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VINO COME MOMENTO CONVIVIALE, COMUNITARIO

OMERO, ODISSEA, IX, 1-13


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Questi dieci versi dell’Odissea ci presentano un banchetto. In questo momento è Ulisse che si rivolge ad Alcinoo, re dei Feaci, e gli dice che questo è per lui il momento più bello, il momento in cui gli sembra di raggiungere la felicità: cioè ora che si è riuniti in un convito mentre il popolo è in pace e con il vino e con il canto di un aedo ci si ricrea lo spirito che, non più legato alla preoccupazione del sostentamento del corpo, può dedicarsi ad altro. Questa è un’idea costante nel mondo antico, e cioè che il benessere fisico sia uno stimolo per lo spirito.Il vino e la musica dell’aedo hanno qui un significato quasi simbolico, di elevazione spirituale, appunto, dell’uomo. La poesia cantata dall’aedo assume una connotazione quasi soprannaturale attraverso le parole di Ulisse: “simile nella voce agl’immortali”

A lui rispose il paziente Ulisse:
“Possente Alcinoo, fra i mortali insigne,
cosa bella è ascoltare un gran cantore,
simile, nella voce, agl’immortali;
non v’è, per me, più amabile diletto
d’allor che tutto il popolo s’allieta
e i convitati, nella sala assisi
un presso all’altro, ascoltano l’aedo
e le mense si stendono dinanzi
ben ricolme di pani e di vivande
e il coppiere dall’urne attinge il vino
e lo viene mescendo entro le coppe:
non v’è, per me, più amabile diletto”.


Traduz. F. Castellino

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VINO COME ESPERIENZA MISTICO-RELIGIOSA

SAFFO, INVITO ALL’ERANO


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SAFFO

Visse tra il settimo e il sesto secolo a.C., nata a Lesbo, trascorse la sua esistenza a Mitilene, educando alla musica e alla danza le giovani figlie dei nobili della sua terra. In lei l’amore è un’esperienza che si trasfigura tutta nella sfera del sentimento. Scrisse in dialetto eolico canti d’amore, inni, poemetti, epitalami con vari metri. Saffo è poetessa d’amore che è fuoco sottile e febbre, tenerezza e gelosia per le giovani e belle fanciulle che venivano alla sua scuola. La loro bellezza è sempre un’improvvisa rivelazione del sacro che fa tremare, e quando il suo cuore si tormenta per l’indifferenza e invoca Afrodite, questa la consola.  Tutto è detto con un’immediatezza così spoglia che i nessi logici del discorso quasi non si avvertono.
Scrisse nove libri di Poesie di carattere erotico.  Famosi soprattutto gli Epitalami: notevole, tra i frammenti, l’invocazione ad Afrodite, la preghiera alle Nereidi perché riconducano in patria il fratello Carasso, la descrizione dell’effetto che la vista dell’amante produce sulla donna innamorata (cfr. la versione di Catullo, Carm. 51), l’incanto di una tranquilla notte lunare ecc.

 

Durante un rito sacro, Saffo rivolge alla divinità una preghiera, nella quale rivela la sua brama di vivere e di gioire. E il mezzo per realizzare il suo desiderio è, come si legge a conclusione della lirica, proprio il vino, qui chiamato “nettare” e versato in coppe d’oro dalle mani della stessa Afrodite. Qui dunque il vino è considerato come un nettare, degno di essere versato dalle mani di una dea come il dono migliore che una divinità possa fare agli uomini, per concedere loro serenità e gioia. Molti elementi presenti nella poesia (il tempio, le are, l’incenso, le tazze d’oro) contribuiscono a dare all’atto del bere connotazioni mistico-religiose.


Venite al tempio sacro delle vergini
Dove più grato è il bosco e sulle are
Fuma l’incenso.
Qui fresca l’acqua mormora tra i rami
Dei meli: il luogo è all’ombra di roseti
Dallo stormire delle foglie scende
Profonda quiete.
Qui il prato ove meriggiano i cavalli
È tutto fiori della primavera,
e gli aneti vi odorano soavi,
e qui con impeto, dominatrice,
versa Afrodite nelle tazze d’oro
chiaro vino celeste
e insieme gioia.

