Letteratura italiana
INTRODUZIONE
Letteratura italiana
Il mito di Ulisse percorre la letteratura italiana dal Medioevo all'epoca contemporanea proponendo chiavi di lettura sempre affascinanti e sempre nuove. Prototipo dell'uomo in viaggio, sia esso il cammino metaforico verso la conoscenza o quello - più prosaico - della quotidianità, egli conserva sempre i tratti dell'eroe "alla portata di tutti", nel quale ciascuno, in qualche modo, può identificarsi. Il motivo di questo va ricercato probabilmente nell'essenza stessa di Ulisse: l'eroe della ragione e dell'intelligenza, certo, ma anche l'eroe-uomo, l'unico "grande" della mitologia che non si fregiasse di inarrivabili caratteristiche semi-divine, ma che portasse con sé, sia per parte di madre che di padre, i tratti decisi della mortalità. Non un semidio, dunque, ma semplicemente un uomo, che combatte con armi non fatate ma umane e che affronta il destino con i mezzi che all'uomo sono concessi: l'ingegno e la padronanza di sé nei momenti di difficoltà. Da qui il successo del mito e l'assurgere del personaggio a paradigma universale, al di là delle barriere del tempo.
Conoscenze preliminari
Dante
Dante colloca Ulisse all'Inferno, tra i consiglieri frodolenti, per i
vari inganni da lui perpetrati con Diomede durante la guerra di Troia.
Pur nella dannazione eterna, Ulisse resta pur sempre un eroe, e il suo
eroismo si concretizza nella ricerca continua e nella sete di
conoscenza. Non contento del ritorno a Itaca, egli si imbarca
nuovamente con pochi vecchi compagni e varca le colonne d’Ercole, il
limite consentito agli umani. Il folle volo attraverso l'Oceano lo
porterà però alla morte. Eroe della ragione, dunque, ma non della fede:
ciò che gli manca è la Grazia di Dio, la sola che può condurre alla
Verità.
|
Testo
Commedia, Inferno XXVI, 112-120 | Immagine di Angela Terranova |
« "O frati," dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente (1) non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente (2). Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". »
|
|
Conoscenze preliminari
Foscolo
Nella lode che Foscolo leva alla sua isola compare, bello di fama e di sventura, Ulisse, simbolo dell’uomo il cui dolore diventa gloria immortale perchè fatto oggetto del canto di un poeta. A lui, esule, è concesso il ritorno in patria dopo un lungo peregrinare , mentre per Foscolo non sarà così: : il suo non-ritorno gli preclude ogni possibilità di glorificazione. |
Testo
Sonetti, A Zacinto |
Immagine di Gisella Malagodi |
Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso (1), onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali (2), ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura.
|
Conoscenze preliminari
Pascoli
Pascoli
In questo brano l'eroe avverte il richiamo del mare e si sente ancora solo sulla sua zattera, in balia delle onde e in perenne sfida con Poseidone, il dio del mare. |
Testo
Poemetti, L'Ultimo viaggio VIII - La zattera |
Immagine di Gisella Malagodi |
E gli dicea la veneranda moglie: Divo Odisseo, mi sembra oggi quel giorno che ti rividi. Io ti sedea di contro, qui, nel mio seggio. Stanco eri di mare, eri, divo Odisseo, sazio di sangue! Come ora. Muto io ti vedeva al lume del focolare, fissi gli occhi ingiù. Fissi in giù gli occhi, presso la colonna, egli taceva: ché ascoltava il cuore suo che squittiva come cane in sogno. E qualche foglia d'ellera sul ciocco secco crocchiava, e d'uno stizzo il vento uscìa fischiando; ma l'Eroe crocchiare udiva un po' la zattera compatta, opera sua nell'isola deserta. Su la decimottava alba la zattera egli sentì brusca salire al vento stridulo; e l'uomo su la barca solo era, e sola la barca era sul mare: soli con qualche errante procellaria (1). E di là donde tralucea già l'alba ora appariva una catena fosca d'aeree nubi, e torbide a prua l'onde picchiavano; ecco e si sventò la vela. E l'uomo allora udì di contro un canto di torte conche, e divinò che dietro quelle il nemico, il truce dio del mare, venìa tornando ai suoi cerulei campi. Lui vide, e rise il dio con uno schianto secco di tuono che rimbombò tetro; e venne. Udiva egli lo sciabordare delle ruote e il nitrir degli ippocampi. E volavano al cielo alto le schiume dalle lor bocche masticanti il morso; e l'uragano fumido di sghembo sferzava lor le groppe di serpente. Soli nel mare erano l'uomo e il nume e il nume ergeva su l'ondate il torso largo, e scoteva il gran capo; e tra il nembo folgoreggiava il lucido tridente. E il Laertiade (2) al cuore suo parlava, ch'altri non v'era; e sotto avea la barra. (1) E' un uccello marino (2) Ulisse è detto Laertìade in quanto figlio di Laerte |
|
Conoscenze preliminari
D'Annunzio
D'Annunzio
Il poema Maia si ispira a un viaggio in Grecia che D'Annunzio effettivamente fece per mare con alcuni amici. Durante la navigazione, il poeta immagina di incontrare la zattera di Ulisse, che affronta in solitudine le onde, a bordo della sua barca. A D'Annunzio basterà ricevere lo sguardo dell'eroe per sentirsene erede designato. Statuario e possente, l'Ulisse dannunziano è raffigurato come un superuomo moderno alla continua ricerca di sfida e di autoaffermazione. |
Testo
Maia, IV vv. 21-63 |
