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La cucina di nonna Ciccina

Ho negli occhi i colori di quella casa e ne sento ancora gli odori, se mi astraggo per un attimo e corro con la mente ad anni lontani… La vecchia cucina nera di fumo, con il focolare perennemente acceso nelle sere d’inverno, è stata il centro vitale della casa in ogni stagione e nonna Ciccina della cucina e di quella casa era l’anima…

            Una mattina d’inverno, non è ancora giorno fatto, alla pallida luce di una lampada, la nonna si piega sul largo macinino per l’orzo e fa girare con energia la dura manovella, diffondendo un allegro rumore nelle stanze vicine. La sensazione di gelo che fa battere i denti e serpeggiare brividi lungo la schiena, anche se ci si avvolge stretti in scialletti che coprono le spalle, è mitigata solo dall’allegra fiamma del focolare e dalla carbonella che inizia a rosseggiare nella conca, posta vicino ad un uscio esterno, lasciato socchiuso per fare passare un filo d’aria che la farà bruciare più in fretta. La conca è in rame rosso lucido e presto sarà portata in sala da pranzo, inserita nell’apposito piede in legno e la nonna vi poggerà sopra il ciccu, una campana formata da strisce di legno ricurvo su cui adagerà gli indumenti di chi dorme ancora, perché al risveglio possa vestire roba calda. E’ un rituale che si ripete tutte le mattine nella stagione fredda. Nella cucina vi sono tre focolai a legna e due sono accesi: uno serve a scaldare l’acqua per lavarsi e sull’altro viene preparato il caffè, il latte per la colazione e sarà abbrustolito il pane per accompagnarli.

        La nonna è bassina, rotondetta, dolcissima. Parla a bassa voce ed ha un aspetto fragile, reso ancora più delicato dai capelli candidi, pieghettati, vaporosi e raccolti in una piccola crocchia dietro la nuca. Tiene molto ai suoi capelli ondulati, la nonna, le conferiscono un’aria ordinata e fine… mai un filo fuori posto! Ha grazia la nonna ed una intelligenza brillante. Si muove veloce e leggera. Dopo avere acceso il fuoco, messa a scaldare l’acqua e quando il caffè già inebria l’aria del suo aroma, lei si reca a controllare le galline e ad accudirle. Torna giù portando qualche verdura raccolta nell’orto di cui si prende gran cura e una scia di aria fredda esterna… sembra quasi sprigionarsi del vapore dai suoi vestiti quando passa nell’aria più calda della cucina! Le galline, come l’orto, sono una sua passione! Anche a mezzogiorno, quando la pasta in pentola è già cotta e pronta per essere scolata, ecco che la nonna sparisce… ha portato alle galline le verdure avanzate e tagliuzzate. Poco dopo rientrando, con la mano regge una cocca del grembiule perchè dentro ci sta qualche uovo ancora caldo… e intanto la pasta si mangia regolarmente scotta, e gli zii spesso brontolano. Dietro il suo aspetto delicato e fragile la nonna è però una roccia, una forza della natura. E’ il cuore della famiglia, e di quella casa  fa il punto di riferimento anche per i figli già sposati. In ogni festività l’intera famiglia si riunisce a casa di nonna Ciccina e sono feste grandi, “indimenticabili”, perché la festa comincia tempo prima con i preparativi, e la cucina nera di fumo è il cuore della festa… tutto sarà preparato e cotto lì! Mi piace osservare tutto quello che fa e spesso le sto attaccata addosso… “non mi stare tra i piedi che mi fai cadere”, oppure “se mi pesti i calli, giuro che le prendi” mi apostrofa lei qualche volta… I calli di nonna Ciccina meriterebbero un capitolo a sé! Una di quelle mattine più fredde in cui si vorrebbe stare incollati al fuoco, sono in cucina con lei e con zia Pippa. “Brigida, stai attenta! Se fai cadere la caffettiera ti bruci”… non aveva finito di dirlo che la caffettiera era già caduta! Maldestra come lo sono i ragazzini, avevo combinato il guaio. Ero sempre lì con la nonna io, quando i miei zii erano ancora in casa e dopo che si furono sposati. Sono stata la prima nipotina e la nipote maggiore che poteva dare una mano durante la malattia del nonno. Da piccola mi attraeva la cucina, e continuò ad essere così anche da grande, con il tetto altissimo, le tegole grigiastre impregnate di fumo di legna e da cui pendeva un cerchio in ferro molto largo, che mi affascinava per i colori che vi stavano sopra e producevano un forte contrasto con le pareti scure. Era sorretto da tre fili di ferro equamente distanziati e sembrava una scultura. Serviva ad appendervi l’uva zibibbo dolce da fare appassire, bianca, e quella nera fragolina, i pomodorini a grappoli, le pere da bollire legate per il picciolo come grosse trecce, i peperoncini, le sorbe a grappoli tenute insieme da spago sottile e bastoncini di canna… Era una nota di colore che conferiva all’ambiente rustico della cucina, dalle cui pareti a crudo sporgevano grossi tagli di pietra lavica che si affacciavano dalla malta, una particolare vivacità. Era arrugginito il grande cerchio di ferro che pendeva dal tetto, ma la frutta e gli ortaggi che vi erano appesi non lo toccavano, venivano legati bene con cordicelle sottili che li lasciavano pendere ai lati del tondo. Un’altra nota di colore e di brio nella cucina era data dal forno acceso quando si faceva il pane per la settimana. Per me e Francesca era giorno di festa, pasticciavamo insieme ai grandi in un angolo della madia e quando le nostre braccia erano ricoperte di pasta molle fino ai gomiti, e la farina ci era entrata ovunque, ci veniva intimato di correre a lavarci senza discutere! La nonna governava il forno e noi piccoline venivamo tenute lontane. Ma quando nel forno c’erano i biscotti, quelli che si facevano con l’ammoniaca e non con il lievito Bertolini… allora era un problema far sì che non ci bruciassimo… il profumo lo sento ancora, l’odore pungente dell’ammoniaca conservata in un barattolo di vetro con il tappo ad incastro e la maniglietta piatta sopra… e di quei biscotti a fette con pezzi di mandorle dentro… nel forno si mettevano a cuocere anche piccole pagnottelle e biscottini che avevamo impastato mia sorella ed io. Erano sporchi, perché avevamo anche giocato con quelle palline di pasta, ma erano quasi delle “reliquie” quando venivano tolte dal forno ben lievitate… e li mangiavamo pure!

        Ricordi cari, che conservano il profumo di anni felici, che, se riaffiorano, scaldano il cuore e danno colore alla vita. Ricordi che legano a persone amate, scomparse, ma che hanno lasciato un’impronta indelebile in noi e continuano ad essere punto di riferimento, delle quali in casa si racconta spesso… come della mia cara nonna Ciccina.

Sebastiana Schillaci


 

 

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