e l'unica
realtà del quotidiano. Una prospettiva così contraddittoria fa
sì che su un pianeta sovrappopolato l'io si ritrovi solo, che
nell'era della telematica si scopra incapace di comunicare, che
di fronte ai prodigi della scienza appaia sempre più restio ad
accettarsi come persona limitata e mortale. I poeti colgono oggi
su se stessi queste antinomie e le traducono nei loro versi con
varie tonalità che, prendendo le mosse da un senso generale e
comune di stanchezza, vanno dalla rassegnazione disincantata per
una sorte immutabile alla volontà - coscientemente inutile - di
ribellione e di fuga. |
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LO SPECCHIO
DELLE PAROLE |
VOCE |
ETIMOLOGIA |
SIGNIFICATO |
EGO |
voce
latina: «io» |
termine usato in psicanalisi per indicare
l'io. |
ALTER EGO |
voce
latina: «un secondo io, un altro io» |
persona che ne rappresenta pienamente
un'altra e ne costituisce un sostituto;
in psicanalisi indica lo sdoppiamento di personalità. |
SUPER EGO |
voce
latina:«super-io» |
in
psicanalisi, il modo di essere dell'io
sotto il
profilo etico e comportamentale. Tale modo è condizionato
dall'educazione ricevuta (genitori, ambiente sociale,
ecc.). |
EGOCENTRISMO |
da
egocentrico (dal fr.
égocentrique) |
atteggiamento mentale che subordina all'io ogni aspetto della
realtà esterna. |
EGOISMO |
dal fr.
égoisme |
eccessivo amore di se stessi, anche a scapito del bene altrui. |
EGOTISMO |
dall'ingl.
egotism |
esaltazione eccessiva di se stessi; eccesso di introspezione. |
IDENTITA' |
dal
lat. tardo identitas |
l'essere
identico; l'insieme delle caratteristiche
peculiari di una persona o cosa; in psicanalisi, la coscienza di
se stessi e della propria personalità. |
NARCISISMO |
da
narciso, «giovane
frivolo e
vanitoso». Nella mitologia,
Narciso era un giovane che si invaghì della propria
immagine
riflessa nell'acqua |
atteggiamento di eccessivo amore e compiacimento per la propria
persona. |
SOLIPSISMO |
comp.
del lat. solus «solo» e ipse «stesso» |
dottrina filosofica che ritiene l'io come
l'unica
realtà esistente; teoria che assume
come norma etica fondamentale
l'utile
individuale; egocentrismo esasperato. |
TITANISMO |
da
titano, gigante mitologico
che con altri suoi simili fece guerra
a Zeus |
spirito di ribellione contro forze o entità
superiori
(il destino, la divinità, il potere...). |
VITTIMISMO |
da
vittima |
atteggiamento di chi vuole mostrarsi vittima degli eventi o
degli altri. |
|
A COLLOQUIO CON LA
PROPRIA ANIMA
1 - Adriano, Animula; 2:
Marco Aurelio, Ricordi, X, 1
Gli autori di
questi due componimenti sono assai più noti per la loro attività
politica che per quella letteraria: si tratta infatti di due
imperatori romani che, a distanza di circa trent'anni uno
dall'altro, espressero con lucida consapevolezza la propria
dimensione umana. Le loro parole hanno il sapore del bilancio,
il tono di chi sta per conchiudere il suo ciclo vitale e appare
già proiettato in una dimensione ultraterrena.
La tradizione vuole che Adriano abbia dettato i suoi versi - gli
unici che possediamo di lui - sul letto di morte, quando già gli
si profilavano davanti le tenebre dell'oltretomba pagano. Nello
stile estetizzante e un po' lezioso della poesia del suo tempo
l'imperatore rimpiange la vita passata, in cui l'anima,
piacevole compagna del corpo, gli offriva momenti di distensione
e di svago.
Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, appare invece più
problematico, proteso nella speranza di raggiungere l'atarassia,
l'imperturbabilità, l'assenza di desideri e di passioni che
costituiva per gli stoici il sommo bene. Libera dai legami del
corpo, oltre i confini dello spazio e del tempo, la sua anima
potrà un giorno ricongiungersi allo spirito universale ed essere
in armonia completa con il tutto.
|
1
O mia animuccia
vaghetta e carezzevole,
ospite e compagna del corpo,
che ora te ne andrai in luoghi
palliducci, freddi e desolati,
e non mi darai più sollievo, come fai ora. |
NOTE
1 animuccia:
il breve componimento, scritto in uno stile artificioso, è ricco
di vezzeggiativi anche aggettivali (vaghetta, palliducci)
che hanno lo scopo di rendere più intimo il colloquio con
l'anima.
2 luoghi.... desolati: è la visione
dell'oltretomba pagano, luogo sotterraneo immerso in una
luce fioca (palliducci) e privo di vita (freddi e
desolati).
|
2
Sarai dunque un
giorno davvero buona, anima mia? e semplice e una e ignuda? e
più visibile del corpo che tutta ti avvolge? Potrai dunque un
giorno gustar condizione di pieno amore, di affetto immenso? E
sarai davvero completa un giorno nella tua sazietà? con quello
che oggi ti manca?
Oh! allora non desidererai più nulla, non cercherai più nulla,
non cosa vivente, non inanimata cosa da cui attingere qualche
godimento; non desidererai che ti sia concesso altro tempo,
perché il piacere duri più a lungo, non opportunità di luogo, di
spazio, di clima; non relazione e simpatie di compagni; bensì ti
sentirai contenta della tua condizione presente, lieta di tutto
quanto ti avviene. E infonderai in te persuasione che quanto
possiedi, dagli Dei ti è concesso; e che tutto va bene, e che
tutto anzi andrà bene, quello che agli Dei è caro e quello che
intendono mandarti per dar salute a questo Vivente perfetto,
buono, giusto e bello; questo Vivente che tutte le cose viene
ingenerando e le contiene e le abbraccia e le raccoglie, via via
che si dissolvono, per generazioni di simili altre.
Sarai dunque davvero un giorno così?
Un'anima capace di vivere in comune società con Dei e con
uomini? un'anima che non conoscerà mai rimprovero, che non dovrà
mai riceverne?
trad. E. Turolla, Rizzoli, Milano 1989.
|
1 e semplice e una e
ignuda: secondo la concezione stoica l'anima dopo la morte si
spoglia del corpo (semplice e ignuda) per ricongiungersi, entro
breve tempo, al principio
creatore universale.
2
E sarai... manca?: L'obiettivo ultimo del
filosofo è il raggiungimento della sazietà, condizione
in cui, non provando più né desideri né passioni,
si resta imperturbabili. L'espressione un giorno è
qui in forte contrasto con oggi e lo scarto temporale dà la misura della differenza delle due condizioni.
3 altro tempo ... più a lungo: è uno dei grandi
desideri umani: avere più tempo a disposizione per godere più a lungo dei piaceri della vita.
4 dagli Dei: Marco Aurelio non rinnega la religione tradizionale: anche gli dei pagani sono parte dell'ordine
cosmico che fa capo allo spirito universale, principio
creatore di ogni cosa.
5 Vivente perfetto: è il cosmo, da cui
trae origine ogni forma di vita e di movimento. Ogni singolo
organismo deve contribuire al funzionamento del cosmo in armonia
con esso ed essere riassorbito in esso al termine del suo ciclo
vitale.
6 viene ingenerando.... altre: i cicli vitali si ripetono
sempre uguali all'interno del cosmo.
7 che non conoscerà mai rimprovero:
la dirittura morale è uno
dei cardini della filosofia di Marco Aurelio.
|
|
PERCORSO DI
LAVORO
Dalla lettura del testo...
Quali espressioni,
nei due componimenti, sottolineano la dimensione umana
dell'anima? Quali invece la proiettano verso un'altra
dimensione?
