Introduzione
ANTICHI VINI VESUVIANI
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Le eruzioni cambiano non solo l’aspetto del vulcano, ma anche tutto il territorio circostante. I materiali emessi si depositano trasformandosi in rocce molto diverse tra di loro: alcune diventano dure e resistenti, altre friabili che, con il tempo, vengono consumate dal vento e dalla pioggia. Non sempre, però, il vulcano è sinonimo di distruzione: le terre lentamente si trasformano in terreno fertile. Allora l’uomo sembra riappacificarsi con la natura e vede nascere e crescere i frutti che sostentano la sua esistenza.

Ecco che là, dove è passata la furia devastatrice del fuoco e della lava, crescono alberi, vigne, noci, mandorli, castagni etc… E’ come se il gigante, dopo essersi liberato dalla sua rabbia interiore, voglia annullare il male fatto: e come può ripagare l’uomo, se non offrendogli la vita?

 

 

Recenti resoconti giornalistici relativi al XXXII Congresso dell’Associazione Italiana Sommelier-AIS- svoltosi a Castellammare di Stabia, hanno riportato, fra le altre, una singolare notizia. Da alcuni vinaccioli recuperati durante gli scavi di Pompei è stato riprodotto uno degli antichi vini coltivati 2000 anni fa nell’area Vesuviana. Dall’uva di tale vitigno è stato ricavato (o sarà ricavato) il vino che deliziava i palati dei Pompeiani.

Qualche dubbio affiora alla nostra mente dal momento che ben difficilmente i semi in parola abbiano conservato dopo 2000 anni la loro carica germinativa e, anche se tale fenomeno si fosse verificato, il vitigno riprodotto non potrebbe, in teoria, avere conservato la caratteristica di una varietà coltivata in quel tempo. Probabilmente, se ancora possibile, si è partiti (o si partirà) dal DNA di tali vinaccioli per recuperare il vitigno corrispondente.

Si conoscono due tipi di acido nucleico: l’acido Desossiribonucleico (appunto il DNA) e l’acido ribonucleico (RNA). Il primo si trova esclusivamente nel nucleo delle cellule ed entra nella composizione dei cromosomi e cioè di quelle formazioni che sono chiuse entro la membrana nucleare per la maggior parte della vita di un individuo e per la vita di ogni sua singola cellula.

Intanto ci sembra utile riportare qualche notizia sul passato e sul presente della vitienologia dell’area interessata da questo fenomeno.

Risulta che in passato in tale zona si coltivavano pregiati vitigni autoctoni o di origine greca. Da tali vitigni si ricavavano famosi vini. Sono ricordati: Greco di Somma (vesuviano), Faustiniano, Greco di Nola, Greco di Torre (del Greco), Moscatello, Sorrentino, Vernaccia, Latino Aglianico.

Fra le uve coltivate si ricordano: Aglianico, Greco, Lacrima, Moscatello ed altre. I vini erano rossi o bianchi, secchi più o meno passiti, molto alcolici, ricchi di estratto e di colore. Si conservavano in recipienti di creta talora interrati. Spesso erano bevuti con l’aggiunta di acqua o mescolati fra loro, oppure venivano variamente conciati. Quasi certamente non somigliavano ai vini di oggi. La qualità ed il gusto dei vini erano in relazione sia con le varietà di viti impiegate e sia con la natura vulcanica dei terreni della zona.

Attualmente la vitienologia dell’area vesuviana ha conservato una certa importanza ed è rappresentata da buoni o ottimi vini: comuni, tipici, rossi, rosati, bianchi, secchi, dolci. I due vini che sono qualificati con denominazione di origine sono il Vesuvio DOC ed il Pompeiano IOT (Indicazione Geografica Tipica).

Il Vesuvio si produce nei territori vesuviani di Ottaviano, San Gennaro, Boscoreale, Torre Annunziata, Torre del Greco, Portici, Ercolano, Cercola, Somma Vesuviana, Sant’ Anastasia. Le uve impiegate sono: Greco bianca, Coda di volpe bianca, Verdesca bianca, Falanghina bianca, Piedirosso (Colombina) rossa, Aglianico rossa, Sciascinoso (Ulivella) rossa. La gradazione alcolica di questi vini è di 10,5°/11°.

Il pompeiano si produce in tutti i comuni della provincia di Napoli eccetto quelli dell’isola di Ischia. Si impiegano le uve Aglianico, Falanghina, Piedirosso, Coda di Volpe, Sciascinoso, nonché le varietà autorizzate o raccomandate per la provincia di Napoli. Anche per questo tipo di vino la gradazione alcolica è di 10,5°/11° e le tipologie sono: bianco, rosso, novello, frizzante, passito.

Tutti i vitigni di cui sopra sono di antica origine e probabilmente quello relativo ai vinaccioli reperiti a Pompei potrebbe riferirsi ad una di tali varietà.

Tenendo come base di partenza questa eccezionale scoperta, si spera di raggiungere migliori e più convincenti risultati, attraverso una più approfondita ed idonea tecnica colturale dei semi recuperati durante gli scavi di Pompei. Da essi è stato ottenuto un vitigno che ha prodotto dei particolarissimi grappoli da cui si ottiene appunto il vino rosso usato dai pompeiani per annaffiare i loro lunghi pasti.

 

Quant’ è bella ‘a verdesca,

l’olivella e’ a catalanesca,

core ‘i volpe e greculella,

pere ‘e palummo e falanghina,

Curre, cummà, facimmone vina.

 

 

 

 

'A verdesca = l’uva verdesco, il grappolo argentato nel suo verde chiaro così arioso e in rilievo i due graspetti laterali:

L’olivella = è del vitigno "sciascinoso" la forma a piramide e gli acini tondi come olive.

'A catalanesca = è l’uva catalana, arrivata con gli Aragonesi, con i mercanti catalani, dolcissima, carica di aromi.

La coda di volpe = allungata e decrescente negli ultimi soffici chicchi, è la Cauda vulpis di Plinio.

'A greculella = nell’affettuoso diminutivo, segna l’uva del vitigno greco, delle viti  aminee originarie della Tessaglia: arrivarono sulle nostre coste con i navigatori Greci.

Pere ‘e palummo = è la varietà di vite piedirosso, è antichissima e richiama nel nome il colore che assume il graspo nella maturazione: rosso come il piede di un colombo.

L’uva falanghina = ha polpa croccante e  sapore di ginestra. L’origine del nome deriva dal latino phalanga, cioè palo: vite legata al palo.

Le notizie relative ai vini sono state tratte da "La bambina dietro la porta" di Maria Orsini Natale, che continua il suo racconto attingendo alla memoria il ricordo della scoperta di un’uva selvatica, trovata una prima volta in una grotta:

 

Cuglimmo ’nu poco ‘e

chell’uva grutticella

lucente ‘e sole ‘na bella marennella.

 

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