Introduzione
FESTE POPOLARI
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'A vucchella,

testo di Gabriele d'Annunzio, musica di Francesco Paolo Tosti

cantata da Mirella de Nucci

 

Numerose sono le feste che si svolgono in tutti i paesi dell’area vesuviana, feste che per lo più affondano le loro radici in antichi rituali propiziatori nei confronti del Vesuvio, o di ringraziamento per lo scampato pericolo dopo un’eruzione.

Basti citare la "Festa della lava", che si svolge a S. Giorgio a Cremano il 23 maggio, o quelle di S. Michele Arcangelo e della Madonna del Carmine, ricorrenti ad Ottaviano rispettivamente l’8 maggio, e la domenica successiva al 16 luglio.

Abbiamo scelto di soffermarci sulle più significative, percorrendo un interessante viaggio a ritroso nel tempo, fra tradizione e leggenda, realtà e fantasia.

I QUATTRO ALTARI A TORRE DEL GRECO

 

E’ innanzitutto una festa religiosa, perché precede di 8 giorni quella del Corpus Domini e vuole ricordare il miracolo di Bolsena, verificatosi nel XII secolo.

Si vuole che, mentre un sacerdote germanico, dubbioso nei confronti del Sacramento dell’Eucaristia, celebrava la Messa, dalla particola sgorgasse sangue vivo che macchiò la candida tovaglia dell’altare.

Ma, contemporaneamente, con tale festa si vuole ricordare la liberazione di Torre del Greco dalla schiavitù baronale nel 1699.

Infatti, gli abitanti di Torre del Greco, sfiniti da secoli di lungo servaggio, decisero di riscattarsi dal dominio spagnolo.

A costo di inenarrabili sacrifici, raggranellarono la somma occorrente al riscatto, ed una loro delegazione partì alla volta della Spagna, per offrire al re il prezzo della libertà.

La somma fu accettata, il riscatto concesso, e gli ambasciatori torresi tornarono in patria proprio il giovedì del Corpus Domini.

La festa dei Quattro Altari è una vera e propria manifestazione di arte popolare, poiché, per la realizzazione degli altari, è necessaria l’opera di architetti, pittori e scultori.

Una armatura di legno, alta dai venti ai trenta metri e larga quanto la strada, viene rivestita di tela bianca, drappi e colonne di cartapesta argentate e dorate: su ogni altare viene posta una scultura o una pittura raffigurante per lo più scene bibliche.

Altra caratteristica di questa festa sono i tappeti di fiori, simili ad arazzi dai colori vivaci e smaglianti, di solito preparati davanti alle chiese od agli altari, mediante petali variopinti, artisticamente disposti.

La festa dura da due a tre giorni ed una suggestiva processione, preceduta da una fiaccolata, si snoda per le vie della cittadina tra luminarie ed arcate dai colori smaglianti.

Questa stessa festa si svolgeva un tempo anche a Napoli, dove dalla chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, il Santissimo Sacramento era portato in processione, seguito da rappresentanze delle truppe borboniche, di stanza nella capitale.

Gli altari costruiti a via Toledo, erano riccamente ornati, carichi di bellissimi fiori e con vari ordini di ceri accesi.

In questo periodo si facevano celebrare le cosiddette "messe pezzute", cioè delle messe votive, così definite poiché chi le faceva dire raccoglieva un’elemosina dai parenti, dagli amici o dai vicini.

Era commovente, talvolta, vedere una gracile fanciulla appena riavuta da qualche infermità, andare in giro spesso scalza, per raccogliere la somma richiesta, onde far celebrare una messa di ringraziamento per la recuperata salute.

 

LA FESTA DELLA MONTAGNA

 

 

Il sabato dopo Pasqua, detto "in albis", inizia la festa della montagna, in onore della Madonna del Castello e del monte Somma, nella quale si mescolano riti pagani e cristiani. Infatti essa simboleggia il riapparire della vegetazione dopo l’inverno che, un tempo, rappresentava un lungo periodo di magra. Il primo giorno è detto anche "sabato dei fuochi", perché la sera sui fianchi della montagna vengono accesi grandi falò e fuochi pirotecnici.

