LATINO
INTRODUZIONE
La prima eruzione vesuviana di cui si abbia memoria storica risale al 79 d.C. Ce ne dà testimonianza, con ricchezza di particolari, lo scrittore Plinio il Giovane, che fu spettatore di quel fenomeno straordinario e che in esso perse lo zio, Plinio il Vecchio. Costui, funzionario alle dipendenze dell'imperatore Vespasiano, era un appassionato osservatore della natura e uno scienziato dilettante. Non seppe resistere alla curiosità e volle avvicinarsi troppo al fenomeno eruttivo, spinto anche dal desiderio di portare aiuto alla popolazione in fuga. Rimase però soffocato dalle esalazioni del vulcano e trovò la morte nei pressi di Castellammare di Stabia. Il nipote Plinio il Giovane descrive l'ultimo viaggio dello zio in una lettera a Tacito (Ep. VI, 16, 4-20) |
Il Testo
1. La nube vulcanica
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Erat Miseni classemque imperio praesens regebat. Nonum Kal. Septembres hora fere septima mater mea indicat ei apparere nubem inusitata et magnitudine et specie. Usus ille sole, mox frigida, gustaverat iacens studebatque; poscit soleas, ascendit locum ex quo maxime miraculum illud conspici poterat. Nubes - incertum procul intuentibus ex quo monte; Vesuvium fuisse postea cognitum est - oriebatur, cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit. Nam longissimo velut trunco elata in altum quibusdam ramis diffundebatur, credo quia recenti spiritu evecta, dein senescente eo destituta aut etiam pondere suo victa in latitudinem vanescebat, candida interdum, interdum sordida et maculosa prout terram cineremve sustulerat. |
Si trovava a Miseno e comandava di persona la flotta. Il 24 agosto, all’incirca alle ore 13, mia madre gli dice che si vede una nube strana per grandezza e per forma. Lui aveva preso il sole, poi aveva fatto un bagno freddo e aveva mangiato standosene sdraiato, e in quel momento studiava; chiede che gli portino le scarpe e sale in un luogo da cui quella cosa straordinaria si poteva vedere bene. Si levava – per chi guardava da lontano non si capiva bene da che monte venisse; poi si appurò che era il Vesuvio – una nube, molto simile per forma a un pino marittimo. Infatti si estendeva verso l’alto come su un tronco lunghissimo e poi si allargava come con dei rami, credo perché le veniva a mancare la spinta iniziale, e quindi per forza di gravità si allargava e tendeva a ricadere su se stessa. L’aspetto era qua e là bianco e sporco, o a macchie, a seconda che trasportasse terra o cenere. |
2. Il panico tra la gente
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Magnum propiusque noscendum ut eruditissimo viro visum. Iubet liburnicam aptari; mihi si venire una vellem facit copiam; respondi studere me malle, et forte ipse quod scriberem dederat. Egrediebatur domo; accipit codicillos Rectinae Casci imminenti periculo exterritae - nam villa eius subiacebat, nec ulla nisi navibus fuga -: ut se tanto discrimini eriperet orabat. Vertit ille consilium et quod studioso animo incohaverat obit maximo. Deducit quadriremes, ascendit ipse non Rectinae modo sed multis - erat enim frequens amoenitas orae - laturus auxilium. Properat illuc unde alii fugiunt, rectumque cursum recta gubernacula in periculum tenet adeo solutus metu, ut omnes illius mali motus omnes figuras ut deprenderat oculis dictaret enotaretque. |
Gli parve una cosa straordinaria, e che un uomo di scienza doveva vedere più da vicino. Ordina che gli si prepari una scialuppa; mi chiede se voglio andare con lui, ma io preferivo studiare: avevo da fare cose che mi aveva dato lui. Mentre stava per uscire, gli viene recapitato un messaggio di Rettina, moglie di Casco, atterrita dal pericolo incombente. La sua villa, infatti, era proprio sotto il monte e non c’era via di fuga se non per mare. Lo scongiurava di salvarla. Allora lui cambiò idea e mise ancor più foga in quel che aveva intrapreso. Fa portare le quadriremi e si imbarca lui stesso per portare aiuto non solo a Rettina, ma anche a tutti gli altri, dato che la costa, bellissima, era anche molto popolata. E mentre tutti fuggono lui va dritto verso il pericolo, senza paura, tanto che riesce perfino a prendere appunti su quel fenomeno straordinario. |
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3. Caduta di cenere e materiali eruttivi; frane e bassifondi
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Iam navibus cinis incidebat, quo propius accederent, calidior et densior; iam pumices etiam nigrique et ambusti et fracti igne lapides; iam vadum subitum ruinaque montis litora obstantia. Cunctatus paulum an retro flecteret, mox gubernatori ut ita faceret monenti 'Fortes' inquit 'fortuna iuvat: Pomponianum pete.' Stabiis erat diremptus sinu medio - nam sensim circumactis curvatisque litoribus mare infunditur -; ibi quamquam nondum periculo appropinquante, conspicuo tamen et cum cresceret proximo, sarcinas contulerat in naves, certus fugae si contrarius ventus resedisset. Quo tunc avunculus meus secundissimo invectus, complectitur trepidantem consolatur hortatur, utque timorem eius sua securitate leniret, deferri in balineum iubet; lotus accubat cenat, aut hilaris aut - quod aeque magnum - similis hilari. |
