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Istanbul- Cappadocia
Agosto 2009

a cura di Teresa Ducci

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cappadocia

Il nostro viaggio continua verso la Cappadocia: una piccola regione all’interno dell'Anatolia Centrale.
Un labirinto di torri, crepacci, canyon, pinnacoli e castelli rupestri: è un paesaggio fiabesco. Un paesaggio degno  di un libro di favole con gli enormi funghi di pietra che, a ragione vengono chiamati  i "camini delle fate". È il risultato della paziente opera (durata qualche milione di anni) di Madre Natura con la complicità di due vulcani ormai assopiti da tempo.

Intere popolazioni scavarono  le loro abitazioni nel tufo fino all’epoca bizantina così da trasformare il territorio in uno straordinario paesaggio rupestre. La più popolata era la valle di Goreme, ora un museo all’aperto. All'interno delle formazioni laviche coniche delle valli di Goreme e Cavusin, si celano chiese rupestri e cappelle decorate con suggestivi affreschi di epoca bizantina. Si dice che le chiese siano circa tremila. Tra quelle più famose, la chiesa del Serpente, quella di Santa Barbara, la chiesa della Fibbia, di Tokali, di San Teodoro. Ma c’è di più, Qui, per secoli e secoli, le popolazioni locali crearono i loro rifugi sotto il livello del suolo. Per sfuggire alle persecuzioni e ai saccheggi gli abitanti scavarono sottoterra intere città, dotate di pozzi di aerazione. Erano articolate in zone dormitorio, refettori, depositi di grano, magazzini, stalle, cucine comuni e luoghi di incontro. Noi abbiamo visitato la città di Kaymakli: una città scavata tra il VI e X sec. che si estende otto piani sotto terra di cui solo quattro visitabili. Si pensa che le parti più antiche di queste città risalgano all’epoca ittita, circa quattromila anni fa. Strette gallerie si aprono su ampie sale, grotte annerite dal fumo, dispense per il cibo, templi religiosi raggruppate intorno ad un camino di areazione che fungeva anche da passaggio per le provviste di cibo sufficienti per la sopravvivenza di almeno  sei mesi.

 Pamukkale
 Spostandosi dalla Cappadocia verso l’Anatolia occidentale si incontra Pamukkale che in turco significa ”Castello di cotone”. Una cittadina che deve il suo nome ad una fantastica formazione di stalattiti, cataratte e bacini dovuta alle acque delle sorgenti termali, cariche di sale calcareo che versandosi sui bordi dell’altopiano hanno creato un luogo magico di un colore bianco abbagliante dalla forma di cascate pietrificate: Cascate di traverino.
 Dal fondo della cittadina si risale fin sull’altopiano, rigorosamente a piedi nudi, camminando sul travertino a volte liscio e delicato, ma spesso rugoso e pungente. Si  risale la dolce corrente delle acque che, scivolando verso il basso, alimentano  bacini naturali e  si trasformano in deliziose cascate.  È doloroso risalire l’altopiano, il nudo travertino si sente fortemente sotto la pianta dei piedi, ma ne vale davvero la pena, soprattutto al tramonto quando il travertino si colora di  tinte pastello ed i raggi del sole si riflettono nelle azzurre acque dei bacini.
Sull’altopiano è piacevole e consigliabile fermarsi alle terme e godere di un bagno rigeneratore e salutare nelle vasche termali con potenti getti d’acqua per  un vero e proprio idromassaggio.

Si può accedere alle terme sia dal versante delle cascate di travertino, sia  dal versante occidentale attraverso un sito archeologico: Hierapolis, città ellenistico–romana della Frigia sorta lungo il percorso che univa l’Anatolia al mare. Il sito archeologico non è ben tenuto, tuttavia è notevole la necropoli che risale al I e II sec  a.C. ed il teatro  del III sec d.C.

 Dopo una sosta di due giorni a  Pamukkale ci si dirige verso il mare