Racconti e leggende

LA CIVILTA' NURAGICA

 

Icona iDevice IL GIGANTE DEI NURAGHI
Al tempo dei tempi, in Sardegna, viveva un gigante:Aru. Tutti gli isolani lo rispettavano per la sua forza e per il suo coraggio. Ingenui e generosi, pensavano che anche l’anima di Aru, come il suo corpo formidabile, fosse grande e possente. Così si chinavano a lui, gli offrivano i prodotti genuini e saporiti del loro lavoro, gli domandavano consigli su ogni cosa . Aru accettava i doni con compiacenza, ma in quanto ai consigli, si limitava a pronunciare poche parole oscure alle quali, i Sardi, assai fantasiosi, attribuivano i significati più diversi; e, per sbalordire quella gente credulona e dare a se stesso la misura della propria forza, Aru si divertiva a sradicare le querce annose , a spaccare con un pugno la testa dei buoi selvatici, a sollevare come fuscelli i macigni più pesanti.
Marongiu, un piccolo vegliardo dai capelli lunghi e candidi, con una folta barba che pareva un profeta, non si entusiasmava troppo per le prodezze del gigante; e con quella sua debole voce che pareva scaturire dalla lontananza dei tempi, così parlava:- Che fa di così grandioso Aru? Sradicare le querce e uccidere i buoi non sono che follie; a che gli serve avere tanta forza se non è capace di usarla che in cose inutili e senza senso? -

Viveva in quell’epoca, in Sardegna, una ragazza assai graziosa. Non aveva, come le sue conterranee, la carnagione di rame lucente, né grandi occhi neri colmi di fierezza: era bianca e bionda, e perciò nell’isola la chiamavano “ sa strangia”, ossia la straniera. Si diceva che tanti anni prima, lungo la costa selvaggia sulla quale si piegavano ansiosi e contorti i tronchi degli oleandri, fosse approdata una lunga barca e che, da essa, un uomo col volto coperto avesse tratto un piccolo involto di colore rosa e lo avesse, con delicatezza deposto sulla spiaggia, riprendendo, subito dopo, l’azzurra via del mare. E pare che una donna, passando sotto gli oleandri, avesse veduto il misterioso involto e, scoprendovi all’interno una bambina in fasce, con commozione l’avesse presa tra le braccia e condotta con sé nella propria solitaria capanna.

Gli anni erano così trascorsi, e la misteriosa fanciulla era cresciuta e si era fatta bella, di una fragile bellezza. La sua mamma adottiva soleva dire:- Io ti trovai un bel giorno di primavera; il cielo e il mare parevano di seta celeste; il sole benediva la terra con la sua luce. Tu, bimba, hai ora negli occhi il colore del mare e, fra i capelli, la vivida dorata gioia del sole. L’incantesimo di un giorno sereno è in te!-