Mano a mano che si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre più calda e sempre più fitta, e cadevano pomici nere e pietre bruciate dal fuoco e spezzate; si era formata una secca e non si poteva sbarcare, che una frana lo impediva. Stette un po’ a pensare se tornare indietro, e il timoniere lo invitava caldamente a farlo. Ma lui disse: “La sorte aiuta gli audaci; vai da Pomponiano”. Egli si trovava a Stabia, separato da metà del golfo, dato che la costa è molto frastagliata; lì il pericolo non era ancora imminente, ma cresceva sempre di più, e allora lui aveva caricato i bagagli sulle navi, pronto a partire se il vento contrario si fosse placato. Mio zio arriva là con il vento in poppa, abbraccia l’amico terrorizzato, lo consola, lo esorta con la sua sicurezza a calmare la paura . Vuole essere accompagnato nel bagno, si lava e si siede a cena, tranquillo o facendo finta di esserlo, il che è ancor più eroico. |
4. Fiamme nella notte
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Interim e Vesuvio monte pluribus locis latissimae flammae altaque incendia relucebant, quorum fulgor et claritas tenebris noctis excitabatur. Ille agrestium trepidatione ignes relictos desertasque villas per solitudinem ardere in remedium formidinis dictitabat. Tum se quieti dedit et quievit verissimo quidem somno; nam meatus animae, qui illi propter amplitudinem corporis gravior et sonantior erat, ab iis qui limini obversabantur audiebatur | Nel frattempo sul Vesuvio si vedevano brillare in più luoghi fiamme altissime e incendi vastissimi, tanto più visibili nel buio della notte. Egli diceva che si trattava di case abbandonate che avevano preso fuoco per l’incuria dei contadini fuggiti dalla paura, e lo diceva per sdrammatizzare. Poi si mise a dormire e dormì per davvero : quelli che passavano davanti alla porta lo sentivano russare, anche perchè era di corporatura grossa e aveva il respiro pesante. |
5. Caduta di molti materiali vulcanici e terremoti
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Sed area ex qua diaeta adibatur ita iam cinere mixtisque pumicibus oppleta surrexerat, ut si longior in cubiculo mora, exitus negaretur. Excitatus procedit, seque Pomponiano ceterisque qui pervigilaverant reddit. In commune consultant, intra tecta subsistant an in aperto vagentur. Nam crebris vastisque tremoribus tecta nutabant, et quasi emota sedibus suis nunc huc nunc illuc abire aut referri videbantur. Sub dio rursus quamquam levium exesorumque pumicum casus metuebatur, quod tamen periculorum collatio elegit; et apud illum quidem ratio rationem, apud alios timorem timor vicit. Cervicalia capitibus imposita linteis constringunt; id munimentum adversus incidentia fuit. |
Ma lo spazio dal quale si accedeva alla stanza, pieno di cenere e di pomici, si era già tanto alzato di livello che se si fosse rimasti dentro un po’ di più non si sarebbe potuti uscire. Allora si svegliò e si unì a Pomponiano e agli altri che erano rimasti svegli. Si consultano insieme se rimanere in casa o uscire all’aperto. Infatti le case oscillavano per le frequenti e violente scosse telluriche e sembravano andare qua e là quasi scardinate dalle fondamenta. A uscire fuori, si temeva la caduta di pietre, sebbene leggere e corrose, ma parve il male minore ; in lui fu una ragione a prevalere sull’altra, negli altri una paura. Si legarono dei cuscini sulla testa, cercando in questo modo di difendersi dai materiali vulcanici che cadevano. |
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6. Fittissima caligine, mare agitato
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Iam dies alibi, illic nox omnibus noctibus nigrior densiorque; quam tamen faces multae variaque lumina solvebant. Placuit egredi in litus, et ex proximo adspicere, ecquid iam mare admitteret; quod adhuc vastum et adversum permanebat. Ibi super abiectum linteum recubans semel atque iterum frigidam aquam poposcit hausitque. |
Ormai altrove era giorno, mentre lì era notte, la notte più nera e più densa di tutte le notti; tuttavia molte e varie luci o fiamme la rischiaravano. Decisero di scendere alla spiaggia e vedere da vicino se era possibile prendere il mare, ma esso rimaneva ancora agitato e avverso. Egli stese un telo per terra e ci si adagiò sopra ; chiese e bevve più volte dell’acqua fredda |
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7. Esalazioni sulfuree
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Deinde flammae flammarumque praenuntius odor sulpuris alios in fugam vertunt, excitant illum. Innitens servolis duobus assurrexit et statim concidit, ut ego colligo, crassiore caligine spiritu obstructo, clausoque stomacho qui illi natura invalidus et angustus et frequenter aestuans erat. Ubi dies redditus - is ab eo quem novissime viderat tertius -, corpus inventum integrum illaesum opertumque ut fuerat indutus: habitus corporis quiescenti quam defuncto similior. |
Poi le fiamme e l’odore di zolfo che si sente prima del fuoco misero in fuga gli altri e svegliarono lui. Si alzò appoggiandosi a due schiavi, ma subito ricadde, probabilmente soffocato dalla caligine troppo densa e con la gola ostruita, gola che egli aveva stretta, malandata e spesso infiammata. Quando tornò il giorno – ed era il terzo da quello che lui aveva visto per ultimo – il suo corpo fu trovato integro e intatto, con addosso i vestiti che aveva : l’atteggiamento del corpo era più simile a un dormiente che a un morto. |
Pagina a cura di Paola Lerza
RADIOGRAFIA DI UN'ERUZIONE VULCANICA