Oggi visita guidata
ai cantieri navali di Castellammare. Dalla storia passo alla realtà, e i
miei ragazzi dalla teoria alla pratica, dalla simulazione all’esperienza
in grande nel taglio e nell’assemblaggio.
Ci accoglie uno spiazzo livido, un clamore irreale, uno scintillìo che
si insinua tra la scialba luce, il rincorrersi clamante degli uccelli
marini, il monotono andare e tornare della distesa marina. L’agitarsi di
uomini e l’intricarsi di cordami tra l’indistinto vocìo e la lieve
lamentosa isteria delle albarelle, il senso dell’incompiuto degli
scheletri degli scafi si sovrappongono al mio disagio, il disagio di chi
adesso è estraneo a se stesso e in una terra inospitale e straniera. Ma
che ci faccio in un cantiere di ben duecentoventimila metri quadrati, io
che ho più familiarità con l’allegra confusione della carta tracciata da
impalpabili segni, scie silenziose e saccenti, che con l’ossidabile
aguzza lamiera?
Tiro fuori carta e penna.
“Prof., perchè prendete appunti?”. Ma che sciocchezza è questa, per non
girare disarmata in un avamposto caotico dove tutto diventa
paradossalmente ordine nelle parole della nostra guida in questo mondo
subumano.
Tutto è perfetto, tutto organizzato. “Le lamiere arrivano col treno”,
ci illustra il nostro Virgilio, senza corona d’alloro, ma con un bel
casco arancione che pare non possa proteggere nemmeno dalla caduta di un
sassolino, “vengono sottoposte alla sabbiatura...”. “Che
sabbia è?” chiede anticipando la mia curiosità il collega. “Non
silice, che provoca la silicosi, ma sabbia da altoforno, acciaio,
sparata con ugelli, che toglie la ruggine e lucida il ferro”. Dio
mio, come sono felice di fare il lavoro che faccio, qui non c’è che
l’occhio ad abbracciare l’omogenea pianura dei capannoni e i piedi ad
evitare passo dopo passo la disomogeneità del suolo, pietrisco, cavi,
fili, binari, in un grigio che una parvenza di sole rende ancora più
grigio, in un’inanimata grandezza tecnologica che l’azzurro del porto e
il paesaggio sullo sfondo non finiranno forse mai di rimproverare come
figlia indegna di una degna natura. Tutto organizzato, tutto funzionale.
I componenti esterni provengono da altre ditte; costa meno. Le lamiere e
i profilati vengono richiesti quando serve, in tal modo si riducono le
passività. Ogni pezzo fa parte di un lotto, è numerato e viene
assemblato agli altri senza ulteriori perdite di tempo. Nel capannone
dei cavi questi vengono tagliati all’esatta lunghezza prevista dal
progetto. Tutto funzionale, tutto programmato. Da un uscio socchiuso si
intravede un’anonima equipe di ingegneri a tavolino. A malapena forse si
conoscono. Forse quando la mattina cominciano a progettare non si
chiedono nemmeno “come stai?” o “ a casa tutti bene?”. Il
computer certo non glielo chiede. Forse non glielo chiedono nemmeno i
superiori, tanto si tratta di ingegneri, e quindi ciò che conta è che
siano in grado appunto di far fruttare l’ingegno…
La guida ci sintetizza le ultime commesse dei Cantieri mentre osserviamo
in una sequenza di operazioni una piccola catena umana priva di ogni
elementare creatività come il macchinario che esegue. Certo, ciò ha i
suoi vantaggi. La macchina lavora su progetti: non ha responsabilità.
L’operaio esegue meccanicamente, ossessivamente la stessa prassi, la
medesima funzione.
Non ha
responsabilità. Nella perfetta organizzazione del tutto un anello non fa
la catena, un uomo non è quello che produce. Al limite, è ciò che
mangia.
Tutto programmato, certo. Cammino tra l’intrico di cavi, pietrisco,
pezzi di lamiera e profilati. La prova di esecuzione del taglio a plasma
della lamiera ferrosa piana che non supera i 2 cm di spessore evita
l’antieconomico ulteriore procedimento di smussatura. Come in tutte le
visite guidate, la prova produce e regala alla nostra scuola una chiave
che al limite può sparire dal muro del corridoio della Presidenza solo
se qualche mano o evento fortuito la stacca, ma perlomeno non farà la
fine delle cornici erose dall’incuria e dal tempo e delle storiche
lettere che vi sono racchiuse, su cui anche l’impietoso tarlo ha profuso
la sua non richiesta opera. Ah, la profonda ingiustizia che non accomuna
nella stessa sorte un segno nel ferro tracciato con precisione
automatica e guidato da un dischetto, e un altro incerto e sudato
vergato da una penna in un volo impalpabile del cuore!