...alla
riflessione sul testo...
I due autori
hanno della propria anima e del destino che la attende una
concezione assai diversa. Riflessioni.
...alla
produzione oltre il testo
In quali
accezioni usiamo oggi i termini «animo» e «anima»? Sono termini
equivalenti o dotati di autonomia di significato?
CLICCA - Immagini
realizzate da Alida Fonnesu e Teresa Ducci |
|
PASSA LA NAVE MIA
F. Petrarca, Canzoniere
CLXXXIX
L'inquietudine e
il tormento che derivano da uno stato d'animo stravolto da aspre
passioni costituiscono il nucleo tematico del sonetto costruito
su una finzione allegorica: l'immagine della nave che solca un
mare in tempesta è il mezzo attraverso il quale il poeta
confessa il cupo travaglio della sua anima. |
Passa la
nave mia colma d'oblio
per aspro
mare, a mezza notte, il verno
enfra Scilla e
Cariddi; et al governo
siede 'l
signore, anzi 'l nimico mio;
a
ciascun remo un penser pronto e rio,
5
che la tempesta e
'l fin par ch'abbi a scherno;
la vela rompe
un vento umido, eterno
di sospir, di
speranze e di desio;
pioggia
di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna e rallenta
le già stanche sarte,
10
che son d'error
con ignoranzia attorto.
Celansi
i duo mei dolci usati segni;
morta fra l'onde è
la ragion e l'arte:
tal ch'i' 'ncomincio
a desperar del porto.
METRO: sonetto
(schema ABBA, ABBA, CDE, CDE) |
NOTE
la nave mia:
la nave è la vita stessa che è colma d'oblio perché, travolta
dalle passioni, è dimentica di sé e di ogni dovere.
aspro:
«agitato, furioso».
a mezza notte,
il verno: la nave è immaginata in navigazione nella stagione
(l'inverno) e nell'ora (mezzanotte) meno propizie; è così
accentuato il senso di turbamento che connota l'inizio del
sonetto.
Scilla e Cariddi: il poeta allude a pericoli imminenti e
mortali riferendosi ai gorghi e agli scogli dello stretto di
Messina. Scilla è l'alta rupe sporgente all'entrata dello
stretto, assai pericolosa per i naviganti; Cariddi è il vortice
di fronte alla rupe Scilla.
al governo: «alla guida della nave».
'l signore: è Amore.
'l nimico mio: Amore è nemico perché procura tormento e
infelicità; Laura infatti non corrisponde il sentimento del
poeta, il quale peraltro sente anche, con smarrimento, che una
passione sensuale lo distoglie dal suo puro amore per la donna.
a ciascun remo ... rio: «a ciascun remo (siede) un
pensiero audace e malvagio». Continua l'allegoria della nave,
governata da Amore e mossa da remi, ogni battere dei quali è un
pensiero colpevole.
che la tempesta... scherno: «che pare schernire la
tempesta (del cuore del poeta) e il naufragio (che l'attende)»,
cioè la morte e la rovina dell'anima.
vento umido, eterno: il vento, che rappresenta i sospiri,
le speranze e i desideri del poeta, è umido perché gonfio di
passione ed è eterno perché senza sosta.
desio: «desiderio».
pioggia di lagrimar: «pioggia di lacrime».
nebbia di sdegni: l'espressione indica l'atteggiamento
sdegnoso di Laura nei confronti del poeta.
sarte: «sartie», ormai fradice e non più resistenti
(stanche).
che son ... attorto: «(le sartie) sono (fatte) di errori
attorti con l'ignoranza».
Celansi... segni: gli occhi di Laura, che sono per il
poeta due dolci guide, si celano, come si nascondono le stelle
che indicano ai naviganti la rotta.
