Era freddo.
Giovanni, il pastorello, camminava e riusciva solo a pensare al freddo.
I piedi affondavano nella neve fresca perdendo sensibilità.
Era freddo. Troppo freddo.
Le mani gli formicolavano nelle tasche e il cappello era ormai un cencio
bagnato che non riparava nulla.
Percorreva al buio strade note, ma le riconosceva solo a tratti. Erano
le stesse strade che lo vedevano tornare di corsa a casa, la sera, dopo
aver giocato un po’ con gli amici.
Cercava di scaldarsi pensando alle sere estive, quando al tramonto,
insieme al fratello grande, riportava le pecore dal pascolo nella stalla
, dove i genitori aspettavano per accudirle e lui era finalmente libero
di giocare con gli altri bambini, almeno un po’, prima di cena.
Ora il fratello era partito militare e a lui erano passati tanti doveri.
Anche la sera di Natale.
Sì, perché era Natale. Un Natale diverso, però.
La malattia del padre era peggiorata. Niente presepe, con le statuine di
gesso rimaste nella scatola in soffitta.
Niente dolci di noci, niente datteri e fichi secchi.
E neppure mandarini e arance.
E il fratello non aveva avuto la licenza che aspettava.
Giovanni tremava nel lungo mantello di lana. Si faceva coraggio cercando
di pensare alla mamma che, sulla porta, era rimasta a guardarlo, sotto
la neve, per lasciare che la luce della cucina gli illuminasse un po’ la
strada.
C’era bisogno del medico, per suo padre. E non si poteva aspettare.
A stento Giovanni riconobbe quella casa che ormai conosceva bene. Bussò.
La moglie del medico venne ad aprire…
- A quest’ora, ragazzo mio? Le cose non vanno bene?
- No, anzi, vanno male. Vostro marito, può venire?
- Verrà, ma ora è fuori per un’altra visita. Entra, aspettalo e intanto
ti asciughi vicino al camino. Tornerai indietro con lui, a cavallo.
La casa era calda e odorava di buono, Giovanni era tentato, ma abbassò
la testa pensando a sua madre che aspettava accanto al letto del marito.
- Vado, signora, dite a vostro marito che mio padre ha bisogno. E
scusate tanto.
Riprese la strada dove la neve aveva già cancellato le impronte dei suoi
scarponi.
Sentiva ancora più freddo e il profumato tepore avvertito nella casa del
medico gli procurava un rimpianto doloroso, una sensazione di solitudine
e di abbandono e allora iniziò, senza accorgersene, a piangere.
La neve scendeva fitta e le luci del paese erano scomparse. Giovanni si
asciugò gli occhi e capì di essersi perso. “Forse sono vicino a casa –
pensò - la strada non è molta, non posso essermi allontanato”. Ma non
aveva punti di riferimento, solo il bianco della neve, tutto intorno.
Affranto si lasciò andare a terra. Chiuse gli occhi, sperando in un
miracolo, con le braccia strette intorno al corpo.
Quello che sentì lo fece rabbrividire. L’ululato di un lupo. Un ululato
che ben conosceva.
Il lupo chiamava, così, i suoi fratelli alla carnaccia, li invitava al
banchetto.
Paralizzato, Giovanni chiuse gli occhi e si coprì la testa con il
mantello.
Capì come dovevano sentirsi gli agnelli quando, a Pasqua, venivano
condotti al macello.
Nelle orecchie l’ululato del lupo si confondeva con il ricordo di quel
belare di agnellini.
Sentì i passi dell’animale, leggeri, appena percettibili nel silenzio
ovattato.
Il lupo mugolò e Giovanni pensò che fosse arrivata la fine.
Non era solo il lupo, c’era la sua compagna con lui, e alla bestia non
sembrava vero di poter banchettare, in quella sera fredda che offriva
ben poche speranze di riempire lo stomaco.
La compagna del lupo, però, fece una cosa strana. Annusò Giovanni
intorno intorno, poi si accovacciò accanto a lui, stringendoglisi al
corpo, come fa una madre per scaldare i cuccioli.
Il lupo la guardò sconcertato. La lupa lo fissò negli occhi e il suo
sguardo era severo e deciso.
Il lupo ricambiò lo sguardo, confuso e, sollevando il capo, ululò ancora
una volta.
La sua compagna, con una specie di ringhiare secco, lo interruppe e
ancora una volta lo guardò.
In quegli occhi il lupo vide qualcosa che stava dimenticando.
Vide dei cuccioli sdraiati nella tana accanto alla madre che li
allattava, vide gli stessi cuccioli che giocavano intono a lui
rincorrendosi. Vide i suoi figli, ormai giovani lupi, che si
allontanavano per cercare le loro compagne.
E comprese.
Con un sospiro si distese anche lui accanto a Giovanni e ricambiò lo
sguardo della lupa.
Si capirono. Stavolta si capirono.
Chi non capiva, però, era Giovanni.
Ormai viveva in un sogno, una specie di sogno che non riusciva a
seguire. “Sono morto? Mi hanno già mangiato? Sono nel mio letto? Devo
svegliarmi?”
Tirò fuori una mano dal mantello per capire dove fosse e, allungandola,
toccò il capo della lupa. Terrorizzato, fece per ritrarla, ma l’animale
gliela leccò uggiolando, come per rassicurarlo.
Poco convinto, Giovanni saltò in piedi. Guardò i lupi incredulo.
Anche gli animali si alzarono, ma lentamente, per non spaventarlo.
Il lupo, senza scomporsi, prese a camminare, e la lupa con il muso
spinse Giovanni nella stessa direzione. Il lupo, guardando fisso davanti
a sè, proseguiva il cammino, Giovanni lo seguiva come inebetito e la
lupa chiudeva il corteo.
Giunsero così a casa del ragazzo.
La luce era accesa, ma la porta chiusa.
La madre aprì senza che Giovanni bussasse e, senza parlare, come se
fosse la cosa più naturale del mondo, lasciò che quella strana
processione entrasse in casa.
Sempre senza parlare, la donna preparò del latte caldo e del pane per
Giovanni ed una ciotola colma fu messa in terra per i lupi che bevvero
avidamente. Si sdraiarono poi accanto al camino, dove Giovanni era
seduto ad asciugarsi.
Tutto in silenzio, con la neve che fuori continuava lentamente a cadere.
Quando il medico arrivò era mezzanotte passata e trovò uno spettacolo
assai bizzarro.
La donna era seduta accanto al marito che era riuscito ad alzarsi,
Giovanni dormiva coricato sulla panca accanto al focolare e i due lupi
erano sdraiati vicino a lui, come per vegliare sul suo sonno.
“Che strano presepe” pensò il medico, fermandosi sull’uscio. Ma ne aveva
viste tante e la sua meraviglia non lo portò a fare domande.
Entrò, fece il suo dovere e si rallegrò nel vedere il miglioramento del
pastore.
Uscendo incrociò lo sguardo del lupo e quello che vi lesse lo fece
sorridere: “Tranquillo, è la notte di Natale, ma il tuo cavallo, lì
fuori, da domani tienilo d’occhio”…
Maria Cristina
Rosa
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