Immagine di Lucia Maria Izzo |
E incontrammo un Eroe. Incontrammo colui che i Latini chiamano Ulisse, nelle acque di Leucade, sotto le rogge e bianche rupi che incombono al gorgo vorace, presso l'isola macra come corpo di rudi ossa incrollabili estrutto e sol d'argentea cintura precinto. Lui vedemmo su la nave incavata. E reggeva ei nel pugno la scotta spiando i volubili vènti, silenzioso; e il pìleo tèstile dei marinai coprivagli il capo canuto, la tunica breve il ginocchio ferreo, la palpebra alquanto l'occhio aguzzo; e vigile in ogni muscolo era l'infaticata possa del magnanimo cuore. E non i tripodi massicci, non i lebeti rotondi sotto i banchi del legno luceano, i bei doni d'Alcinoo re dei Feaci, né la veste né il manto distesi ove colcarsi e dormir potesse l'Eroe; ma solo ei tolto s'avea l'arco dell'allegra vendetta, l'arco di vaste corna e di nervo duro che teso stridette come la rondine nunzia del dì, quando ei scelse il quadrello a fieder la strozza del proco. Sol con quell'arco e con la nera sua nave, lungi dalla casa d'alto colmigno sonora d'industri telai, proseguiva il suo necessario travaglio contra l'implacabile Mare. |
Conoscenze preliminari
Gozzano
Prosaico fino a diventare una parodia di se stesso, Ulisse è proiettato in una dimensione piccolo-borghese e le sue avventure sono ridotte a una squallida quotidianità. Senza più nulla di eroico, egli tradisce la moglie, frequenta spiagge malfamate, e se naviga, è solo per emigrare in America a far fortuna, come si faceva ai primi del Novecento. E questo non nlo salva dalla dannazione eterna.
|
Testo
I Colloqui, l'ipotesi VI | Immagine di Angela Terranova |
Il Re di Tempeste era un tale che diede col vivere scempio un bel deplorevole esempio d'infedeltà maritale, che visse a bordo d'un yacht toccando tra liete brigate le spiaggie più frequentate dalle famose cocottes... Già vecchio, rivolte le vele al tetto un giorno lasciato, fu accolto e fu perdonato dalla consorte fedele... Poteva trascorrere i suoi ultimi giorni sereni, contento degli ultimi beni come si vive tra noi... Ma né dolcezza di figlio, né lagrime, né pietà del padre, né il debito amore per la sua dolce metà gli spensero dentro l'ardore della speranza chimerica e volse coi tardi compagni cercando fortuna in America... - Non si può vivere senza danari, molti danari... Considerate, miei cari compagni, la vostra semenza! - Vïaggia vïaggia vïaggia vïaggia nel folle volo vedevano già scintillare le stelle dell'altro polo... vïaggia vïaggia vïaggia vïaggia per l'alto mare: si videro innanzi levare un'alta montagna selvaggia... Non era quel porto illusorio la California o il Perù, ma il monte del Purgatorio che trasse la nave all'in giù. E il mare sovra la prora si fu rinchiuso in eterno. E Ulisse piombò nell'Inferno dove ci resta tuttora.. |
|
Conoscenze preliminari
Saba
L'Ulisse di Saba è il navigatore del mare metaforico della vita: il viaggio è dunque esperienza - anche dolorosa - , dialogo con se stesso e solitudine in un mondo ignoto che viene esplorato, ma non sfidato.
|
Testo
Mediterranee, Ulisse |
Immagine di Angela Terranova |
Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d’onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d’alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l’alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore |
Conoscenze preliminari
Pavese
Pavese
Nel quadro che ne fa la maga Circe Ulisse recupera tutta la sua dimensione umana. Come ogni uomo, egli è soprattutto mortale, e quindi legato alla vita secondo un'ottica diversa da quella degli dèi, che non conoscono la morte. E' un uomo intelligente, che accetta con dignità e rassegnazione il suo destino, consapevole di vivere un'esperienza unica e irripetibile, segnata dai sentimenti e dalla condizione di "non sapere". |
Testo
Dialoghi con Leucò, Le streghe |
CIRCE: Oh ragazza, non parlare delle cose del destino con un uomo. Loro credono di aver detto tutto quando l’hanno chiamato la catena di ferro, il decreto fatale. Noi ci chiamano le signori fatali, sai. LEUCOTEA: Non sanno sorridere. CIRCE: Sì. Qualcuno di loro sa ridere davanti al destino, sa ridere dopo, ma durante bisogna che faccia sul serio o che muoia. Non sanno scherzare sulle cose divine, non sanno sentirsi recitare come noi. La loro vita è così breve che non possono accettare di far cose già fatte o sapute. Anche lui, l’Odisseo, il coraggioso, se gli dicevo una parola in questo senso, smetteva di capirmi e pensava a Penelope. LEUCOTEA: Che noia. CIRCE: Sì ma vedi, io lo capisco. Con Penelope non doveva sorridere, con lei tutto, anche il pasto quotidiano, era serio e inedito – potevano prepararsi alla morte. Tu non sai quanto la morte li attiri. Morire è sì un destino per loro, una ripetizione, una cosa saputa, ma s’illudono che cambi qualcosa. LEUCOTEA: Perchè allora non volle diventare un maiale? CIRCE: Ah Leucò, non volle nemmeno diventare un dio, e sai quanto Calipso lo pregasse, quella sciocca. Odisseo era così, né maiale né dio, un uomo solo, estremamente intelligente, e bravo davanti al destino.
immagine di Gisella Malagodi
|
Credits
Pagina a cura di Paola Lerza
Ulisse tra mito, arte e letteratura