La ragione e l'arte: «la scienza e l'arte del navigare»,
cioè la capacità di vivere conformemente alla ragione.
tal ch'i'... porto: il poeta, inquieto e tormentato,
dispera di di salvarsi dalla tempesta della vita.
|
CLICCA -
Immagini realizzate da Fernanda La Marca e Rita Marianella |
PERCORSO DI
LAVORO
Dalla lettura del
testo...
Nel sonetto
l'immagine della nave è allegorizzata attraverso una serie di
particolari. Individuarli e interpretarli.
...alla
riflessione sul testo...
Cogliere la
condizione di tormento interiore del poeta e motivare il suo
inquieto smarrimento.
...alla
produzione oltre il testo
La ricerca
all'interno di noi stessi porta spesso alla luce un fondo di
inquietudine, di angoscia e di insoddisfazione. Quali motivi
possono determinare questa condizione di disagio interiore?
|
|
IL DUBBIO AMLETICO
W. Shakespeare, Amleto
a. III sc.1
Amleto, l'eroe
shakespeariano del dubbio, affronta in un famosissimo monologo
l'eterno dilemma tra vita e morte, tra il rischio di vivere
nella sofferenza e la certezza di perdere l'unica cosa che si
possiede, l'esistenza. È una strada senza via d'uscita quella
intrapresa dall'uomo-Amleto, un percorso che cozza contro
l'impossibilità assoluta dei mortali di prevedere il proprio
destino. Così la scelta di vivere sopportando passivamente
quello che la sorte riserva può tradursi in un atto di
vigliaccheria, un non voler sottoporre se stessi ai mali, forse
ancora maggiori, dell'ignoto che si apre oltre la morte. Amleto,
che nel monologo mostra tutta la sua fragilità di essere umano,
diventa quindi un simbolo: l'eroe negativo dell'incertezza
consapevole e dell'attaccamento alla vita che costituiscono, in
ultima analisi, la condanna eterna e il tratto distintivo
dell'uomo. |
AMLETO:
Essere, non essere
qui sta il problema: è più degno patire gli strali, i colpi di
balestra, di una fortuna oltraggiosa, o prendere armi contro un
mare di affanni, e contrastandoli por fine a tutto? Morire,
dormire, non altro, e con il sonno dire che si è messo fine alle
fitte del cuore, a ogni infermità naturale alla carne, grazia da
chiedere devotamente. Morire, dormire. Dormire? sognare forse.
Ecco il punto, perché nel sonno di morte quali sogni
intervengano a noi sciolti da questo viluppo, è pensiero che
deve arrestarci. Ecco il dubbio che tiene in vita a così tarda
età gli infelici, perché chi vorrebbe subire la sferza e gli
sputi del tempo, i torti dell'oppressore, contumelie dall'uomo
arrogante, pene per l'amore sprezzato, remore in luogo di legge,
gli uffici e la loro insolenza, e gli oltraggi che il merito
paziente ha inflitti dalla iniquità, quando egli stesso,
nient'altro che con un pugnale, potrebbe far sua la pace? Chi
vorrebbe portare some, gemere, smaniare sotto una vita
opprimente, se lo sgomento di qualcosa dopo la morte,
l'inesplorato dei continenti dalla cui frontiera non c'è
viaggiatore che torni, non intrigasse la volontà, facendo
preferire il peso dei mali presenti al volo verso altri di cui
non si sa? È la coscienza che ci fa vili, noi quanti siamo. Così
la tinta nativa della risoluzione si stempera sulla fiacca
paletta del pensiero, imprese di grande flusso e momento
insabbiano il loro corso e perdono il nome di azione.
trad. L. Squarzina, Newton Compton, Roma, 1990 |
NOTE
essere, non essere: vivere, esistere, oppure no: questo è
il dubbio di Amleto.
gli strali: «i dardi», cioè i colpi.
balestra: arma da lancio simile all'arco ma governata da
una leva.
fortuna oltraggiosa: «destino avverso».
Morire, dormire: spesso il sonno, in quanto stato di
incoscienza e di immobilità, è stato accostato all'immagine
della morte.
fitte... carne: la morte può porre fine alle sofferenze
dell'anima e del corpo.
