Sguardo morente
Il passaggio di stato dalla vita alla morte ha rappresentato e rappresenta tutt'ora uno dei momenti, se non il momento, più misteriosi dell'esistenza umana, quello del quale manca l'esperienza, anche in termini di memoria collettiva. E' un momento di intensità infinita al quale ci si accosta, dall'esterno, con una sorta di timore reverenziale che, se da un lato coinvolge l'umana pietà, dall'altro non manca di affascinare, perché ha in sé qualcosa di sublime e di irripetibile. Dalle equazioni da sempre presenti nel nostro immaginario secondo le quali vita=luce e morte=buio, è facile passare a metafore che investono la sfera visiva: "vedere la luce" significa nascere, venire al mondo e quindi vivere, mentre "chiudere gli occhi" è un sinonimo eufemistico per indicare il morire. L'ultima cosa possibile per una persona che muore non priva di sensi è proprio quella di "guardare" la vita sapendo che non la si potrà più vivere, e fare di quello sguardo l'estremo congedo da essa: un passaggio obbligato di straordinaria potenza espressiva, che ha ispirato poeti, scrittori e artisti di ogni epoca e secondo ottiche diverse. Vediamone alcuni, e scopriremo che lo "sguardo del morente" può essere sì la rappresentazione estetica di una morte, ma anche la chiave di lettura di una vita. |
La concezione pagana e quella "romantica"
La mitologia classica, che
concepiva un aldilà tetro e sotterraneo, insiste sulla negatività delle
morti premature degli eroi, le cui anime, private della luce, sono
costrette a scendere anzitempo sottoterra; così, quando la morte arriva
non desiderata, il loro sguardo ricerca per un'ultima volta la luce,
quasi a significare l'attaccamento alla vita, per dirle addio con
rimpianto e per "fare il pieno" di essa prima di immergersi nella notte
eterna.
E' pur vero che l'attimo della morte è
anche visto come un momento "magico" in cui l'uomo gode di facoltà
profetiche in grazia della "doppia vista", solo per qualche fugacissimo
istante, sul mondo dei vivi e su quello dei defunti. Ma di questo caso
non ci occupiamo in questa sede, perchè allora, più che lo sguardo,
contano le ultime parole che il morente pronuncia.
I testi esaminati:
VIRGILIO (I secolo a.C.) presenta
la morte di Didone. Si tratta di un suicidio, compiuto in seguito alla
partenza di Enea e al rifiuto dell'eroe di piegarsi alle preghiere
della donna. E' la classica morte prematura, nella quale la regina
cartaginese sembra aggrapparsi alla vita un'ultima volta, con gli occhi
già ottenebrati (errantibus) a chiedere al cielo ormai lontano (alto) l'ultima luce. Il rimpianto sta tutto nel gemito finale di addio al mondo dei vivi (ingemuit)
TACITO (I-II secolo d.C.) parla
della morte di suo suocero Agricola, morte sulla quale pesava il
sospetto di un complotto da parte dell'imperatore Domiziano. L'ultimo
sguardo del morente (novissima in luce) sembra cercare
qualcosa, forse una risposta a interrogativi destinati a rimanere
irrisolti, o forse la presenza di qualcuno (la figlia?) che non era al
suo capezzale: il mistero sta tutto in quell'aliquid e nella costruzione sapientissima della frase.
GRAY (18th century) In these lines
Thomas Gray says that the humble people described in his Elegy look
back on the life they are leaving with regret and maybe with a desire
to stay a little longer (they cast a longing, lingering look behind). Here life is described as “pleasing” though “anxious” and it is identified with warmth, cheerfulness and light (the warm precincts of the cheerful day).
In the second of the two stanzas, the dying person hopes that some
relative or friend may shed a few tears and continue to love them even
after their death.
