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Ricordi
tanto cari |
Lo scorrere del tempo e degli anni, il lavoro e la frenesia della vita di oggi possono fare assopire i ricordi che legano al proprio vissuto. Essi però sono lì, talvolta appena percepiti, spesso sfuggenti, ma pronti ad emergere con prepotenza e diritto di cittadinanza. Sono immagini, flash back in bianco e nero, particolari di ricami delicati, di fantasie stampate su sete pregiate, spaccati di luoghi, che ritornano. Sensazioni più che altro, su cui non mi ero soffermata prima perché non ne avevo il tempo, non c’era spazio per i ricordi più remoti, ero troppo assorbita dal presente. Poi, di colpo, ecco aprirsi delle parentesi di memoria e dal passato ripresentarsi profumi, colori, impressioni, emozioni che mi sembra di avvertire ancora. Affiorano pian piano, uno per volta ma con insistenza, e divengono perle della mia odierna realtà. E’ stato così che ho iniziato a fermare su un foglio ricordi cari del mio passato e, tra i più preziosi, quelli che mi legano alla nonna Ciccina. Era una mattina d’inverno, io, piccolina di 3… 4 anni, dormivo nel letto grande tra il nonno e la nonna, sotto la pesante ma calda cotonata imbottita, rosso granato da un lato e giallo oro dall’altro. È ancora buio quando battono al vetro della porta e la nonna Ciccina si alza per aprire, solleva la sbarra di ferro, apre un po’ la porta interna di legno e dice al capraio di aspettare un attimo; va a prendere due tazze, una di ferro ed una di alluminio. - ‘ma ‘ddari du’ quatti di latti ‘na na tazza e ‘n quattu ‘na l’autra” - dice sottovoce mentre il capraio lo munge dalla capra che ha separato dal gruppo e portato vicino alla “vetrina”. La nonna fa passare le tazze, una per volta, attraverso una finestrella di vetro scorrevole e, quando questi ha finito, lo paga e lo saluta con un “arrivederci a domani”. In effetti, questo è un rito che si ripete tutte le mattine. Per andare in cucina, poi, ad accendere il focolare e scaldare il latte, la nonna passa dalla sala da pranzo dove dorme il figlio più giovane. “Ninu, sùsiti… u sentìsti sùsiti, è ura di iri a Scola, facuntu ca scinni l’autobùssu!”. Lo zio era diligente, si alzava, si preparava e veniva a bere il caffellatte accompagnato dal pane abbrustolito nella stanza grande dove io ero rimasta rannicchiata sotto le coperte, da sola, perché intanto anche il nonno era già in movimento. Mi pare di sentire ancora oggi quell’odore di pane abbrustolito e caffellatte ed il battere del cucchiaio contro la tazza di ferro, mentre zio Nino mangiava di fretta, in piedi e con l’occhio vigile alla strada, da bravo studente qual era, per controllare che l’autobus non fosse spuntato dalla curva di San Giuseppe... Se per caso era arrivato alla fermata di Santu Roccu, allora bisognava correre per non perderlo. E dire che la fermata successiva era proprio di fronte casa nostra! Quella tazza di ferro in cui la nonna preparava la colazione a zio ogni mattina continuò ad essere, comunque, “a tazza di Ninu” anche dopo che si fu sposato. A distanza di anni, anch’io mi sono trovata a rivivere quei momenti quando viaggiavo per Paternò e la nonna chiamava anche me, a lungo ho vissuto con lei, perché mi preparassi per andare a Scuola, anche se lei ed io non dormivamo più nella camera grande con la vetrina sulla strada. Era già stata costruita, infatti, la parte nuova della casa. Ripenso spesso all’odore del caffellatte di zio e al rumore del cucchiaio che batte contro la tazza di ferro, “immagine” che ha resistito allo scorrere del tempo. Un giorno, ero già più grande, curiosando nella libreria, trovai un quaderno: intatto, quasi nuovo, la copertina in cartoncino nero, martellato e lucido, i bordi rossi, una etichetta bianca con bordino su cui non ricordo più cosa ci fosse scritto. Lo aprii e notai che i fogli erano a righi neri su carta bianca, un po’ giallastra, due righi rossi sottili verticali a delimitarne i margini. Con sorpresa, mi accorsi che vi erano scritti dei temi, chiaramente un quaderno di bella copia. Era di zio Nino. A primo impatto ne ammirai la calligrafia ordinata e chiara, ma ferma e lievemente inclinata, poi ne lessi qualcuno ed ebbi modo di apprezzare il suo stile, il lessico, la sua fantasia e capacità espositiva. Frequentavo le Scuole superiori al tempo ed un giorno in cui avevo compito in classe di italiano, d’impulso, misi in cartella il suo quaderno. Tra i tanti, c’era un tema che mi piaceva particolarmente e quella volta riportai nel mio compito qualche frase che si adattava al mio elaborato. Andò bene. Quel quaderno continuai a conservarlo nella stessa libreria in cui l’ho trovato, insieme ai miei libri e… vorrei averlo ancora, per renderglielo oggi. L’ho cercato senza successo, come ho cercato molti miei libri di Scuola, che conservavo gelosamente e che oggi non ci sono più. Sono belli i ricordi, scaldano il cuore, vivono con noi e ci formano, ci aiutano a crescere, ci rammentano quali sono le cose per cui vale la pena vivere, ci rendono umili, creano condivisione e legami indissolubili. Sebastiana Schillaci |
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