Traduzione S. Quasimodo 

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IL VINO E IL BANCHETTO: MOMENTO RELIGIOSO-CULTURALE
VIRGILIO, ENEIDE, I, 723-756

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Come nel IX canto dell’Odissea, anche qui il vino viene introdotto dal poeta come elemento importantissimo per creare una particolare atmosfera. Lo sfondo è un’ampia sala luccicante d’oro e di luci: un ambiente magnifico si addice a gustare meglio il dolce nettare. Ma ciò che conta di più non è già la preziosissima coppa nella quale è contenuto e che con la sua ricchezza e antichità contribuisce a valorizzarlo, bensì l’atmosfera di pace e di felicità che regna tra i convitati. In quel salone, insieme con i Troiani non ci sono soltanto i grandi della cittadinanza, ma sono accorsi anche i cittadini che, invitati da Didone, si sono seduti sui drappi ricamati: due popoli si trovano ora felicemente uniti e con quello schietto vino saldano la loro amicizia.
Si liba a Giove padre, dio dell’ospitalità, si invoca la protezione di Bacco, donatore di felicità, e di Giunone affinché rimanga eterno il ricordo di quel giorno. La coppa intanto passa di bocca in bocca, dando al vino un valore alto, quasi sacro. E Iopa prende a cantare le fasi della Luna e i corsi del sole, e l’origine della vita ed è un momento di altissima trasmissione di cultura
.


Com’ebber posto fine alle vivande   1062
E levato le mense, ampii crateri
Posero e coronarono le coppe,
Sonavano le voci alte echeggiando   1065
Per l’ampie volte; dal soffitto d’oro
Pendeano accese lampade, e le luci
Splendidissime vinsero la notte.
E la regina fece porre innanzi
E riempì di puro vin la coppa           1070
Grave d’oro e di gemme ove già Belo
E i nipoti di Belo avean libato.
E si fece nell’aula alto silenzio.
“Giove padre, ella orò, che il Dio sei detto
delle leggi ospitali, oh fausta rendi    1075
per gli esuli di Troia e per i Tirii
questa giornata e fa’ che il suo ricordo
viva anche in quelli che da noi verranno.
Ci assista Bacco, largitor di gioia,
e Giunone ci assista; e i Tirii tutti      1080
con lieto cuor festeggino il convito.”
 Disse e libò sopra la mensa il vino
In onor dei Celesti, ed ella prima
Lo toccò leggermente a fior di labbro;
indi a Bizia lo porse, ed all’invito     1085
pronto egli bevve e s’inondò la gola
dello spumante colmo nappo d’oro;
poi bevver gli altri. Ed il chiomato Iopa
quelli ch’ebbe maestro il sommo Atlante,
fece sonare  la sua cetra d’oro.           1090
Egli cantò le fasi della Luna
Ed i corsi del Sol, come le umane
Stirpi son nate e i bruti e l’acqua e il fuoco;
e Arturo e l’Orse e l’Iadi piovose,
e perché tanto nell’inverno il Sole     1095
a calar nell’Oceano si affretti
e tanto tarde sian le notti estive.
Addoppiavano plausi i Teucri e i Tirii.
E frattanto la misera Didone
Traeva in lungo conversar la notte     1100
E lungamente beveva l’amore;
e d’Ettore e di Priamo chiedeva,
e con che forze era venuto Mèmnone,
quali cavalli avesse Diomède
e quanto fosse valoroso Achille.        1105
Ed alfin gli disse: “Orsù, comincia
Fin dal principio; narrami l’insidia
Greca, il crollo dei tuoi, le tue vicende
Ospite. Chè da sette anni ramingo
Vai per tutte le terre e per il mare”      1110


Traduzione Vitali

CONTESTUALIZZAZIONE

1063 - “ e levate le mense”- le mense erano piccole tavole a quattro piedi, che si ponevano davanti a ciascun convitato.
Crateri – grandi vasi nei quali si mescolava il vino con l’acqua e dai quali si riempivano le coppe
1064 - coronarono – riempirono fino all’oro, oppure, secondo l’uso romano, cinser all’orlo di fiori e di fronde
1071 - Belo – antico progenitore dei re fenici
1084 - “lo toccò leggermente” –“s’inondò la gola” il contrasto tra i due atteggiamenti mette maggiormente in risalto la grazia della regina
1087- traslato, metonimia: il contenente per il contenuto
1089- Atlante- figlio del titano Giapeto e di Climene, fu trasformato in un sapiente che conosceva il corso degli astri e i mutamenti del tempo
1094- Arturo- la più bella stella di Boote
Iadi- costellazione della fronte del Toro che recava le burrasche
1103- Memnone- etiopico, figlio di Titone e dell’Aurora
1104- Diomede- eroe greco

