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VINO COME MITIGAZIONE DEL DOLORE
ALCEO, PERCHE’ ASPETTARE LE LUCERNE?
Traduzione di Salvatore Quasimodo


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ALCEO

Visse nel VI secolo a.C. Nato a Mitilene, nell’isola di Lesbo, da nobile famiglia, prese parte attivissima alle lotte politiche che straziarono la sua città in quel tempo. Egli, insieme ai nobili, combatté i tiranni Melancro e Mirsilo, e fu costretto all’esilio. Tornato in patria, combatté contro gli Ateniesi per il possesso del Sigeo. Quando salì al potere il tiranno Pittaco, Alceo riprese la via dell’esilio; fatto prigioniero fu da Pittaco generosamente perdonato.
Scrisse canti rivoluzionari, pieni delle passioni politiche che travagliavano l’isola. In un frammento pervenutoci paragona le misere condizioni di Mitilene ad una nave in tempesta (tema ripreso da Orazio, Carm. I, 14)
Canti conviviali (Skòlia) –un frammento è un invito selvaggio alla gioia bacchica per la morte del tiranno Mirsilo (cfr. Orazio, Carm: I, 37)
Canti erotici – ci rimangono pochi frammenti

Il poeta ci introduce immediatamente al centro dell’azione del bere, senza attendere che arrivi la sera, perché breve è il tempo che ci è dato da vivere.  Da notare le lucerne, le tazze variopinte ed il vino, tutti elementi luminosi e colorati che creano contrasto con l’espressione “breve è il tempo” ed il richiamo alla morte e quindi alla notte, all’assenza di colori.


Beviamo. Perché aspettare le lucerne? Breve il tempo..
O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte
Perché il figlio di Zeus e di Samele
Diede agli uomini il vino
Per dimenticare i dolori.
Versa due parti di acqua e una di vino;
e colma le tazze fino all’orlo:
e l’uno segua subito l’altro.
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VINO COME SUPERAMENTO DELLA REALTA’
ANACREONTE, IL BEONE


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ANACREONTE

vive qualche decennio dopo di Alceo e di Saffo, tra il 580 e il 500 a.C. All’epoca delle invasioni persiane, verso il 545, posate le armi, andò in cerca di luoghi più tranquilli presso le corti di vari tiranni, tra cui Policrato di Samo, poi dai Pisistratidi in Atene. Fu sempre quasi del tutto estraneo alle vicende politiche.Per la tecnica è collegabile ai poeti melici, ma per l’indole si avvicina di più all’elegiografo Mimnermo di Colofone.  Di lui ci restano circa 160 frammenti. Lo sfondo della sua poesia è costituito dal simposio, che alla corte dei tiranni doveva avere caratteristiche di particolare raffinatezza e che in Anacreonte acquista una coloritura spiccatamente erotica. Anacreonte si mantiene sempre equidistante sia dai toni tragici che dai toni scherzosi. Nel Seicento e nel Settecento, in corrispondenza col gusto arcadico, la moda anacreontea fu diffusissima, dal Foscolo delle poesie giovanili fino a Goethe.

Il bere smodato e la conseguente ubriacatura rappresentano il rifiuto della realtà, difficile e dura, ma vera, verso il rifugio nell’oblìo. Gli aspetti positivi del vino sono la sensazione di benessere e il contatto con la natura (me ne sto sdraiato, coronato d’edera), il senso di onnipotenza che esso induce (quando bevo sono ricco come il ricco Creso, /sono padrone del mondo), la voglia di cantare.  Gli aspetti negativi della vita, in particolare la guerra, e la morte che essa può portare con sé, vengono allontanati, rimossi dall’ubriacatura.

Con il bere annullo tutti i miei guai;
che importa se sono povero?
Quando bevo sono ricco come il ricco Creso.
Mi viene una gran voglia di cantare
Mentre me ne sto sdraiato, coronato d’edera.
Ecco: sono padrone del mondo
E se tu vuoi, o soldato,
va pure alla guerra.
Quando sarai caduto, trafitto,
io sarò ubriaco, sì, ma ben più vivo di te.
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EBBREZZA COME STUPORE, SCOPERTA MISTICA
EMILY DICKINSON, POESIE, PORTAMI IL TRAMONTO IN UNA TAZZA

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EMILY DICKINSON

Nata nel 1830 ad Amherst, nel Massachussetts, Emily Dickinson viaggiò poco ed ebbe una vita casalinga con poche amicizie, soprattutto femminili. Un grande irrealizzabile amore per un pastore presbiteriano ebbe un effetto dirompente sul suo talento poetico: a quel periodo risale infatti la parte più intensa della sua produzione poetica. Ebbe successivamente un altro amore irrealizzato e finì per confinarsi nella propria stanza in isolamento volontario. La Dickinson si formò da autodidatta attraverso numerose letture e un attento lavoro sui testi, rifiutando sempre qualsiasi pubblicazione. Muore nel 1886.
La poesia di Dickinson è una ricerca del significato della vita e della morte, del sapore e della vitalità delle cose. Il problema della vita è una domanda che non può avere risposte (“la mia ruota è nell’oscurità”). Lo stile procede per metafore, conciso e frantumato, scandito dalle lineette che spesso sostituiscono la virgola o il punto.
 
