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a cura di Armanda Bertini


LA NATIVITA’

Il tema della Natività, uno dei più noti dell’iconografia cristiana, è riprodotto, con infinite varianti, in moltissime opere pittoriche ed anche scultoree dal ‘200 al ‘700.

Alcune ce lo presentano in modo essenziale con un numero limitato di personaggi: ovviamente la Madonna, il Bambino adagiato sulla mangiatoia, San Giuseppe, in molti casi un po’ appartato, nel suo ruolo di attore non protagonista, gli immancabili bue ed asinello. La scena ha luogo ora in una capanna, ora in una grotta, più raramente in un rudere.

Ma spesso questo nucleo fondamentale- che ci viene appena suggerito dai testi sacri, assai parchi di informazioni dettagliate- si arricchisce di presenze differenti: pastori, committenti, schiere di angeli, i Magi con il loro variopinto seguito, oggetti vari di contorno; tutto ciò arricchisce e completa il soggetto ma forse ne disperde il messaggio religioso e umano.

Vengono ora presentati quattro quadri con il tema della Natività. Non si è voluto seguire lo sviluppo dell’iconografia nei secoli, perché è argomento estremamente complesso per i risvolti teologici, storici e sociali che implica, e si sarebbe rischiata una banalizzazione. Ci si è limitati a selezionare opere che permettessero di analizzare brevemente come il ruolo di Giuseppe possa essere variamente interpretato all’interno dello stesso soggetto.

 


GIOTTO, Natività, Padova, Cappella degli Scrovegni, 1303-1305

Nel ricchissimo repertorio di immagini sacre rilette con un nuovo spirito realistico, che la Cappella degli Scrovegni presenta, spicca la bella e nota natività. In essa Giotto rappresenta la Madonna sdraiata per terra, colta in un gesto di classica solennità ma nel contempo affettuosamente materno, nell’atto di accogliere il bimbo in fasce che le viene porto da una donna. Sopra la capanna di legno, assai realistica nella resa spaziale, anche se decisamente sottodimensionata, cinque angeli annunciano festosi la nascita miracolosa. Sulla destra alcuni pastori, con le loro greggi,  vengono a onorare il Bambino.

In primo piano, ma più in basso e decentrato rispetto alla scena principale, e con dimensioni leggermente inferiori, compare san Giuseppe: egli dà le spalle alla Madonna, è accovacciato per terra, chiuso nel suo mantello,  in un blocco compatto che ne evidenzia anche visivamente l’isolamento. La posizione, con la testa appoggiata sulla mano, e  l’espressione seria e vagamente preoccupata del volto, indicano che è immerso in una profonda riflessione sul mistero di quella nascita ma sembrano anche denotare un senso di esclusione dall’evento accaduto alle sue spalle.

Giotto, pur rinnovando, attraverso una profonda umanizzazione, i temi sacri, si è attenuto alle convenzioni medioevali che prevedevano appunto una posizione secondaria per la figura di San Giuseppe.

 

 

GEERTGEN TOT SINT JANS, Natività, notturno, Londra, National Gallery, 1490 circa

 Questa affascinante tavoletta, attribuita al pittore fiammingo per affinità con altre sue opere, sembra rappresentare puntualmente la visione mistica di Brigida di Svezia: la santa, vissuta nel ‘300, racconta nelle sue “Rivelazioni”di essere stata testimone della nascita di Cristo, da cui si emanava una luce talmente fulgida da oscurare la candela che Giuseppe teneva in mano. Quest’ultimo elemento, da quel momento inserito tra gli attributi iconografici del Santo, nell’opera non si vede, probabilmente perché la tavoletta è stata ulteriormente rimpicciolita nei secoli successivi.