La donna poi era morta, e “ sa strangia” così delicata ed inesperta, era rimasta sola nella capanna. Aveva trascorso giorni di tristezza e di paura. La voce del vento , nelle notti tempestose, le suscitava brividi di terrore; i tuoni e la luce dei lampi la sgomentavano. Viveva in continua pena e le ragazze dell’isola, così serene e forti, la stupivano e le incutevano rispetto.
Un giorno passò vicino alla sua capanna il gigante Aru. La ragazza se ne stava accoccolata sulla soglia e , vedendo l’uomo formidabile, per lo spavento trasalì. Il colossale individuo si chinò a contemplarla, e sorrise. Non aveva mai veduto una creatura più luminosa e leggiadra di “sa strangia “. La commozione e la meraviglia destarono inlui una poetica eloquenza: -Bella, tuttigli astri del firmamento non basterebbero a comporre la corona degna della tua chioma solare. Bella, se tu mi guardi mi sembra di essere padrone della Terra e del Cielo e il mio cuore si fa possente come l’ala dell’aquila!-
La straniera si sentì rinfrancata nell’ammirare, curva nella sua fragilità, tanta forza. Confessò implorante il proprio infantile cruccio:: Ho tanta paura! Quando il mare è irato sembra che le sue onde vogliano scagliarsicontro la mia povera capanna per distruggerla. Quando il vento, come un immenso stormo di avvoltoi feroci, precipita dalle cime delle montagne lontane, o si leva clamoroso e violento dalle onde, io immagino che tutto intorno a me sia per essere travolto; allora la mia casuccia mi sembra un giallo pampino in balia del turbine potente!-
Aru meditò, poi disse:- Questa tua capanna di legno e di paglia è fragile come la tua bellezza, mia bella straniera: Appunto perciò essa va protetta! Io voglio che tu non debba temere dietro quelle pareti così sottili, e costruirò per te un rifugio sicuro con i massi rocciosi che la mia forza può rubare al monte. Mi sarà dolce la fatica di trasportare le pietre enormi e, con gioia più grande, eleverò i muri formidabili. Perciò tranquillizzati, giacchè il vento e le onde più non turberanno la tua pace, o bellissima!- Così Aru costruì una casa di pietra, a sfida degli elementi. Poi domandò a " sa strangia": - Vuoi che io viva con te?- -Certo!- rispose lei, col cuore che le batteva in petto. E nel rifugio di pietra, costruito dalla forza in nome dell'amore, i due portarono la loro gioia, dimentichi di tutto il resto.
Piacque agli isolani la casa di pietra che poteva opporsi alla forza del vento e alla violenza delle onde. La sua saldezza era superba. Qualcuno diceva: - Se avessimo la forza di Aru potremmo anche noi costruire edifici possenti nei quali rifugiarci durante le incursioni dei pirati!- Il vegliardo Marongiu osservò:- Vengono spesso i ladri, gli usurpatori, e per difenderci, per proteggere la nostra terra angusta, versiamo fiumi di sangue. Sarebbe bello possedere anche noi case così robuste, munite di finestre per spiare le mosse dei pirati e scagliare contro di essi i dardi delle nostre balestre infallibili. Tremerebbero i nemici a sapere che la nostra forza, il nostro orgoglio, si sono alleati con la dura pietra. In tal modo più non vedremmo sbocciare all'orizzonte del nostro azzurro mare, come petali di fiori cattivi, le vele delle navi predatrici!-
-Tu parli bene, nobile vecchio dalla barba bianca barba- approvò un giovane che aveva un fiero sguardo e che pareva un dio dei boschi, ma chi di noi potrebbe sollevare i massi enormi di pietra, necessari affinchè queste case possano essere costruite? Non abbiamo noi, piccoli uomini, la forza di Aru!- La forza di Aru?- prosegui il vegliardo- l'abbiamo noi quella forza. Anch'io, che quasi non riesco a stare in piedi!- Parlava Marongiu, il vecchissimo pastore , e tutti lo ascoltavano con grande attenzione.
Sì - continuava Marongiu i cui occhi, nell'orbita profonda avevano i riflessi d'oro - noi siamo più forti! Non l'amore per una piccola donna accende e dilata il nostro desiderio di operare, ma il senso di giustizia, la necessità di salvare i nostri figli, di dimostrare, a chi presume di calpestarci, che siamo forti e invincibili. da tali sentimenti la forza scaturisce miracolosa, come lo stelo d'avena dalla terra feconda . Noi che abbiamo il cuore grande e ericco, più di Aru siamo giganti, euniti nello sforzo e nel desiderio potremo compiere miracoli!- Non parlò invano il vegliardo Marongiu!

I nuraghi, queste solenni costruzioni megalitiche levano ancora oggi, nella terra di Sardegna , la voce dell'antichissima gente eroica.

(da Leggende sarde per ragazzi di Ignazio Ponticelli, ED. Il gatto e la volpe,1995)

 

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Icona iDevice IL PRINCIPE TRISTE
Nel nuraghe di Turava1, tanti e tanti anni fa, c’era un bel giovane molto ricco che però era sempre triste e il padre e la madre non sapevano più che cosa fare.
I servi gli cucinavano le pietanze più buone e aveva i cavalli più belli di tutto il Meilogu2.
Questo principe si chiamava Filippo ed era già in età di sposarsi ma non ne voleva sapere e tutte le giovinette del vicinato gli passavano continuamente davanti per poterlo guardare. 
Poco distante, nella valle del giunco, in un nuraghe più piccolo, viveva una giovinetta povera, ma così bella che il sole, confronto a lei, non era niente. Ogni mattina scendeva al fiume a lavare i panni, lavorava molto ma Grazia, così si chiamava quella ragazza, era sempre allegra e gentile con tutti. Di notte, quando si addormentava, sognava un principe su un cavallo bianco che veniva da lei per chiederla in sposa.
Una sera in cui era andata in campagna, molto lontano dalla sua casa, non trovava più la strada del ritorno. Mentre camminava, vide una grotta in cui entrò e si coricò. Poco dopo la mezzanotte le apparvero due fate3 che la chiamavano: “Grazia! Grazia!”. Lei si svegliò e vide una grande luce, che sembrava giorno inoltrato, e queste due belle donne che portavano tra le braccia un bellissimo vestito tutto d’oro e che dicevano: “Domani mattina sali sul cavallo col vestito che ti abbiamo tessuto e vai alla reggia di Turava, perché c’è un principe molto triste ormai in età di sposarsi. Tu sei la donna giusta.” La mattina dopo Grazia indossò il vestito e si rimise in cammino con le fate al fianco, senza però che si facessero vedere, perché non si potevano vedere alla luce del giorno. Cammina cammina, arrivarono alla reggia. Quando Filippo vide la bellezza e la luce di Grazia, restò senza parole e le fate gli raccontarono tutto. Da quel momento a Filippo tornò la gioia e chiese Grazia in sposa. Pensate alla gioia del padre e della madre che non sapevano più che cosa pensare. Le fate, contente del bene che avevano fatto, se ne andarono a cercare un’altra ragazza povera da sistemare. Le fate dicono che non bisogna mai disperarsi perché prima o poi il bene arriva sempre.