FOSCOLO (XIX secolo) sintetizza in
poco più di un verso la concezione pagana e racchiude ad anello lo
sguardo del morente entro la parola Sole, chiave di lettura del pezzo, rafforzata dalla presenza insistente della luce (favilla, illuminar) del mondo dei vivi, contrapposto a quello buio dell'oltretomba (la sotterranea notte)
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Testi: Virgilio, Tacito, Gray, Foscolo, Carducci
Virgilio, Aeneis, IV 688-92
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Tacito, Agricola, 45 |
illa gravis oculos conata attollere rursus |
Omnia sine dubio, optime parentum, |
Th. Gray, Elegy written in a country churchyard, 85-92 |
Traduzione italiana di Giuseppe Torelli (1776) |
For who to dumb Forgetfulness a prey, This pleasing anxious being e'er resign'd, Left the warm precincts of the cheerful day, Nor cast one longing, ling'ring look behind? On some fond breast the parting soul relies, Some pious drops the closing eye requires; E'en from the tomb the voice of Nature cries, E'en in our ashes live their wonted fires. |
Chi mai chi de l'oblio nel fosco velo Questa affannosa amabil vita avvolse, E lasciò le contrade alme del cielo, Né un sospiroso sguardo indietro volse? Posa, spirando, in grembo amico e fido L'alma, e chiede di pianto alcuna stilla. Da la tomba anco alza natura il grido, E sotto il cener freddo amor sfavilla. |
U. Foscolo, Dei Sepolcri, 119-123 | G. Carducci, Funere mersit acerbo, |
Rapían gli amici una favilla al Sole a illuminar la sotterranea notte, perché gli occhi dell’uom cercan morendo il Sole; e tutti l’ ultimo sospiro mandano i petti alla fuggente luce |
E arriso pur di vision leggiadre L'ombra l'avvolse, ed a le fredde e sole Vostre rive lo spinse. Oh, giú ne l'adre Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole Ei volge il capo ed a chiamar la madre. |
La concezione cristiana
Per il cristiano invece la "luce" è
quella divina, è la visione della vita eterna che si dischiude davanti
al morente. Il suo non è dunque un rimpianto e un volgersi al passato
con struggimento e nostalgia, ma un protendersi verso il futuro, quasi
cercando con gli occhi quella pace e quella beatitudine che non sono di
questo mondo.
Speranza dunque, fede e desiderio
dell'eternità caratterizzano le morti "sante"; la tragicità si stempera
nel pathos dell'attesa di una vita migliore, verso la quale la morte
non è che un trapasso.
I testi esaminati
MICHELANGELO (XV-XVI secolo) Si tratta di un frammento lirico, forse semplicemente una bozza di qualcosa di incompiuto, o un pensiero. La luce nello sguardo del morente è eterna in quanto è quella di Dio, e per questo si accompagna al desiderio intenso (gran desio) dell'immortalità.
MANZONI (XIX secolo) presenta con toni simili la morte di Ermengarda nell'Adelchi e quella, in termini più generici, di chi muore in grazia di Dio nella Pentecoste. La donna contrappone alle sue sofferenze terrene la ricerca ansiosa dell'aldilà, in cui è sicura di trovar pace: il suo sguardo è affaticato, sfinito, tremolo, ma la sua ricerca è vigile, come lo è quella di chi sperando muor. E' la speranza, qui, la fede nello spirito di Dio che fa "brillare" lo sguardo, errante sì, ma non a vuoto, bensì finalizzato a un obiettivo preciso.
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Testi: Michelangelo, Manzoni
Michelangelo Buonarroti, Frammenti lirici |
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Non posso non veder dentr’a chi muore Tua luce eterna, sanza gran desio |
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A. Manzoni, Adelchi, coro atto IV, 1 sgg | A. Manzoni, La Pentecoste, 137 sgg |
Sparsa le trecce morbide Sull'affannoso petto, Lenta le palme, e rorida Di morte il bianco aspetto, Giace la pia, col tremolo Sguardo cercando il ciel. |
Tempra de' baldi giovani Il confidente ingegno; Reggi il viril proposito Ad infallibil segno; Adorna la canizie Di liete voglie sante; Brilla nel guardo errante Di chi sperando muor |
Percorso artistico
Il tema dello sguardo del morente è ricorrente nella produzione artistica di tutti i tempi, dall’età classica (basti citare la “Niobide morente”) ai nostri giorni, ma è soprattutto nelle opere di tema religioso, in particolare del ‘500 e del ‘600, che compare con grande frequenza. Nell’iconografia del martirio di san Lorenzo, della lapidazione di santo Stefano, del transito di san Giuseppe- tanto per citare gli esempi più noti- il volto del santo, sofferente ma nel contempo estatico, rivolto verso l’alto, è uno degli elementi ricorrenti, teso a restituirci il senso di una morte che è anche l’inizio di una nuova vita, nella luce della Grazia.
