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La città ideale
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"Quale uso fare della città? Quale uso se ne è fatto nella Storia? Quante utopie hanno attraversato il concetto sfumato ai bordi di “città ideale”? E quanti abusi?" (L. Malerba) |
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URBINO - L’utopia di una città ideale si realizza in questa tavola rinascimentale, sulla cui attribuzione molto si è discusso: siamo lontani dalla sregolatezza urbanistica medievale. Tutto è perfetto, regolare e simmetrico, la città è deserta e immersa in una luce innaturale che esalta gli elementi architettonici classici. La prospettiva è impeccabile e suggestiva. Tutto è immobile e silenzioso. PALMANOVA - Schema urbanistico a stella con nove punte, forma perfetta di simmetria radiale, segno non solo della capacità di progettare dell’uomo del Cinquecento, ma del prestigio dei Dogi di Venezia che l’avevano voluta. I bastioni nelle zone angolari delle mura testimoniano l’evoluzione di una città fortificata che si adatta alle nuove tecniche di guerra: dopo l’invenzione della polvere da sparo, bisognava difendersi dal fuoco dell’artiglieria. Dal centro della piazza esagonale si diramano le strade che portano alle porte urbane e alle mura, dove un tempo erano poste le caserme dei soldati. |
Pianta della città di Palmanova |
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Dacché l'ineguaglianza delle fortune ha condannato gli uni a un lavoro schiacciante, gli altri a un'inerzia corruttrice, le campagne hanno serbato solo pochi abitanti, spesso insufficienti ai bisogni della coltivazione, ma sempre schiacciati dall'eccesso di fatica. L'eccesso di popolazione s'è stipato nelle città, o per dissiparvi nella mollezza le ricchezze prodotte dai campagnoli, o per procurarsi facili mezzi di sussistenza, al servizio delle voluttà dei ricchi o della complicazione della pubblica amministrazione. [...] Non più una capitale, non più grandi città; a poco a poco il paese si sarebbe coperto di villaggi, costruiti nei luoghi più sani e più comodi, e disposti in modo da comunicare facilmente tra loro per mezzo di strade e di numerosi canali, che nell'interesse generale si sarebbero aperti in tutte le direzioni [...] Dovendo tutti sottomettersi alla legge suprema dell'eguaglianza, la sontuosità dei castelli avrebbe lasciato il posto alla salubrità, alla comodità e alla proprietà di tutte le abitazioni disposte con elegante simmetria, per il piacere dell'occhio e per il mantenimento dell'ordine pubblico. Quando non ci saranno più palazzi, non ci saranno più catapecchie; le case saranno semplici e la magnificenza dell'architettura e delle arti che ne mettono in risalto la bellezza sarà riservata ai magazzini pubblici, agli anfiteatri, agli stadi, agli acquedotti, ai ponti, ai canali, alle piazze, agli archivi, alle biblioteche e soprattutto ai luoghi consacrati alle deliberazioni dei magistrati ed all'esercizio della sovranità popolare. da: F. Buonarroti, Congiura per l'uguaglianza di Babeuf (1828), trad. it., Torino, 1946,
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Calvino ne Le città invisibili (1972) descrive forme di città ipotetiche attraverso il resoconto che Marco Polo, reduce da diverse ambascerie, fa all’imperatore Kublai Kan. Il viaggiatore non fonda il suo discorso su una sicura conoscenza di luoghi, ma formula ipotesi di viaggi non fatti. Le città sono costruzioni astratte, fondate sulla distorsione ed estremizzazione dei caratteri delle metropoli moderne. Queste strutture urbane surreali si scambiano tra di loro in modo incontrollato e si moltiplicano all’infinito (le undici città, visitate cinque volte, diventano cinquantacinque). Il continuo dilatarsi delle possibilità non consente una conoscenza vera e sicura, anche se Kublai Kan “possiede un atlante su cui sono raccolte le mappe di tutte le città”. Il messaggio che Calvino vuole comunicare è quello dell’illusorietà di una “città perfetta”, il cui progetto non può essere che un modello mentale non realizzabile. |
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Colleen Corradi Brannigan. Fedora, 2003 |
Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello d'un'altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l'altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro. Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita, sceglie la città che corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando di specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva raccogliere le acque del canale (se non fosse stato prosciugato), di percorrere dall'alto del baldacchino il viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla città), di scivolare lungo la spirale del minareto a chiocciola (che non trovo più la base su cui sorgere). Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non perché tutte ugualmente reali, ma perché tutte solo presunte. L'una racchiude ciò che è accettato come necessario mentre non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come possibile e un minuto dopo non lo è più.
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Per i futuristi il “dinamismo universale” è il nuovo canone di bellezza: “Tutto si muove, nulla si ferma”, le forme e gli spazi si sovrappongono entrano uno nell’altro. “Lo spazio non esiste più… Tutto si muove rapidamente… una figura non è mai ferma… le cose in movimento si moltiplicano”. Nella Città che sale Boccioni immagina vortici impetuosi che coinvolgono uomini e cavalli; tutto esprime movimento e forza, le forme si sovrappongono e si fondono nello spazio mentre sullo sfondo aleggiano i palazzi in costruzione e le ciminiere… è la città futurista. |
U. Boccioni, La città che sale, 1914 |
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Ivan Graziani, La città che vorrei, 1973 - Una natura amica, bambini che giocano spensierati, persone che non si conoscono ma si salutano ugualmente in un'atmosfera serena nella quale uomini e cose vivono in armonia. |
Stefano Santangelo, A wonderful town, 2002 - A man is enjoying himself driving his car through the streets of a wonderful town, behind which maybe a woman is hidden. The landscape is beautiful and everything looks quiet just like the man's heart. |
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E fra mattoni giallo oro, tetti cupi e balconate d’improvviso prende il volo uno stormo di colombe. E un bambino in monopattino passa accanto a una fontana si ferma a bere per un attimo, son le dieci di mattina… Sì, lo so che non è vero, sì lo so, ma son sincero E non esiste più, non ritrovo più la città che io vorrei è scomparsa ormai, ingoiata ormai la città che io vorrei, che vorrei… Esce come per incanto dal buio freddo di un portone una sposa tutta in bianco sorridente incontro al sole. E un signore sconosciuto dietro il verde di un cancello muove in segno di saluto una mano e se ne va… Sì, lo so che non è vero, sì lo so, ma son sincero. E non esiste più, non ritrovo più la città che io vorrei è scomparsa ormai, ingoiata ormai la città che io vorrei, che vorrei… E una madre, dolcemente accarezza piano piano il suo bambino sulla fronte… Sì, lo so che non è vero, sì lo so, ma son sincero. E non esiste più, non ritrovo più la città che io vorrei è scomparsa ormai, ingoiata ormai la città che io vorrei, che vorrei…
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Just
across - the borderline someone wrote - your sweetest name wonderful town - oh, wonderful town the dream is the country - the town is the truth I see your lights today - shadows are blue wonderful town - oh, wonderful town rit. :
I'm drivin' my car |
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Tra passato e futuro: percorso sul Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti |
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links utili: sull'utopia urbanistica e politica: http://web.tiscali.it/icaria/ sulle città del futuro: http://www.fabiofeminofantascience.org/RETROFUTURE/RETROFUTURE12.html dipinti di Brannigan sulle città invisibili: http://www.cittainvisibili.com/tuttelecitta.htm |
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APPARATO DIDATTICO
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