Ecco... intervengano: il sogno rappresenta nel sonno di
morte un elemento di disturbo, un qualcosa di ignoto che può
turbare la quiete immobile della morte stessa, il fattore di
rischio che non siamo in grado di calcolare e che ci tiene
avvinghiati alla vita.
viluppo: «groviglio».
contumelie: «offese».
remore: «indugi, ritardi».
gli uffici: i doveri imposti dalla società.
gli oltraggi... iniquità: chi lavora pazientemente è
spesso offeso e umiliato dai malvagi.
non intrigasse la volontà: la paura della morte e di
quello che può esserci dopo è sufficiente a confondere la
volontà di chi sarebbe propenso a vedere nel suicidio una
soluzione ai suoi mali.
la tinta ...pensiero: l'impulso dell'istinto perde vigore
(si stempera) nel momento in cui subentra il ragionamento.
momento: «importanza»
|
|
PERCORSO DI LAVORO
Dalla
lettura del testo...
Ricercare nel
testo tutte le espressioni che definiscono la morte.
...alla
riflessione sul testo...
Per quale
motivo il dubbio amletico non ha soluzione? Quale vi sembra la
posizione dell'autore nei confronti della vita umana?
...alla
produzione oltre il testo
II problema del
suicidio ha trovato nei secoli diverse soluzioni filosofiche e
religiose. Eseguite una breve ricerca in proposito ed esponete,
se lo desiderate, il vostro parere a riguardo.
Immagine
realizzata da Teresa Ducci |
|
A se stesso
G. Leopardi, Canti
Con la conclusione
di un'intensa parentesi amorosa il Leopardi consuma l'ultima
illusione e rinsalda la consapevolezza dell'amara realtà della
sua condizione di uomo che, pur cosciente dell'ineliminabile
infelicità, ha ceduto agli inganni del cuore. Da questa dolorosa
esperienza biografica nasce il breve canto A se stesso in
cui sono affermati con ritmo rotto e vigoroso, «in una musica
senza melodia e senza colori» (Binni), una totale aridità di
sensazioni, il definitivo disprezzo per il mondo ridotto a
fango, la coscienza eroica della tragica condizione degli uomini
e della propria dignità morale. |
Or poserai per
sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non vai cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta ornai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Ornai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.
METRO: strofe di sedici versi (endecasillabi e
settenari)
Immagine realizzata da Gisella Malagodi |
NOTE
Or poserai per
sempre: «ormai riposerai per sempre». Il poeta esprime la
ferma volontà di non cedere mai più alle illusioni, dopo la
dolorosa esperienza d'amore vissuta per Fanny Targioni Tozzetti,
da lui conosciuta a Firenze nel 1830.
stanco mio cor:
l'animo del poeta è prostrato per il susseguirsi delle
disillusioni.
Perì l'inganno
estremo: «fu distrutto l'ultimo inganno» del cuore,
l'illusione d'amore suscitata dalla donna.
ch'eterno io mi
credei: «che io credetti eterno».
Peri: il
verbo, così isolato, esprime nella sua essenzialità il motivo
tragico della caduta dell'inganno estremo.
ben sento ...
spento: «sento ormai che non è spenta solo la speranza, ma
anche il desiderio dei dolci inganni d'amore in me e in te
(mio cuore)». Il cari riferito agli inganni sottolinea
l'intonazione affettuosa e nostalgica con cui il poeta si
rivolge al mondo delle illusioni.
Posa per
sempre: è ripetuta in tono più pacato l'esortazione del
primo verso.
Assai: «fin
troppo».
Non vai...
tuoi: «nessuna cosa merita i tuoi palpiti»: il Leopardi
afferma in questo modo con orgoglio la propria superiorità
morale: egli demitizza il mondo e la vita.
Amaro e noia...
mondo: l'unica realtà della vita umana è l'alternanza di
dolore (amaro) e di noia.