L’artista è riuscito, con l’uso straordinario della tecnica dell’olio, a rendere il bagliore che, dal corpo nudo del bimbo, si riverbera sul purissimo volto della madre, sui graziosi angioletti e, in misura minore, sui musi mansueti di bue e asino. Arretrato, nel buio, un esterrefatto Giuseppe assiste alla scena miracolosa. All’esterno della capanna, la sagoma abbagliante dell’angelo annunziante illumina la notte invernale, obbligando i pastori a ripararsi gli occhi.

L’artista, secondo la spiritualità diffusa nei Paesi Bassi, insiste sull’umiltà della scena, tralasciando ogni elemento accessorio e facendo della luce, non solo divina ma anche umana (il fuoco acceso dai pastori, la candela retta da Giuseppe),  la vera protagonista del quadro, che è considerato uno dei primo notturni della storia dell’arte.

 

 


LORENZO LOTTO, Natività, Washington, National Gallery of Art, 1523

 Lorenzo Lotto è considerato un pittore eccentrico nel panorama della pittura del ‘500 italiano, dominato  dal linguaggio aulico di Tiziano. L’originalità della sua invenzione si evidenzia anche in questo quadro. In primo piano, inginocchiati, in posizione simmetrica rispetto al Bambino, si trovano Maria e Giuseppe. Il santo acquista così un ruolo paritetico a quello della madre, secondo quelli che saranno i dettami della Controriforma che il Lotto sembra qui anticipare anche  nella volontà di rendere più umano e diretto il quadro sacro, rifiutando toni troppo elevati. I due protagonisti sono colti in un atteggiamento di fervida devozione ai lati del bimbo che sgambetta in una cesta di paglia. La stessa domestica semplicità caratterizza l’ambientazione: sullo sfondo sono dipinti uno scorcio di paesaggio rurale ed una povera capanna in legno.

Un’osservazione più attenta permette di cogliere, al di là dell’apparente banalità dello schema compositivo, numerosi altri elementi: due tortore, un crocifisso appeso alla parete, una scala, un sacchetto di iuta, una botticella, un pezzo di legno-forse una trappola per topi- su cui il pittore si firma. Essi  non sono solo oggetti di contorno, volti ad accrescere la veridicità della scena, ma si caricano anche di un significato simbolico- che ha fatto a lungo discutere gli esperti di iconologia- teso a rendere più profondo il messaggio teologico

 

 


FEDERICO BAROCCI, Natività, Madrid, Museo del Prado, 1597

Federico Barocci, sensibile interprete della pittura religiosa di fine ‘500, ci offre una delle versioni più coinvolgenti del tema della natività. Un primo aspetto originale è che lo spettatore, anziché osservare la scena dall’esterno, com’è consuetudine, la vive dall’interno, introdotto in una buia e spoglia capanna, resa ancor più realistica dalla greppia piena di paglia appesa alla parete e da pochi semplici oggetti, un sacco, una cesta di vimini. In primo piano una tenerissima madre, sconvolta dall’emozione, contempla  il bambino adagiato nella mangiatoia. Alle sue spalle, Giuseppe, anche lui al colmo dell’agitazione, apre la porta a due pastori che si sporgono con atteggiamento devoto e partecipe, ed indica loro, con un gesto concitato, il figlio, segno del miracolo appena compiuto.

L’uso sapiente della luce, in cui Barocci è un vero maestro, contribuisce a rendere ancor più trepidante l’atmosfera. La penombra intima della capanna viene percorsa da un fascio luminoso emanato da Gesù che, dopo aver inondato la madre mettendone in risalto l’abito dai colori cangianti, sfiora la paglia resa con pennellate quasi smaterializzate (vera luce-colore) e va ad affievolirsi sul gruppo posto sullo sfondo.

In questo caso Giuseppe è sì posto in secondo piano ma svolge un ruolo attivo nell’accogliere i testimoni all’evento, acquistando l’importanza di un protagonista all’interno della sacra rappresentazione, secondo i dettami che la Controriforma imponeva alla pittura per farne un convincente veicolo di fede.