Vorrei saper scrivere. È un desiderio importante
questo: vorrei saper scrivere. Importante e triste.
In cucina regna il caos totale, uno spettacolo pietoso: scatola
semivuota di pelati, coltello da cucina messo di traverso, l’acciaio
opaco, per un alone di grasso. Il formaggio è grasso e io ne ho messo
troppo nella pizza. Alla faccia della dieta, del colesterolo, di tutto
il bombardamento su un’alimentazione corretta, leggera, salutare e vai
col can can massmediatico.
Ho fatto tutto in fretta, le mani continuamente impiastricciate, lo
strofinaccio ridotto ad abito da arlecchino, multicolor spinto, sugo,
olio, latticello che grondava dalla mozzarella, ma quando lo uso così,
lo strofinaccio, mi sento tanto chef!
Quien sabe il perché di certi meccanismi mentali…
Il forno ha raggiunto in fretta la temperatura che occorre e la pizza è
in forno, 20 minuti di azione frenetica, rivoluzione dell’ordine
costituito al mattino e la pizza è in forno, ancora per venti minuti.
Un’ora fa ho finito di leggere il romanzo. È il primo di Baricco, lo
adoro, e questo è delizioso, cattura la mente come sempre, esalta il
lato estetico, la parola è sovrana, giocata nelle sfumature
dell’evocazione, dell’imitazione, del ricordo. Castelli di rabbia.
Bello, non l’avevo ancora letto. Devo ricordarmi di dirlo a Mariachiara,
un regalo graditissimo, affettuoso come sempre, fatto senza motivo o,
forse, col semplice collaudato desiderio di far piacere ad un’amica.
Baricco è il mio scrittore preferito, dei contemporanei, almeno. Deciso:
faccio la recensione.
Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi
la vita risponde. Egregio, al solito! È già straordinaria in sé questa
frase, ma nulla in confronto al senso, al trasporto che comunica
all’interno del contesto: uno sparo nel cervello, un’esplosione di
emozioni.
Il profumo di pizza comincia a farsi sentire, anche lo sfrigolio
dell’olio nella teglia. Le sue storie, questa in particolare, mi isolano
dal quotidiano, la mente si rifugia nel mito, si immerge in uno
spazio-tempo fuori categoria, fuori definizione. E poi Faulkner, devo
ricordarmi di citare Faulkner , mai così vicino, in quei suoi lunghi
racconti le parole costruiscono immagini, la lettura procede come un
film, come “La lunga estate calda”, un Paul Newman bello come il sole
caldo degli States del Sud, col sottofondo musicale di voci nere e
tristi che cantano a Dio il dolore antico della schiavitù.
La recensione deve essere breve, non è un saggio, solo un invito alla
lettura per condividere con qualche altro il piacere. Condividere, già.
Con lei non posso farlo più.
Se ne è andata all’improvviso.
Accadono cose che sono come domande…
Scriveva per il gusto, altro dal suo lavoro che la attraversava tutta…
meno un pezzo, e in quel pezzo scriveva recensioni. Aveva scoperto quasi
per caso che poteva farlo e si era accanita. Carattere! Un libro ogni
tre giorni, ogni due e poi la recensione.
“Ma come fai, benedetta ragazza? Dove lo trovi il tempo per leggere, per
scrivere e per lavorare e star dietro ai ragazzi, a tuo marito?”
Dovevo scrivere anche io, dovevo trovare quel piacere. Insisteva sempre
e io nicchiavo. Un giorno: “Baricco! Leggi questa che ho appena scritto
e dimmi che ne pensi! Omero, Iliade.” Una provocazione!
“Non c’è cuore qui dentro. Il testo è meraviglioso, mostra il suo cuore
Dani”
“Riscrivila tu, allora. Tu senti quel cuore, a me non entusiasma, scrive
bene costui, ma non mi entusiasma…” L’ ho riscritta e l’ho pubblicata, è
l’unica che ho fatto.
Telefonate lunghissime, almeno una ogni giorno, che facevano bene allo
spirito, per le chiacchiere fitte, per la possibilità di gustare
l’espressione libera del proprio pensiero, senza sentirsi giudicata, la
complicità e l’intimità, l’affetto e la carezza di conforto nei momenti
bui. Le risate e le lacrime, le tensioni e gli entusiasmi, la vita, la
semplice vita di ognuno, che correva raccontata, discussa, arginata
quando rischiava di travolgere l’equilibrio. Emozioni di un cuore
giovane, affamato di esperienza, e vecchio di esperienze.
Può funzionare un legame così, costruito intorno ad una cornetta che
annulla le distanze, se si vogliono annullare, se si riempie lo spazio
con l’affetto spontaneo, nato per caso, vissuto con determinazione,
senza dubitarne mai.
“Che cucini?” A volte capitava anche di scendere nel concreto delle
azioni quotidiane, ripetute di continuo. Non ricordo che mi abbia detto,
devo averglielo chiesto rarissimamente in tanti anni, non ricordo mi
abbia risposto altro che risotto al radicchio. Originale veneto,
trevigiano D.O.C Che strano, non ricordo altre risposte…
In modo ricorrente, però, mi torna in mente che, con quel suo accento
marcato, così diverso da quello che sento ogni giorno intorno a me,
concludeva la telefonata con un trillo di allegria nella voce “ Oggi
pizza! Vado a tirarla dal forno!”
…Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde. Dani se l’è
portata via il suo destino…
Il timer è stonato, devo comprarne uno nuovo, il suono sembra un
singhiozzo. La pizza è pronta, ho deciso, farò questa benedetta
recensione. Dovunque sia ora, ma è un po’ anche vicino a me, lei ne sarà
contenta.
Oggi pizza. Vado a tirarla dal forno.
Sonia Solomonidis
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