T'acqueta omai:
è da notare il climax discendente di questa esortazione
rispetto a quelle dei versi 1 e 6.
Dispera
l'ultima volta: «lascia per l'ultima volta le illusioni»: il
Leopardi tende al totale annullamento di tutti i sentimenti;
solo in questo modo potrà raggiungere la desiderata quiete.
Al gener nostro
... morire: la morte è l'unico dono concesso dal fato al
genere umano.
disprezza...
poter: «disprezza te (perché destinato alla morte e capace
di abbandonarti alle illusioni), la natura (che genera gli
uomini al dolore e alla noia) e il brutto poter (della maligna
forza che regge l'universo)»
ascoso:
nascostamente.
a comun danno
impera: «con la sua potenza prepara per il danno degli
uomini».
e l'infinita
vanità del tutto: è la vanità dei dilettosi inganni negati
dalla natura: l'espressione richiama il vanitas vanitatum et
omnia vanitas («vanità delle vanità e tutto è vanità») dell'Ecclesiaste,
ma con accezione diversa.
|
PERCORSO DI LAVORO
Dalla
lettura del testo...
Studiare
l'«architettura» del componimento e, individuati i contenuti,
presentare lo sviluppo del pensiero del poeta.
...alla
riflessione sul testo...
Nel canto A se
stesso il poeta trascende il dato autobiografico per
riaffermare, di fronte all'amara realtà del dolore e della noia,
la fierezza della propria rivolta. Quali sono le componenti di
questo clima di eroica tensione?
..alla
produzione oltre il testo
Che cosa è la
poesia? Perché il poeta scrive? Per chi scrive?
|
|
taci, anima stanca di
godere
C. Sbarbaro, Pianissimo
In un colloquio
disincantato con la propria anima, Sbarbaro esegue un lucido
esame di se stesso: condannato al silenzio
dell'incomunicabilità, ormai incapace di provare ogni genere di
sentimenti, non può che sentirsi un estraneo, un «sonnambulo»
nel deserto del mondo.
L'anima appare prima come entità indipendente, separata dal
poeta; in un secondo tempo si fonde con lui, depositaria del suo
disagio esistenziale. |
Taci,
anima stanca di godere
e di soffrire (all'uno e all'altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
5
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata.
10
Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato...
Invece camminiamo,
15
camminiamo io e te
come sonnambuli.
E gli alberi
son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
20
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
Nel deserto
25
io guardo con
asciutti occhi me stesso.
METRO: versi liberi, in prevalenza
endecasillabi
|
NOTE
Taci: è un indicativo, con il quale il poeta prende atto
di uno stato di cose.
di godere e di
soffrire: la gioia e il dolore suscitano nell'anima soltanto
stanchezza e indifferenza.
rassegnata:
la rassegnazione è l'unico sentimento presente nel poeta (cfr.
anche v. 10).
Nessuna voce:
torna il concetto del silenzio, del mutismo in cui l'anima si è
rinchiusa (cfr. anche vv. 9 e 22).
tedio:
«noia»: è un sentimento tipicamente leopardiano
rassegnazione disperata: «rassegnazione senza speranza»,
cioè senza rimedio o possibilità di mutamento dello stato delle
cose.
se il cuore... il fiato: anche la morte non desterebbe
stupore nel poeta, che si sente già interiormente morto.
come
sonnambuli: il sonno è per Sbarbaro una sorta di vita
parallela e apatica.
quel che è: nulla, cioè, può essere interiorizzato, con nulla si
può comunicare al di là della vuota apparenza esterna.
la sirena
del mondo: è la varietà dell'universo,secondo la definizione
che ne dava D'Annunzio (Maia I, 47-49, 62-63): «Diversità,
sirena/del mondo». Sbarbaro intende contrapporsi alla poesia
coreografica dannunziana proponendo una poesia umile e dimessa.
