Ludovico
Ariosto
Orlando Furioso canto XXIII
129
Pel
bosco errò tutta la notte il conte;
e
allo spuntar de la dïurna fiamma
lo
tornò il suo destin sopra la fonte
dove Medoro insculse l'epigramma.
Veder l'ingiuria sua scritta nel monte
l'accese sì, ch'in lui non restò dramma
che
non fosse odio, rabbia, ira e furore;
né
più indugiò, che trasse il brando fuore.
130
Tagliò lo scritto e 'l sasso, e sin al cielo
a
volo alzar fe' le minute schegge.
Infelice quell'antro, et ogni stelo
in
cui Medoro e Angelica si legge!
Così restâr quel dì, ch'ombra né gielo
a
pastor mai non daran più, né a gregge:
e
quella fonte, già si chiara e pura,
da
cotanta ira fu poco sicura;
131
che
rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
non
cessò di gittar ne le bell'onde,
fin
che da sommo ad imo sì turbolle
che
non furo mai più chiare né monde.
E
stanco al fin, e al fin di sudor molle,
poi
che la lena vinta non risponde
allo sdegno, al grave odio, all'ardente ira,
cade sul prato, e verso il ciel sospira.
132
Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba,
e
ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e dormir così si serba,
che
'l sole esce tre volte e torna sotto.
Di
crescer non cessò la pena acerba,
che
fuor del senno al fin l'ebbe condotto.
Il
quarto dì, da gran furor commosso,
e maglie e piastre si stracciò
di dosso.
133
Qui
riman l'elmo, e là riman lo scudo,
lontan gli arnesi, e più lontan l'usbergo:
l'arme sue tutte, in somma vi concludo,
avean pel bosco differente albergo.
E
poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo
l'ispido ventre e tutto 'l petto e 'l tergo;
e
cominciò la gran follia, sì orrenda,
che
de la più non sarà mai ch'intenda.
134
In
tanta rabbia, in tanto furor venne,
che
rimase offuscato in ogni senso.
Di
tor la spada in man non gli sovenne;
che
fatte avria mirabil cose, penso.
Ma
né quella, né scure, né bipenne
era
bisogno al suo vigore immenso.
Quivi fe' ben de le sue prove eccelse,
ch'un alto pino al primo crollo svelse:
135
e
svelse dopo il primo altri parecchi,
come fosser finocchi, ebuli o aneti;
e
fe' il simil di querce e d'olmi vecchi,
di
faggi e d'orni e d'illici e d'abeti.
Quel ch'un ucellator che s'apparecchi
il
campo mondo, fa, per por le reti,
dei
giunchi e de le stoppie e de l'urtiche,
facea de cerri e d'altre piante antiche.
136
I
pastor che sentito hanno il fracasso,
lasciando il gregge sparso alla foresta,
chi
di qua, chi di là, tutti a gran passo
vi
vengono a veder che cosa è questa.
Ma
son giunto a quel segno il qual s'io passo
vi
potria la mia istoria esser molesta;
et
io la vo' più tosto diferire,
che v'abbia per lunghezza a
fastidire.
Da Progetto Manuzio
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