I festeggiamenti durano fino al 3 maggio e si concludono bruciando una croce sulla cima della montagna; per tale ragione, il giorno 3 maggio è anche detto "3 della croce". Durante tutto il periodo si svolgono continui pellegrinaggi di comitive, provenienti dai paesi vesuviani, e dirette al Santuario della Madonna.

Esso sorge su di una balza del monte Somma a circa 435 s.l.m., posizionato al centro della stessa.

Fu costruito intorno al 1470 accanto alla preesistente chiesetta di Santa Lucia, ma fu completamente distrutto dalla tremenda eruzione del 1631.

Una leggenda popolare racconta che alcuni contadini del luogo ritrovarono sotto le ceneri la testa della statua della Madonna. Essa fu consegnata ad uno scultore napoletano affinché la restaurasse, ma egli ritardava continuamente la consegna del lavoro.

Un giorno uscì di casa, lasciando sola la figlia, costretta a letto da una paralisi; la fanciulla sentì improvvisamente una voce che le ordinava di alzarsi, ed una volta in piedi, si accorse che la voce proveniva proprio dalla statua. Lo scultore, stupito per la miracolosa guarigione, terminò immediatamente il lavoro, senza chiedere nulla in cambio, e la statua fu posta nella chiesa di S. Lorenzo.

Nel 1651, il nobile Antonio Orsini di Somma, fece riedificare la chiesa del Castello, e la statua vi ritornò, accompagnata da una folla commossa, l’ottavo giorno dopo la Pasqua.

La statua della Madonna ha i tratti delle madri contadine: volto e fianchi larghi, rubiconda, grossolana e feconda. Per questo è stata definita dal popolo "mamma pacchiana".

Le compagnie di devoti che si recano al Santuario, sono definite "paranze", termine marinaro che indica la disposizione delle barche recantesi alla pesca. Le "paranze", in passato, avevano una grande valenza sociale, poiché durante tali festeggiamenti si creavano occasioni di incontro, di rapporti sociali tra contadini che, per il resto dell’anno, erano dediti esclusivamente al lavoro.

I componenti delle "paranze", scendendo dalla montagna al termine della festa, usano offrire alle madri, mogli o fidanzate le "pertiche".

Si tratta di rami di castagno alla cui sommità è posta l’effigie della Madonna; il tronco è poi arricchito da ginestre, collane di castagne e nocciole, torroni, limoni e mele, a simbolo della produttività agricola della nostra terra.

 

LA MADONNA DELL’ ARCO

 

Narra la leggenda che, intorno al 1500, nei pressi di Pomigliano d’Arco, fosse custodito un affresco della Madonna, in un piccolo Tabernacolo lungo la strada.

Un giovane scapestrato, durante una partita di "palla a maglio" imprecò contro la Madonna lanciandole la palla sul volto. La gota, dopo essersi arrossata, cominciò a sanguinare. La folla sbigottita dallo straordinario evento, impiccò il giovane, e decise di erigere una cappella in onore della Vergine.

I devoti della Madonna dell’Arco sono ancora oggi chiamati "fujenti", per la corsa che fanno, verso il Santuario, battendo ritmicamente i piedi per terra.

I "fujenti" sono riuniti in "corporazioni", e, nella sola diocesi di Napoli, ve ne sono oltre cento.

I membri di tali "corporazioni" assumono tra gli altri impegni anche quello della "questua" che iniziano alcuni mesi prima in tutti i paesi intorno a S.Anastasia.

Le squadre di "fujenti" sono anch’ esse chiamate "paranze" e, durante la processione, assumono compiti specifici: 4 di essi portano il tronetto della Madonna, altri 4 sono pronti per la sostituzione, un altro gruppo annuncia con voce potente l’arrivo  della "paranza"; i restanti seguono correndo e battendo i piedi per terra.

 

 

LA FESTA DELLE LUCERNE

 

 

 

In agosto si svolge a Somma Vesuviana la cosiddetta "festa delle lucerne". Essa si celebra ogni 4 anni e, per diversi aspetti, è unica in tutto il Meridione.

Le sue origini sono antichissime e poco note, ed è stata tramandata per secoli, di generazione in generazione, in un contesto rituale cristiano e pagano; essa rappresenta la fusione di due componenti essenziali, quella laica orgiastica e quella religiosa cristiana.