Nel deserto
... me stesso: il poeta ribadisce la lucidità della sua
autoanalisi, priva di cariche emotive e sentimentali (con occhi
asciutti).
|
|
PERCORSO DI
LAVORO
Dalla lettura del testo...
Isolare i
sentimenti presenti nella lirica e individuare le espressioni
che negano la loro esistenza nell'animo del poeta.
...alla
riflessione sul testo...
Definire il
rapporto che l'autore ha con la propria anima e con il mondo
esterno.
...alla
produzione oltre il testo
«Tutto è quello
che è, soltanto quel che è». Siete d'accordo con questa
affermazione? Quali riflessioni vi suggerisce?
Immagine
realizzata da Gisella Malagodi |
|
spesso il male di vivere
ho incontrato
E. Montale, Ossi di
seppia
Il male di
vivere, perno della poetica montaliana, è il fondo di
sofferenza esistenziale che intride ineluttabilmente tutti gli
esseri viventi e che si percepisce in particolare nello
spezzarsi violento del tempo. L'unico modo per sottrarsene è il
distacco reso possibile dall' Indifferenza, una forma di
assenza di dolore che diventa così un bene negativo. Le immagini
suggerite dal poeta, nette e decise, determinano una forte
antitesi tra le due strofe: nella prima si percepisce il rumore
secco della vita interrotta; nella seconda i concetti di
immobilità e di altezza segnano una dimensione lontanissima dal
fluire quotidiano della vita. |
Spesso il male
di vivere ho incontrato:
era il rivo
strozzato che gorgoglia,
era
l'incartocciarsi della foglia riarsa,
era il cavallo
stramazzato.
Bene non seppi,
fuori del prodigio
che schiude la
divina Indifferenza:
era la statua
nella sonnolenza
del meriggio,
e la nuvola, e il falco alto levato.
METRO: due
quartine di endecasillabi (a eccezione dell'ultimo verso, più
lungo)secondo lo schema ABBA, CDDA.
Immagine realizzata da Gisella Malagodi |
NOTE
il male di
vivere: è il dolore, la sofferenza che accompagna e
caratterizza la vita.
il rivo ...
gorgoglia: «il ruscello che gorgoglia quando incontra un
ostacolo» alla sua corrente. I verbi strozzato e
gorgoglia, tipicamente umani, propongono un piano di lettura
che va oltre il soggetto inanimato e suonano come un gemito.
incartocciarsi:
anche questo termine, fortemente onomatopeico, esprime la
sofferenza che deriva dalla fine di una vita (la foglia ormai
disidratata che si accartoccia).
il cavallo:
è l'ultimo elemento del crescendo che va dal regno minerale (il
rivo) a quello vegetale (la foglia), a quello animale
(il cavallo).
Bene non seppi:
«non conobbi altro bene».
fuori
...Indifferenza: «se non il miracolo reso possibile dalla
divina Indifferenza». L'Indifferenza, che il poeta scrive con la
maiuscola per evidenziarne il valore, è una sorta di
imperturbabilità difficile da ottenere per chi è immerso nella
vita e nel tempo: è quindi qualcosa che ha del miracoloso (prodigio}
e che appartiene a una sfera non umana (divina).
la statua ...
meriggio: «una statua nel torpore pomeridiano». L'immobilità
assente della statua è simbolo di distacco.
e la nuvola, e il falco: si tratta di esseri collocati in
uno spazio aereo, celeste, in una simbolica posizione di
superiorità e di lontananza dalle cose del mondo.
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PERCORSO DI LAVORO
Dalla lettura del testo...
Ricercare le voci
onomatopeiche della lirica e spiegarne il significato nel
contesto.
...alla
riflessione sul testo...
Porre a
confronto le due strofe, mettendone in evidenza le antitesi
linguistiche e concettuali.
...alla
produzione oltre il testo
Con riferimento
alla lirica letta, commentare la seguente affermazione di Th.
Eliot: «L'unico mezzo per esprimere emozione è di trovare un
correlativo oggettivo, cioè una serie di oggetti, una
situazione, che diverranno formula di quella emozione».
