7. Mentre
il Re dorme, una
chiave prende il
volo
Spuntava la luna
nel cielo,
quando due ombre
nere apparvero
sul sentiero
solitario, ai
margini della
foresta: erano
il Lupo e la
Volpe. In quel
momento, la
civetta cantò
tre volte e la
Gazza ladra,
puntualissima,
si posò sulla
neve.
- Andiamo! –
disse la Volpe –
e tu – soggiunse
rivolgendosi al
Lupo – cerca di
non fare
baccano, perché
quando ti muovi
fai più rumore
di un treno
merci.
Camminarono sui
campi coperti di
neve verso il
palazzo del Re,
la Volpe davanti
e il Lupo
dietro, cercando
di non fare il
minimo rumore.
La Gazza li
seguiva, facendo
di tanto in
tanto un breve
volo.
Giunti alfine
vicino al
palazzo, si
fermarono per
studiare quello
che avrebbero
dovuto fare. La
volpe, astuta,
guardava il
portone e le
finestre:
riconobbe subito
quella del Re,
perché era al
centro e aveva
un bel
terrazzino sul
davanti. Il Lupo
non pensava a
niente. La
Gazza, posata
sul rametto di
un arboscello,
aspettava
ordini.
- Ecco – disse
la Volpe alla
Gazza – quella è
la finestra del
Re, che la tiene
sempre aperta
anche d’inverno,
per non
respirare aria
viziata. Tu
entra nella
stanza. Troverai
la chiave sul
comodino.
Prendila e
portala qui.
Quando avremo
finito, la
riporterai al
suo posto e
nessuno si
accorgerà di
niente.
La Gazza prese
il volo, entrò
per la finestra
e vide la chiave
illuminata da un
raggio di luna.
Prese la chiave
con il becco,
senza far
rumore, e spiccò
il volo dalla
finestra, mentre
il Re dormiva
beato senza
accorgersi di
nulla.
Poco dopo, la
chiave era nella
zampa della
Volpe, che la
consegnò al Lupo
dicendogli:
- Adesso va’
avanti tu; il
portone è sempre
aperto, si
tratta di aprire
la dispensa. Ma
fa’ pianissimo:
non mangiare,
non bere, non
cantare, non
fare altre cose.
Pensa solo a
riempire i
sacchi. Io vengo
dietro. La Gazza
aspetta qui.
E così
entrarono. Il
portiere
dormiva, secondo
la sua
abitudine;
Bernardo
sonnecchiava
davanti alla
televisione nel
salotto, dove i
mobili erano
quasi tutti
rotti dopo il
disastro della
volta
precedente. La
via era libera
fino alla
dispensa, la cui
porta era
chiusa. Ma il
Lupo aveva la
chiave!
Conoscevano
ormai benissimo
tutto il
percorso:
camminarono con
passi felpati
lungo il
corridoio e
giunsero alla
porta. Il Lupo,
nel tentativo di
aprirla,
produsse un
rumore di
ferraglia.
- Piano! –
sussurrò la
Volpe – se no ci
sentono! Passa
la chiave a me!
Il Lupo gliela
diede e la
Volpe, nel
massimo
silenzio, riuscì
ad aprire.
Dentro c’era
ogni ben di Dio.
Riempirono in
fretta i loro
sacchi, vuotando
scrupolosamente
tutti gli
scaffali. Quindi
uscirono.
- Chiudo la
porta io, e tu
stai fermo –
disse la Volpe
al Lupo –
altrimenti fai
di nuovo baccano
e tutti ci
sentiranno.
Con bel garbo si
accinse
all’opera, ma
non si accorse
di chiudere in
mezzo anche la
lunga coda del
Lupo, il quale
all’improvviso,
per il gran
dolore, con il
suo vocione fece
rintronare di
urli tutto il
palazzo.
- Bernardo,
basta con questi
cantanti
urlatori! –
gridò il Re
dalla cima delle
scale – Chiudi
la televisione e
vai a dormire,
subito!
Il povero
Bernardo, tutto
mortificato,
senza sapere
cosa fosse
successo, spense
il televisore,
attraversò di
corsa il
corridoio e se
ne andò in
camera sua. Era
ancora mezzo
addormentato.
Pensate che nel
corridoio aveva
inciampato nel
Lupo, senza
riconoscerlo,
tanto che gli
disse:
- Oh, scusi! – e
passò via.
- Prego! –
rispose il Lupo.
- Scemo! – gli
disse la Volpe.
– Ma vuoi stare
zitto? Tu rovini
sempre tutto.
Andiamocene.
Aprirono il
portone
socchiuso; ma
nel far questo,
proprio mentre
stavano per
uscire, il
portone cigolò.
- Buona notte! –
disse il
Portiere dal suo
sgabuzzino,
senza aprire gli
occhi.
- Buona notte! –
rispose la
Volpe, che era
educata.
- Senti chi
parla! – disse
il Lupo – e poi
lo scemo sono
io!
- Scemo a chi? –
disse il
Portiere aprendo
gli occhi. Ma
non vide
nessuno. Pensò
di aver sognato
e si
riaddormentò. Il
Lupo e la Volpe
erano già fuori.
La Gazza
aspettava,
sempre
appollaiata sul
suo rametto.
Prese con il
becco la chiave
che le porgeva
la Volpe e con
un breve volo
entrò nella
stanza del Re,
che frattanto si
era
riaddormentato.
