La figura di Narciso nella letteratura italiana

Nel riprendere il mito di Narciso i quattro testi presentati propongono prospettive diverse: i più antichi, più diffusi nella narrazione, riprendono momenti della storia dell’infelice amante, i più recenti propongono  una lettura allusiva e simbolica dell’antico racconto.

GIOVAN BATTISTA MARINO (1569-1625) - Nel contesto della cultura cortigiana europea del Seicento, il mito di Narciso offre al Marino materia per una narrazione in cui il tormento  di strano amor novo del giovane è vissuto tra luci, colori e  sensazioni tattili offerte da  una natura esuberante. La passione amorosa è espressa in  sospiri e desideri ardenti tipici dello stile barocco, fino al compimento del destin del vaneggiante e vago/vagheggiator dela sua vana imago con la metamorfosi finale.

Paolo Veronese, Venere e Adone, Madrid, Museo del Prado

IL NOVELLINO (XII secolo) - L’autore del Novellino narra la storia  di Narciso con  trasognato tono di favola e trasforma il personaggio in un bellissimo cavaliere cortese che si muove sullo sfondo di una natura stilizzata (fontana, primavera, gruppi di donne) tipico del gusto medievale. Al più complesso racconto ovidiano – che presenta Narciso innamorato della propria immagine per punizione in quanto colpevole di aver disprezzato la ninfa Eco – si sostituisce una narrazione fatta con poche e scarne parole, volta soprattutto a delineare un’atmosfera di incanto. In questa suggestiva dimensione di sogno  il cavaliere bellissimo rivolge l’amore su se stesso non per punizione, ma per errore. Anche la trasformazione in mandorlo – albero che rinnovella amore a primavera – contribuisce ad accentuare la valenza patetica del racconto e mostra il disinteresse dell’autore per il carattere eziologico del mito.

Adone, canto V, 169-216

Tra verdi colli in guisa di teatro
siede rustica valle e boschereccia;
falce non osa qui, non osa aratro
di franger gleba o di tagliar corteccia;
fonticel di bell'ombre algente ed atro
inghirlandato di fiorita treccia
qui dal sol si difende e sì traluce
ch'al fondo cristallin l'occhio conduce.

Su la sponda letal di questo fonte
che i circostanti fior di perle asperge
e fa limpido specchio al cavo monte
che lo copre dal sol quando più s'erge,
appoggia il petto e l'affannata fronte,
le mani attuffa e l'arse labra immerge.
E quivi Amor, mentr'egli a ber s'inchina,
vuol ch'impari a schernir virtù divina.

Ferma ne le bell'onde il guardo intento
e la propria sembianza entro vi vede;
sente di strano amor novo tormento
per lei che finta imagine non crede;
abbraccia l'ombra nel fugace argento
e sospira e desia ciò che possiede;
quel che cercando va porta in se stesso,
miser, né può trovar quel ch'ha da presso.

Corre per refrigerio al'onda fresca,
ma maggior quindi al cor sete gli sorge;
ivi sveglia la fiamma, accende l'esca,
dove a temprar l'arsura il piè lo scorge;
arde e perché l'ardor vie più s'accresca
la sua stessa beltà forza gli porge
e, nel'incendio d'una fredda stampa,
mentre il viso si bagna il petto avampa.

La contempla e saluta e tragge, ahi folle!
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco ed arciero.
Invidia a quell'umor liquido e molle
la forma vaga e'l simulacro altero
e, geloso del bene ond'egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.

Mancando alfin lo spirto a l'infelice,
troppo a se stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè del'onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L'onda che già l'uccise, or gli è nutrice,
perch'ogni suo vigor prende da l'acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago.
 

