ITALIANO
INTRODUZIONE
Giacomo Leopardi trascorse i suoi ultimi anni a Napoli, ove la presenza del Vesuvio, quiescente da tempo ma fortemente evocativo per il fervore degli scavi archeologici iniziati da poco a Pompei ed Ercolano, gli ispirò La ginestra, che chiude la raccolta dei Canti. Il vulcano, minaccia permanente e imprevedibile nelle sue manifestazioni, sovrasta il paesaggio come simbolo della potenza distruttrice della natura matrigna; il poeta rievoca la terribile eruzione del 79 d.C., quando quelle splendide città furono in pochissimo tempo travolte dalla sua furia. Oggi ne restano le rovine, a testimonianza di quanto la gloria umana sia ben piccola cosa a confronto con l'incontrollabile potere della natura. |
IL TESTO (parti significative)
Qui sull'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor nè fiore ,
tuoi crespi solitari intorno spargi, 5
odorata ginestra,
contenta dei deserti.
(…)
così dall'alto piombando ,
dall'utero tonante
scaglia al ciel profondo,
di ceneri e di pomici e di sassi 215
notte e ruina, infusa
di bollenti ruscelli ,
o pel montano fianco
furiosa tra l'erba
di liquefatti massi 220
e di metalli e d'infuocata arena
scendendo immensa piena,
le cittadi che il mar là su l'estremo
lido aspergea , confuse
e infranse e ricoperse 225
in pochi istanti: onde su quelle or pasce
la capra, e città nove
sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
son le sepolte, e le prostrate mura
l'arduo monte al suo piè quasi calpesta. 230
(…)
Torna al celeste raggio
dopo l’antica obblivion l’estinta 270
Pompei , come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all’aperto ;
e dal deserto foro
diritto infra le file 275
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante ,
che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror de la secreta notte 280
Per li vacui teatri,
per li templi deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde ,
come sinistra face
che per vòti palagi atra s’aggiri, 285
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l’ombre
rosseggia e i lochi intorno tinge.
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor nè fiore ,
tuoi crespi solitari intorno spargi, 5
odorata ginestra,
contenta dei deserti.
(…)
così dall'alto piombando ,
dall'utero tonante
scaglia al ciel profondo,
di ceneri e di pomici e di sassi 215
notte e ruina, infusa
di bollenti ruscelli ,
o pel montano fianco
furiosa tra l'erba
di liquefatti massi 220
e di metalli e d'infuocata arena
scendendo immensa piena,
le cittadi che il mar là su l'estremo
lido aspergea , confuse
e infranse e ricoperse 225
in pochi istanti: onde su quelle or pasce
la capra, e città nove
sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
son le sepolte, e le prostrate mura
l'arduo monte al suo piè quasi calpesta. 230
(…)
Torna al celeste raggio
dopo l’antica obblivion l’estinta 270
Pompei , come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all’aperto ;
e dal deserto foro
diritto infra le file 275
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante ,
che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror de la secreta notte 280
Per li vacui teatri,
per li templi deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde ,
come sinistra face
che per vòti palagi atra s’aggiri, 285
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l’ombre
rosseggia e i lochi intorno tinge.
Riflessione
- Che cosa rappresenta il vesuvio per Leopardi e quali espressioni del testo rendono meglio il concetto?
- Che visione emerge dal testo delle città romane che un tempo sorgevano alle pendici del vulcano?
- Il testo riportato si conclude con una visione apocalittica. Sintetizzarla.
Testo di Paola Lerza - foto di Lucia Maria Izzo
RADIOGRAFIA DI UN'ERUZIONE VULCANICA