Deposta la
chiave sul
comodino, con un
altro breve volo
si posò sullo
stesso rametto.
La Volpe le
diede il suo
sacchetto di
noccioline, come
d’accordo, e la
Gazza si
dichiarò
contenta e
soddisfatta.
La luna
splendeva ancora
nel cielo. Sui
campi coperti da
un candido manto
di neve si
vedevano due
ombre nere:
quella del Lupo
e della Volpe
che, sotto il
peso dei sacchi
ricolmi, si
dirigevano a
passo spedito
verso la
foresta. La
Gazza era già
volata al suo
nido.
Ma l’inverno non
sarebbe durato a
lungo: presto
sarebbero
spuntati i
bucaneve ad
annunciare la
primavera. E con
la buona
stagione il Lupo
e la Volpe non
avrebbero più
avuto bisogno di
uscire dalla
foresta in cerca
di cibo.
8. Qualcuno non dorme sonni tranquilli
Dopo il colpo ladresco alla dispensa del re, il Lupo e la Volpe rimasero prudentemente chiusi nelle loro tane e non si fecero vedere da alcuno. Tuttavia non erano tranquilli, perche sapevano che prima o poi il Re si sarebbe mosso e avrebbe castigato severamente i colpevoli.
A dire il vero, il Lupo non si preoccupava molto: quelle poche volte in cui pensava alle conseguenze delle sue malefatte, concludeva subito con una scrollata di spalle e si metteva a dormire. La Volpe invece, che era stata una cattiva consigliera, era continuamente agitata. Sentiva che nell’aria c’era qualcosa che non andava; il suo fiuto sottilissimo le diceva che tutta quella calma era soltanto apparente. Alla fine, si decise a uscire e andò a bussare alla tana del Lupo, il quale la accolse sbadigliando di mala grazia.
- Senti, caro Lupo – ella disse – credo che, se non stiamo attenti, questa volta non possa andare tanto liscia. Bisognerebbe essere informati di quello che accade nel mondo per non essere più sorpresi dagli avvenimenti. Io andrei a consultare il Merlo dal becco giallo. Cosa ne dici?
- D’accordo – rispose il Lupo.
Senza perdere tempo, si diressero verso la Quercia Grande, dove il Merlo aveva il suo nido.
Secondo il solito, il Merlo rispondeva solo a chi gli rivolgeva le domande in poesia, cosa che il Lupo sapeva fare benissimo, mentre la Volpe, con tutta la sua astuzia, non era capace di azzeccare neppure una rima. Ecco quindi perché era andata con tanta premura a cercare il Lupo.
Giunti sotto la quercia, videro su, in alto in alto, il nido dal quale faceva capolino la testa del Merlo dal becco giallo. Il Lupo, tradotte in poesia le parole che gli suggerì la Volpe, si schiarì la voce, fece una bella riverenza e cominciò a parlare così:
- Merlo mio dal becco giallo,
dal tuo alto piedistallo,
fa’ sentire il tuo bel fischio
che rallegra la foresta,
e rispondi alla richiesta:
noi corriamo qualche rischio?
Contrariamente al solito, quella volta il Merlo non si mosse e non rispose.
9. Alla domenica, nel bosco, è festa sul serio
- Come mai non mi risponde? – bisbigliò il Lupo alla Volpe. – Pure mi sembra di aver parlato molto bene. Ho detto qualche cosa che non va?
- Hai detto benissimo – rispose la Volpe – e meglio di così non potevi parlare. Ma ora ricordo che oggi è domenica e che il Merlo dal becco giallo quando è festa vuole anche la musica. Sai cantare?
- Sì, sono capace. Trovami qualche uccello che mi faccia l’accompagnamento musicale. Io sono pronto.
La Volpe chiamò gli Usignoli, che avevano il nido nella siepe delle more, e i Cardellini, che abitavano nella siepe di biancospino, e quando tutti incominciarono la loro musica il Lupo sfoderò il suo vocione e si mise a cantare:
- Merlo mio dal becco giallo,
dal tuo alto piedistallo,
fa’ sentire il tuo bel fischio
che rallegra la foresta,
e rispondi alla richiesta:
noi corriamo qualche rischio?
Terminato il canto, fece un bel punto interrogativo con la lunga coda.
La musica e il canto erano bellissimi, a detta di chi era lì ad ascoltare; purtroppo però la bella canzone non venne registrata; tutto andò perduto fuorché le parole. Si sa soltanto che era a tempo di twist.
10. Le risposte del Merlo confermano i timori della Volpe
Mosso dal bel canto del Lupo, il Merlo dal becco giallo rispose fischiettando così:
Da quello che sento
La musica è questa:
chi semina vento
raccoglie tempesta.
Inoltre c’è un sèguito,
lo vedo di qui:
c’è un altro proverbio
che dice così.
Chi la fa l’aspetti.
Parlo a chi ha fatto i dispetti.
Pensa e dice il buon Bernardo,
benché sembri un po’ cretino:
tanto va la gatta al lardo
che ci lascia lo zampino.
Anche del canto del Merlo sono rimaste soltanto le parole, piene di profonda saggezza. E’ da notare che le sentenze uscite dal suo becco con il tempo diventarono proverbiali, tanto è vero che oggi si trovano perfino scritte nei libri. La musica, invece, è andata purtroppo perduta; sappiamo solo che era a ritmo di tango argentino.
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