Traduzione del racconto in logudorese “Su printzipe tristu” di Stefania Nuvoli, pubblicato nel II volume di Poesia in Pattada – Premio di letteratura sarda – edizione 2001- Pro Loco e Comune di Pattada.
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  1. E' il famoso Nuraghe di Santu Antine a Torralba;
  2. Regione storica dell’isola situata a nord, limitrofa del Logudoro;
  3. E’ chiaro il riferimento alle janas, fate o streghe secondo la tradizione popolare.


Icona iDevice Analisi del testo
Dopo aver letto attentamente il racconto "Il principe triste", soffermati sui punti fondamentali dell'analisi di un testo narrativo.

Individua con l'evidenziatore all'interno del testo le sequenze che danno le informazioni su:
  • il tempo del racconto
  • i luoghi in cui il racconto è ambientato
  • il protagonista
  • la situazione iniziale
  • l'intervento esterno risolutore
  • la soluzione finale


Icona iDevice NORAX, IL DIFENSORE DI NORA
Una notte piena di vento che spirava da oriente, il mare era in burrasca e le onde saltavano come cavalli imbizzarriti le rocce di Chia, nel Capo di Pula. Sulle onde c'era una barca in balìa dei cavalloni, che andava di cresta in cresta, ora su ora giù, riempiendosi d'acqua. Il barcaiolo, disperato, non sapeva più come governarla e raccomandava l'anima al suo dio. Finché, finalmente, un'onda più alta delle altre prese la barca e la scaraventò oltre le rocce, sulla sabbia bianca come zucchero della spiaggia di Chia. Incredulo per tanta fortuna, il marinaio scese sulla spiaggia e si lasciò cadere sulla sabbia, completamente privo di forze. All'alba del giorno dopo il marinaio dormiva ancora stremato, mentre il mare era ridiventato calmo per tutta la sua distesa.
Passò da quelle parti la figlia del re dei pastori. Si chiamava Nora ed era molto bella. Nora guardò l'uomo disteso, grande come due uomini del suo villaggio, con i capelli biondi che il sale marino aveva imbiancato come la sabbia della sua spiaggia prediletta. Gli si chinò accanto e lo accarezzò. Il marinaio si svegliò e guardò la ragazza. Cercò di parlare, di chiederle dove fosse approdato, ma Nora non capì, perchè parlava un'altra lingua. Poi però, a gesti e a segni sulla sabbia, finalmente i due si capirono e Nora lo portò al suo villaggio. Vedendolo arrivare con la figlia del loro capo, i pastori fecero una bella accoglienza allo straniero: lo rifocillarono, gli diedero nuove pelli per vestirsi, gli offrirono una delle loro capanne di pietre e paglia per ripararsi. Il forestiero, riconoscente, lavorò con loro e non si risparmiò un momento, trasformandosi da marinaio in pastore.
Ma un giorno, mentre gli uomini si trovavano sui pascoli collinari a governare le greggi, giunsero dal mare le navi dei pirati saraceni che infestavano le coste della Sardegna da secoli. Era un'intera flotta, da cui scesero dei brutti ceffi, armati di spade e scimitarre, che si diedero a uccider e a saccheggiare. Il rumore e le urla delle donne e dei bambini richiamarono l'attenzione dei pastori, i quali ridiscesero precipitosamente dalle colline per rintuzzare l'attacco. Ma più rapido di tutti fu lo straniero, il quale si rivelò per ciò che veramente era: un potente guerriero, capace di sconfiggere da solo un esercito di pirati. Ben presto, armato solo di piccone, fece strage dei biechi individui e li ricacciò in mare.
Ma ormai il povero villaggio era distrutto. Nora soprattutto era triste e disperata per le scene di morte e di distruzione e non si dava pace. E allora lo straniero si proclamò a gran voce "Norax", cioè "difensore di Nora", e propose agli altri uomini di ricostruire il villaggio come una fortezza, utilizzando non più sassi e paglia, ma grandi massi di granito delle montagne vicine. Norax e i pastori trasportarono i pesanti macigni dalle montagne e ricostruirono le case in muratura; e attorno alle case tirarono su un possente bastione a difesa dai ladroni del mare. Così nacque una nuova città, che Norax chiamò con il nome di colei che l'aveva salvato e che, nel frattempo, era diventata sua moglie: Nora.
Non contento di ciò, Norax costruì con i suoi amici una casa meravigliosa sulla cima della collina più alta. La costruì con le pietre più grandi, affinchè potesse resistere al tempo, e altissima, per essere più vicina alle stelle. I pastori, che avevano imparato ormai l'arte della costruzione di quelle torri meravigliose, continuarono a costruirle a mano a mano che, spostandosi in cerca di nuovi pascoli, si allontanavano dalla loro città, così da poter vedere, da una collina all'altra, i fuochi che ogni sera venivano accesi sulla cima e segnalavano la vita che continuava negli antichi ripari. Col tempo queste torri furono chiamate "nuraghi", in onore del grande Norax e della sua dolcissima sposa.
(tratto da Fiabe Sarde scelte e tradotte da Francesco Enna, Arnoldo Mondadori editore, 1997)

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