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Edipo e l'enigma
J.L. Borges, Poesie
(1923-1976)
Edipo, secondo il
mito classico, fu colui che sconfisse la Sfinge, terribile mostro
che divorava nei pressi dell'antica Tebe tutti coloro che non
sapevano risolvere il suo enigma: «Quale essere, con una sola
voce, ha al mattino quattro gambe, di giorno due e alla sera
tre, ed è tanto più debole quante più gambe ha?». Indovinando la
risposta l'Edipo di Borges, simbolo dell'uomo antico e moderno,
vede riflessa nella Sfinge la propria immagine, proiettata sullo
sfondo del tempo. La triplice forma della bestia mitologica
allude infatti alle tre dimensioni temporali - passato, presente e
futuro - che compongono la vita di ogni uomo, ma che dall'uomo
non possono essere colte contemporaneamente. I versi conclusivi
contengono il messaggio dell'autore: la completa coscienza del
nostro essere ci schiaccerebbe con il suo peso se, per nostra
fortuna, Dio non ci concedesse il volgere del tempo, e con esso
la capacità di dimenticare. |
Quadrupede
all'alba, alto nel giorno
e con tre piedi errante nel vano
ambito della sera, così vedeva
l'eterna sfinge il suo incostante fratello,
l'uomo, e con
la sera un uomo venne
che decifrò atterrito nello specchio
della mostruosa immagine, il riflesso
del suo declino e del suo destino.
Noi siamo Edipo
e in un eterno modo
la lunga e triplice bestia siamo, tutto
ciò che saremo e ciò che siamo stati.
Ci annienterebbe
scorgere l'ingente
forma del nostro
essere; pietosamente
Dio ci concede
successione e oblio.
trad. L. Bacchi Wilcock, Rizzoli, Milano 1980. |
NOTE
Quadrupede
all'alba: nella prima infanzia (alba) l'uomo cammina
gattoni, a quattro zampe.
alto nel giorno:
durante l'età adulta (il giorno) l'uomo sta in posizione
eretta (alto)
con tre
piedi... sera: «che cammina con tre gambe nell'arco ormai
spento della vecchiaia». Da vecchio infatti l'uomo si serve del
bastone per camminare. I primi tre versi definiscono i termini
dell'enigma della Sfinge.
eterna sfinge
(...) incostante fratello: la Sfinge, specchio esistenziale
dell'uomo, è eterna, mentre l'uomo muta la sua forma e il suo
modo di essere nel tempo.
il riflesso...
del suo destino: decifrando l'enigma Edipo ha colto se
stesso come essere umano destinato a soccombere nel volgere del
tempo.
in un
eterno modo ... siamo: tutti gli uomini sono legati allo
stesso destino che si srotola attraverso tre fasi, la
giovinezza, la maturità e la vecchiaia, come triplice è il corpo
della Sfinge (la lunga e trìplice bestia), che ha testa
di donna, corpo di leone alato e coda di serpente. Davanti alla
Sfinge l'uomo coglie contemporaneamente tutte le sue dimensioni
temporali: il suo passato, il suo presente, il suo futuro.
ingente:
«enorme».
successione e
oblio: il volgere del tempo (successione) consente
all'uomo di vivere la sola dimensione del presente, dimenticando
il passato (oblio) e ignorando il futuro.
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PERCORSO DI LAVORO
Dalla lettura
del testo...
Ricercare nel
testo tutte le espressioni che hanno come riferimento l'essere
umano e spiegarle.
...alla
riflessione sul testo...
Edipo, la
Sfinge e l'enigma assumono per Borges valore simbolico e
alludono alla condizione esistenziale dell'uomo. In che senso?
...alla
produzione oltre il testo
La soluzione di
uno o più enigmi costituisce spesso la prova da superare per
eroi di fiabe e leggende. Sapreste spiegarne il perché?
Ricordate qualche esempio?
Immagine
realizzata da Teresa Ducci |
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