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PIETER PAUL RUBENS
La morte di Seneca
1615
Madrid
Museo del Prado
Non mancano, sempre nel ‘600, rappresentazioni di personaggi dell’età classica, come Seneca, Catone, Cleopatra e Lucrezia, colti nel momento del loro eroico suicidio, resi con una tale forza espressiva nello sguardo levato in alto da sembrare martiri cristiani.
Tra i tantissimi esempi si propone, di P.P. Rubens, LA MORTE DI SENECA, in cui il protagonista, in piedi in una bacinella per raccogliere il sangue che sgorga dalle vene tagliate, domina la scena nella sua statuaria nudità piena di reminiscenze classiche, mentre rivolge lo sguardo fiero verso l’alto.
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L'amore, gli affetti, la casa
E' ancora diversa l'ottica di chi, morendo, rivolge l'occhio alla persona amata, alla famiglia o ai luoghi in cui ha vissuto. Le situazioni in cui si presenta questa evenienza sono sostanzialmente due.
Nel primo caso il morente è lontano da casa, e con l'ultimo sguardo cerca di richiamare alla memoria l'ambiente a lui familiare: più che di una sensazione visiva, si tratta di un ricordo che si vuole materializzare e imprimere nella memoria, o di un rimpianto vissuto con struggente nostalgia. Nel secondo caso, le persone care assistono al trapasso e l'ultimo saluto è per loro. Talvolta però, con notevoli esiti artistici, la morte è solo teorizzata, immaginata, e il poter vedere come ultima cosa il volto dell'amata in punto di morte è un auspicio, in quanto consentirebbe un trapasso sereno e dolce.
I testi esaminati
TIBULLO (I secolo a.C.) Un po' languidamente, nella prima delle Elegie l'autore esprime l'augurio a se stesso di morire guardando la donna amata e tenendola con la mano, affiancando la sensazione tattile a quella visiva (il languore sta tutto nella deficiente manu e nell'anafora te... te)
SHAKESPEARE (16-17th century) The idea that a dying person longs to see a loved face also seems to be contained in the lines by William Shakespeare in which the writer suggests that in this condition death can even be desirable. BYRON (18-19th century) The dying gladiator, in Byron’s Childe Harold’s Pilgrimage, does not care about losing his life as an enslaved man, in an alien country. His eyes seem to be far away as he remembers his home and the people he loved, but even this vision fades away with his life (all this rushed with his blood). This situation is particularly dramatic because no loving person is standing by his side, he is dying alone in a hostile surrounding and among a cheering crowd. |
Testi: Tibullo, Shakespeare, Byron
Tibullo, I, 59-60 |
W. Shakespeare |
Te spectem, suprema mihi cum venerit hora, Te teneam moriens deficiente manu. |
Sweeter would be the death if my eyes had
last horizon as your face,
and if so a thousand times I would be born
to die a thousand times even
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Jean-Léon Gérome, Pollice verso (1872), Phoenix Art Gallery |
Byron, Childe Harold's Pilgrimage, Canto IV , stanzas CXL-CXLI, (142-162) |
I see before me the Gladiator lie: He leans upon his hand – his manly brow Consents to death, but conquers agony, And his droop’d head sinks gradually low – And through his side the last drops, ebbing slow From the red gash, fall heavy, one by one, Like the first of a thunder shower; and now The arena swims around him - he is gone, Ere ceased the inhuman shout which hail'd the wretch who won.
He heard it, but he heeded not - his eyes
were with his heart, and that was far
away;
He reck'd not of the life he lost nor
prize,
But where his rude hut by the Danube
lay,
There were his young barbarians all
at play,
There was their Dacian mother -
he, their sire,
Butchered to make a Roman holiday -
All this rush'd with his blood - Shall he expire
And unavenged? Arise! Ye Goths, and glut your ire! |