Usciti dal capannone, guardo in alto. La scheletrica presenza di fondi
di navi, di parti di poppa o prua con i fori di alleggerimento, vuote
orbite nelle paratie, lascia il posto alle gru elettromagnetiche.
E’uscito il sole a ricordarci che questa è terra, mare, spiaggia e che
tra tagli piani, sagomature di poppe o prue stellate o bombate, presse o
cannelli per la curvatura delle parti piccole di lamiera ci sono degli
uomini, prima ancora che dei professionisti di elevato valore. Ce lo
ricorda anche il nostro Virgilio, che ha preso confidenza e sembianza
mortale, ma in questo piccolo inferno di polveri, acidi mortiferi,
solventi, vernici, schegge di fiamma è senz’altro più salvifico
afferrare montalianamente “il palpitare/lontano di scaglie di mare” che
lasciarsi andare a strane riflessioni sulla legge del contrappasso: -
bestia che sei!!! Nella vita hai fatto fuoco e fiamme, ora starai
sospeso nel vuoto a saldare i blocchi col cannello a ossiacetilene! -
Bella legge - concludo affrettatamente tra me e me - che uno può anche scegliere da vivo, basta
che lo paghino!
Per fortuna dei miei poco pazienti alunni, non riusciamo a vedere il
capannone dei profilati, ma solo quello per l’assemblaggio in blocchi
delle lamiere e dei profilati - mensole per il bordo, angolare a bulbo,
ferro a bulbo, e intanto disordinatamente appunto - che avviene dopo un
procedimento di sagomatura per la preparazione alla saldatura, ad
elettrodi o a filo continuo. Sto molto attenta all’intero processo, ma
poco dopo, finalmente al sole, in prossimità dello scalo per il varo,
vengo interpellata per una veggenza - A che ora finiamo? - , - Per l’una
siamo a casa? -, - Io dovrei andare a prendere la mia ragazza a scuola,
ce la faccio? - A mia volta chiedo all’unico volenteroso munito di
quaderno, benché inutilizzato (“professoressa l’ho portato se casomai ci
date qualche tema!”): -Ti piace davvero tutto questo? - Ne ricevo
risposta affermativa. Spero tristemente che non scelga mai di fare un
lavoro così…
Continuo a pensare a voce sommessa mentre la nostra guida ci fa notare
quanto arenile sia stato colmato per ampliare il vecchio cantiere
borbonico. Siamo davvero fatti noi uomini per vivere in un paesaggio
disumanizzato; è dignitoso mortificare la propria libertà e creatività
in nome dell’utile, della tecnica, del progresso, ma senza vivere in
prima persona le inclinazioni, i progetti, l’intero processo
costruttivo? E’ questa alienazione una sottrazione di risorse, un
prosciugamento dei desideri, un appannamento del pensiero divergente,
del senso sociale? Non è così, non è più così? E non sarà così per
questi ragazzi che io cerco di formare ma che studiano da macchinisti
per lavorare, per fare il lavoro di papà mio, quel lavoro che gli ha
dato molto ma gli ha tolto tutto, anche la vita?
Sullo scalo di varo si sta ultimando una commessa. Tra una ventina di
giorni, terminate la saldatura e la pitturazione dei blocchi, il lucido
ammasso ormai diventato nave, privato dei puntelli di sostegno,
scivolerà sui cuscinetti di stearina di un’impalcatura di legno. Dopo un
paio d’ore, frenata nella sua corsa da pesantissime catene, una nuova
unità navale mercantile bagnerà la chiglia nelle acque del porto,
dondolando pigramente nel mare delle speranze di profitto, degli auguri
e dei lunghi mesi di travaglio, in attesa di ospitare inconsapevole
uomini e oggetti.
Ho visto, sentito, appuntato abbastanza.
E’ora di fare l’appello, alla stazione. Ci sono circa cento gradini da
salire. Mi piacerebbe tanto scambiare opinioni con qualcuna delle teste
pensanti della mia classe, sapere se in loro si è mosso qualcosa.
Alle varie fermate mi salutano o mi ignorano, mi lasciano nel dubbio se
riprendere o no l’argomento. Intanto io scrivo. Non so cosa scriveranno
loro sul cantiere, come ne aggiorneranno la storia con le loro ricerche,
quali impressioni tenteranno tra cento altre cose da fare, di
comunicarmi e se tenteranno.... Non li ho visti curiosi, nè li ho
sentiti domandare.
Il dialogo e la visita si chiudono; tutto bene, tutto grigio, tutto
perfetto, tutto organizzato, tutto secondo una logica didattica ed
economica, tutto programmato, tutto senz’anima, ma me ne preoccupo
solamente io.
Antonella Russo
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