E’ una festa legata principalmente alla campagna, alla natura ed a divinità lontane, è un rito di nascita e di morte, una celebrazione in cui si intrecciano l’ amore per la terra madre, la tristezza dell’inverno, il culto di Diana preposta alla luce, il ricordo di Proserpina prigioniera nell’oscuro regno dei morti e poi ritornata al sole per la gioia di sua madre Cerere, dea delle messi.

La festa, nel suo aspetto più tradizionale, consiste nell’esposizione di centinaia di piccole lucerne di terracotta alimentate ad olio e poggiate su dei supporti di legno dalle elementari forme geometriche: triangoli equilateri, quadrati, cerchi, rombi.

Già queste forme sembrerebbero evocare simbolismi sacrali arcaici: il triangolo, oltre al numero magico tre, si riferisce probabilmente anche alla dea Diana trivio, e non è escluso, nel passaggio al culto cristiano, il riferimento alla Trinità.

Il quadrato rappresenta la perfezione, la stabilità, la legge: il cerchio allude alla perfezione ed all’immutabilità delle leggi naturali, nel susseguirsi delle vicende temporali; il rombo, evoca lo strumento musicale tipico degli allegri cortei del dio Bacco.

Tali supporti vengono posti lungo i vicoli del borgo medioevale, il Casamale.

A sera, accese le lucerne, si ha un senso prospettico di continuità ininterrotta, in una singolare fantasmagoria dei vicoli stessi, con la formazione di fantastici giochi di luci.

I vicoli, vengono inoltre addobbati con festoni di felci, intrecciati con edere e fiori. Al loro ingresso è ricostruito un pergolato, sotto il quale, accanto ad una tavola imbandita, sono disposti due fantocci, maschio e femmina. L’ambiente circostante mostra gli arnesi della vecchia società contadina e campestre; inoltre, quali segni predominanti della festa, vengono ancora collocate zucche vuote ed illuminate, e piccole vasche d’acqua zampillante con oche che nuotano.

L’immagine della Madonna della Neve accomuna anche il significato cristiano della festa, alla quale vengono attribuite varie origini.

Celebrandosi nel mese di agosto, potrebbe significare il termine dell’annata agricola e, quindi, il ringraziamento per il raccolto avvenuto e la fine di un ciclo produttivo.

Gli ambienti ricostruiti all’imbocco dei vicoli, con le tavole imbandite, i personaggi, la vegetazione, gli animali, sono una evidente rappresentazione del quotidiano, della vita e del lavoro di ogni giorno.

Le oche poste nelle vasche d’acqua sembrano invece ricollegarsi al culto della dea Diana, essendo tali esemplari sacri alla dea Diana Tifatina, cioè Campana.

Le zucche vuote, a forma di teste umane, sono un inconfondibile simbolo funerario, come pure le lucerne, nel loro tunnel di fiammelle, rappresentano un’inconscia simbologia di morte.

Ma anch’esse verrebbero collegate al culto di Diana che, oltre ad essere la dea della caccia e delle selve, era considerata nell’antichità la luce dei viandanti e dei trivi, tanto da essere raffigurata anche con la testa incoronata da fiammelle. Ritorna così la connessione con il regno dei morti: si riteneva, infatti, che nelle piazze e nei crocicchi confluissero le ombre provenienti dall’oltretomba.

Tuttavia la lucerna, nella letteratura classica, equivale anche all’organo sessuale femminile, mentre, nella simbologia cristiana, è spirito di vita, come il sole è la lucerna che illumina il mondo intero.

Nel pomeriggio dell’ultimo giorno di festa, si effettua la processione della Madonna della Neve, seguita dalle sole donne; fino a pochi anni fa le donne si radunavano anche sulle terrazze delle abitazioni, per intonare canti dolci e malinconici, che si rimandavano da un belvedere all’altro, mentre il popolo ascoltava in silenzio.

Gli abitanti del borgo, attraverso la loro originale manifestazione, desiderano in sostanza esternare la volontà di non perdere la propria identità di sentimenti, di rapporti, di usi e costumi, poiché è solo attraverso la conoscenza del passato, che si può tracciare il proprio futuro.

 

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