 

Nicolas Poussin, La morte di Narciso, Parigi, Louvre

 

 

John William Waterhouse, Eco e Narciso, Liverpool, Walker Art Gallery

 

 

Qui narra di come Narcis s’innamorò de l’ombra sua

Narcis fue molto bellissimo.
Un giorno avenne ch' e' si riposava sopra una bella fontana. Guardò nell' acqua: vide l' ombra sua ch' iera molto bellissima. Incominciò a riguardarla e rallegrarsi sopra la fonte, e l' ombra sua facea il simigliante; e così credette che quella fosse persona che avesse vita, che istesse nell' acqua, e non si acorgea che fosse l' ombra sua. Cominciò ad amare, e inamoronne sì forte, che la volle pigliare.
E l' acqua si turbò e l' ombra sparìo, ond' elli incominciò a piangere sopra la fonte.
E, l' acqua schiarando, vide l' ombra che piangea in sembiante sì com' egli.
Allora Narcis si lasciò cadere nella fonte, di guisa che vi morìo e annegò.
Il tempo era di primavera.
Donne si veniano a diportare alla fonte; videro il bello Narcis anegato. Con grandissimo pianto lo trassero della fonte, e così ritto l' appoggiaro alle sponde.
Onde dinanzi dallo dio d' Amore andò la novella.
Onde lo dio d' Amore ne fece un nobilissimo mandorlo, molto verde e molto bene stante: e fue il primaio albero, che prima fa fiorita e rinnovella amore.

UMBERTO SABA (1883-1957) - Il poeta proietta nel personaggio mitico la sua solitudine, la sua inesauribile  ricerca della pienezza della vita e la consapevolezza che il vivere  implichi il contrasto tra amore e dolore, tra promesse di pace e lotta  continua fino  alla morte. Come il poeta, teso verso la scoperta del vero significato  dell’esistenza, si perde nell’ambiguità, nell’errore e nello sbigottimento, così Narciso di fronte al gelo del bacio  ritorna al suo cieco errore e  conclude la sua vicenda umana  con la trasformazione in  fiore bianco sulla sua tomba.

Narciso al fonte (Mediterranee)

Quando giunse Narciso al suo destino
- dai pastori deserto e dalle greggi
nell'ombra di un boschetto azzurro fonte -
subito si chinò sullo specchiante.
Oh, bel volto adorabile!
Le frondi
importune scostò, cercò la bocca
che cercava la sua viva anelante.
Il bacio che gli rese era di gelo.
Sbigottì. Ritornò al suo cieco errore.
Perché caro agli dei si mutò in fiore
bianco sulla sua tomba.

PIER PAOLO PASOLINI (1922-1975) - Il motivo di Narciso costituisce anche  per  Pasolini una tematica autobiografica. Il poeta giovane è amaramente consapevole  del dolore, dell’innocenza perduta e dell’annullamento della vita nella morte. Il contatto con la natura incontaminata gli offre il modo di uscire dalla not dell’angoscia esistenziale e la contemplazione narcisistica della giovinezza lo induce al  desiderio di immobilità e di morte.

Dansa di Narcìs (Suite Furlana II, Danze)

Jo i soj neri di amòur
né frut né rosignòul
dut intèir coma un flòur
i brami sensa sen.
Soj levat ienfra li violis
intant ch’a sclariva,
ciantànt un ciant dismintiàt
ta la not vualiva.
Mi soj dit: «Narcìs!»
e un spirt cu’l me vis
al scuriva la erba
cu’l clar dai so ris.

Traduzione - DANZA DI NARCISO. Io sono nero di amore, né fanciullo né usignolo, tutto intero come un fiore, desidero senza desiderio.
Mi sono alzato tra le viole, mentre albeggiava, cantando un canto dimenticato nella notte uguale. Mi sono detto: «Narciso!», e uno spirito col mio viso oscurava l’erba al chiarore dei suoi ricci.

APPARATO DIDATTICO

 

  • Confrontare il testo ovidiano e quello del Novellino e cogliere la diversa impostazione del racconto
  • Analizzare il linguaggio del passo del Marino e confrontare la scarna narratività dell’autore del Novellino con l’esuberanza espressiva del poeta barocco
  • Nell’immagine di Narciso Saba adombra la sua stessa esperienza di uomo. Sviluppare l’argomento
  • Perché il mito di Narciso è  motivo autobiografico in Pasolini?

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a cura di Paola Lerza e Gemma Tardivelli