Il "tempo breve" dell'uomo moderno
S. DALI', La persistenza della memoria
Salvador DALI' - La persistenza della memoria, 1931
Nel sonetto "Il filo" di Gozzano il ruolo tradizionalmente tripartito delle Parche si unifica nella figura di un Vecchio che rappresenta il Tempo ed è, insieme, proiezione dell'io del poeta. In silenzio, con movimenti studiati, egli indirizza il filo della vita verso un camino, dove un fuoco distruttore è pronto a ridurre tutto in cenere, dai ricordi (il passato) ai sogni (il futuro).
Nell'ottica di Quasimodo una speranza luminosa trattiene sulla terra un uomo che passerà presto dalla solitudine alla morte.
Ironico, grottesco, paradossale è invece il brano del poeta greco Ritsos, che rivisita le grandi figure del mito classico per umanizzarle - e modernizzarle - nello squallore di una quotidianità stanca, che non ha più nulla di epico e di eroico.
Il filo, da I Colloqui
Ma questo filo... tutto questo filo!...
In pensieri non dolci e non amari
il Vecchio stava chino sulli alari
con le molle, così, come uno stilo.
"Scrivi? Bruci? Miei versi? I sillabari? 5
Il nome dell'Amata e dell'Asilo!"
(nel Vecchio riconobbi il mio profilo)
"Lettere? Buste? Annunzi funerari?
Un nome, un nome! Quello della Mamma!"
E caddi singhiozzando sulli alari. 10
Il Vecchio tacque. M'additò la fiamma.
"Da trent'anni?! Perdute le più tenere
mani! Ma resta il sogno! I sogni cari..."
Il Vecchio tacque. M'additò la cenere.
Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera
Elena, in Quattro Poemetti
Oh, sì, talvolta rido, e sento il mio riso rauco che sale
non già dal petto, ma da molto più in basso, dai piedi; più in basso ancora,
dalle viscere della terra. E rido. Com'era tutto senza senso,
senza scopo, durata né sostanza - ricchezze, guerre, glorie e invidie,
gioielli e la mia stessa bellezza.
Che stupide leggende
e iroie e amori e gesta.
Li rincontrai di nuovo,
durante banchetti funebri e notturni, i miei vecchi amanti, le barbe bianche, i capelli bianchi, i ventri ingrossati, quasi fossero già incinti della loro morte. [...]
Io, come sai, conservavo ancora l'antica bellezza
quasi per miracolo (ma anche grazie alle tinture, alle erbe e alle pomate,
ai succhi di limone e di cetriolo). Mi spaventava solo scorgere sui loro volti
passare anche i miei anni. Allora contraevo i muscoli del ventre,
contraevo con un sorriso affettato le guance, come
puntellassi con una trave sottile due muri prossimi a crollare.
Cosi reclusa, serrata, tesa - che stanchezza, mio dio, -
serrata in ogni istante (perfino durante il sonno) come
in una gelida panoplia o il corpo intero entro un busto di legno, come
in un mio cavallo di Troia, ingannevole, stretto, conoscendo ormai
la vanità dell'inganno e dell'illusione, la vanità della fama,
la vanità e la precarietà d'ogni vittoria.
Orsono pochi mesi,
con la scomparsa di mio marito (mesi o anni?) abbandonai per sempre il mio cavallo di Troia, giù nella stalla, coi suoi vecchi ronzini, che vi passeggino dentro ragni e scorpioni. Non tingo più i capelli. Grosse verruche mi sono spuntate sul visoI0.
Grossi peli
intorno alla bocca - li tocco; non mi guardo allo specchio -
peli ispidi, lunghi, - come se qualcun altro si fosse installato dentro di me,
un uomo sfrontato, malevolo, la cui barba
spunta dalla mia pelle.
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- Quali elementi della vita dell'uomo vengono bruciati dal vecchio nel sonetto di Gozzano? Che cosa rappresentano?
- Solo-sole-sera: riflettere sulla trilogia su cui si regge la poesia di Quasimodo.
- Il testo di Ritsos può essere definito una demitizzazione del mito. Perché?
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Percorso pluridisciplinare sulla percezione del tempo