La poesia è carica di un senso mistico-religioso che per alcuni tratti, quali la delicatezza e semplicità delle immagini, rimanda a Saffo. Le immagini più straordinarie giocano sul contrasto tra oggetti noti e quotidiani e significati astratti, nell’accostamento imprevisto di parole prese da sfere diverse (tramonto-tazza, Baccante-ape). Tutta la poesia ha un andamento allegorico che si manifesta nella domanda retorica finale, seguita da un punto esclamativo, anziché interrogativo, proprio perché non prevede alcuna risposta, ma la contiene implicitamente.
Il tessitore del verso 5 fa pensare ad una divinità creatrice che però “dorme”, sembra quindi impassibile e indifferente di fronte al dolore umano. Da notare il verbo “ordire” che, almeno nella traduzione, ha un duplice significato positivo/negativo, e cioè “tessere” e “tramare”.
Il tema dell’ebbrezza è accostato ad un senso di stupore e meraviglia( “attoniti rami”) ed alla danza bacchica delle api. A tratti la poesia ricorda Ungaretti (“M’illumino d’immenso”).

Osservazioni stilistiche

Verso 1: l’incipit è contenuto in un’esortazione
Verso 2: una nuova esortazione
Versi 3,4,5: quante/quanto/quanto: anafore e poliptoto
7: scrivimi: di nuovo un’esortazione
versi 10-11: quanti/quante: poliptoto

Portami il tramonto in una tazza,
Conta le fiale del mattino – e dimmi
Quante gocciano di rugiada,
Quanto lontano balza via il mattino,
Quanto dorme il tessitore
Che ordì le distese dell’azzurro!

Scrivimi quante note ci sono
Tra gli attoniti rami nell’ebbrezza
Del nuovo pettirosso –
Quanti passetti fa la tartaruga,
Quante coppe beve l’ape, la Baccante
Delle rugiade!
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VINO PER PLACARE GLI AFFANNI
ROCCO SCOTELLARO, E’ FATTO GIORNO, SEMPRE NUOVA E’ L’ALBA

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ROCCO SCOTELLARO

Rocco Scotellaro nasce a Tricarico, in provincia di Matera, nel 1923. Prese parte giovanissimo alla lotte dei contadini meridionali del dopoguerra, diventando sindaco del suo paese. Morì a Portici nell’i953. Al volume delle sue poesie, curato da Carlo Levi, fu assegnato il premio Viareggio 1954.
Le sue opere sono tra i risultati meno effimeri della ricerca neorealistica: racconti (Racconti sconosciuti, 1953), poesie (E’ fatto giorno, 1954) e un abbozzo di romanzo (L’uva puttanella, 1955)

La poesia inizia con un invito ripetuto, ai contadini, a non riempirgli più il cuore delle loro implorazioni: Egli vuole essere sereno e non turbato dalla confusa urgenza delle cose per operare con calma e ponderazione (Fu infatti sindaco di Tricarico per qualche anno). Da notare l’efficacia delle espressioni “soffiatemi in cuore” che rende evidente tutta la partecipazione che il poeta ha nei confronti dei suoi compaesani e “fiati caldi” che mettono in evidenza tutto il calore e la forza anche morale di questi contadini meridionali.
L’invito a bere sembra una ripresa oraziana. Da notare che non si beve nei bicchieri, bensì nelle tazze, in armonia col mondo rustico e semplice che il poeta descrive.
L’angoscia del vivere è rappresentata dalla metafora del “vento” che richiama alla mente la tempesta, topos universale, usato spesso anche da Orazio, ad indicare le difficoltà della vita.
L’immagine quasi “impressionistica” delle teste dei briganti affacciate dietro ai pali apre un fugace spazio alla loro speranza che si tinge di verde, ma che è definita “triste” nella doppia accezione di “illegale” e destinata a perire e che viene riportata alla cruda realtà della sconfitta, del carcere, attraverso l’immagine del guanciale di pietra.
L’ultima parte della poesia si apre con un “ma” che introduce note di speranza per il futuro, sottolineate dal volo di riscatto degli uccelli e da quest’immagine messianica prolungata nella successiva dell’alba nuova, simbolo di una vita migliore.

CONTESTUALIZZAZIONE

Verso 7: spuntano ai pali: il simbolo del passato borbonico, dell’arretratezza sociale del Mezzogiorno.
Caverna: rifugio dei ribelli all’autorità
Oasi verde della triste speranza: anche nel dopoguerra si sentì nuovamente parlare del brigantaggio meridionale
Un guanciale di pietra: una semplice pietra adattata a guanciale
Verso 11: ma nei sentieri non si torna indietro: non si può tornare indietro nel passato, ripetere le esperienze che la storia condanna (anarchia, brigantaggio)

NOTE STILISTICHE

vv. 1-2: non gridatemi/non soffiatemi: anafora
gridatemi dentro/soffiatemi in cuore: commistione di sensazioni acustiche e sentimenti
verso 3: beviamoci insieme: evidente eco oraziana
verso 4: ilare tempo della sera- le ore propizie al raccoglimento e all’allegria
verso 5: nostro vento disperato: vento metafora di tumulto, angoscia; nostro sottolinea la partecipazione del poeta
verso 10: lindo conserva un guanciale: iperbato
verso 11: Ma in incipit di verso crea un forte contrasto con quanto detto precedentemente, infatti da questo momento la lirica diviene canto della speranza
verso 12: altre ali: sineddoche
verso 14: l’alba: metafora per indicare il futuro

Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
Che all’ilare tempo della sera
S’acqueti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora
Le teste dei briganti, e la caverna,
l’oasi verde della triste speranza,
lindo conserva un guanciale di pietra.

Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
Dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova.

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Ipertesto sul vino in Orazio