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VINO E VECCHIAIA
GIOVANNI PASCOLI, SOLON, in POEMI CONVIVIALI

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PASCOLI

Nasce a S.Mauro di Romagna nel 1855. Visse i suoi primi anni nella tenuta “La Torre” dei      principi Torlonia di cui il padre era amministratore. Entrò nel collegio degli Scolopi a Urbino. L’uccisione dl padre (1867) fu l’inizio di una serie di sventure che lasceranno un segno profondo nella sua opera.Dopo la morte della madre (1868) la famiglia attraversò un lungo periodo di ristrettezze. Costretto ad abbandonare il collegio e trasferitosi a Rimini, vinse una borsa di studio che gli permise di frequentare l’Università di Bologna dove ebbe come insegnante Carducci. Partecipò per alcuni anni alla politica e fu anche in carcere per aver fatto commenti sovversivi durante un processo.  Abbandonata la politica, fu professore universitario a Bologna, Messina, Pisa.  Nel frattempo si era fatto notare con la pubblicazione delle sue Myricae e come latinista. Insegnò all’Università di Bologna dopo che Carducci lasciò la cattedra. Nel 1897 pubblicò i Primi poemetti, cui seguirono i Canti di Castelvecchio, momento della tranquillità nella casa di Castelvecchio. I Poemi conviviali (1904) tentano una rappresentazione moderna dell’esperienza classica. In Odi e Inni, Nuovi poemetti, Canzoni di Re Enzio, Poemi italici e Poemi del Risorgimento.  Numerose le prose, raccolte prima in Miei pensieri di varia umanità (1903), poi in Pensieri e discorsi (1907). Scrisse anche tre volumi di ermeneutica dantesca: Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La mirabile visione (1902).
Una chiara esposizione della sua poetica è contenuta in una prosa pubblicata nel 1897 sulla rivista “Il Marzocco” col titolo Il fanciullino. Il poeta coincide col fanciullino, deve dunque liberarsi da ogni struttura culturale per poter scoprire la poeticità nelle piccole cose della natura e giungere a una rappresentazione mistica del reale.  La ricerca linguistica del Pascoli rappresenta la presa di coscienza di una crisi della tradizione. La sua poesia è tesa alla riproduzione mimetica di una realtà esterna, ma sentita come propria, madre o rifugio. Attento ad accogliere e a descrivere il semplice, l’incontaminato, ad identificarsi nell’oggetto e al tempo stesso ad annullare la distanza tra poesia e oggetto, Pascoli anticipa da un lato le esperienze crepuscolari, dall’altro certi tratti dell’ermetismo. Le novità del linguaggi pascoliano sono infatti la frantumazione del linguaggio fino al limite del balbettio, l’appropriazione di elementi del parlato, l’uso esasperato dell’onomatopea, l’insistenza sull’analogia.  B. Croce  lo criticò negativamente, mostrandolo come il precursore del futurismo, l’iniziatore di una letteratura decadente, mentre la critica più recente ha posto l’accento sullo “sperimentalismo” di Pascoli e sul suo apporto alle forme poetiche del Novecento. (Contini, Pasolini, Salinari). Muore a Bologna nel 1912.
 
 
Il poeta riprende temi ed espressioni care alla lirica classica: ritroviamo il puer tante volte cantato da Orazio, ritroviamo le parole pronunciate da Ulisse ad Alcinoo (Odissea IX, 1-13) che elogiano il cantore, rivediamo la lunga schiera di convitati, già incontrata nel banchetto offerto dalla regina Didone (Eneide i, 723-756).  Il richiamo a Saffo è già evidente nel titolo: Solone infatti aveva espresso il desiderio di imparare a memoria un canto di Saffo e poi di morire.  Tra tanti palesi riferimenti al tema classico del banchetto Pascoli però sente più vicino a sé, alla sua età e stato d’animo la figura di Solone, ormai prossimo alla morte e, in una condivisione di sentimenti, lo apostrofa, invitandolo a riflettere sui piaceri più graditi alla vecchiaia, non più i cavalli o l’amore, bensì il piacere del vino, bevuto in compagnia, e della poesia.

-    Triste il convito senza canto, come
Tempio senza votivo oro di doni;
ché questo è bello: attendere al cantore
che nella voce ha l’eco dell’Ignoto.
Oh! Nulla, io dico, è bello più che udire
Un buon cantore, placidi, seduti
L’un presso l’altro, avanti mense piene
Di pani biondi e di fumanti carni,
mentre il fanciullo dal cratere attinge
vino, e lo porta e versa nelle coppe;
e dire in tanto graziosi detti,
mentre la cetra inalza il suo sacro inno;
e dell’auleta querulo, che piange,
godere, poi che ti si muta in cuore
il suo dolore in tua felicità. –

-    Solon, dicesti un giorno tu: Beato
Chi ama, che cavalli ha solidunghi,
cani da preda, un ospite lontano.
Ora te né lontano ospite giova
Né, già vecchio, i bei cani né cavalli
Di solidunghia, né l’amore, o savio.
Te la coppa ora giova: ora tu lodi
Più vecchio il vino e più novello il canto.
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Ipertesto sul vino in Orazio