Scrittura creativa
Nel luglio del 1990 Il Mistero dei Tarocchi, uno spettacolo estivo di Tonino Conte con i costumi e le scenografie di Emanuele Luzzati per il Teatro della Tosse, che ottenne un buon successo al forte Sperone di Genova, si ispirò ai racconti di Calvino, mettendo in scena negli anfratti abbandonati del forte le storie degli Arcani maggiori. Agli spettatori che si muovevano seguendo percorsi casuali tra le “Stazioni” in cui gli Arcani maggiori raccontavano la loro storia, veniva regalata una carta disegnata da Luzzati.
Dal casuale accostamento di questi Tarocchi sono nate le storie inventate dagli studenti della III B.
Racconto 1
CORNICE |
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Era stata una lunga e sanguinosa battaglia, il nemico era risultato nettamente superiore a noi, utilizzava infernali cilindri di piombo, dai quali veniva sparata una pesante palla color pece. Queste diavolerie erano più precise e potenti di una catapulta, ma anche molto più rumorose. Ci ritrovammo in circa una ventina di sopravvissuti, il nostro plotone era stato colpito da uno di quei grossi proiettili e chi, come me, non era morto nel momento dell’impatto, era stato privato del suo udito: l’enorme frastuono dell’esplosione aveva infatti rimbombato nelle nostre metalliche armature, facendoci perdere i sensi. Al risveglio capimmo che i nemici, convinti che fossimo già morti, erano tornati vittoriosi nelle loro dimore e noi, moribondi e completamente sordi, ci rifugiammo in un bosco, consapevoli del nostro imminente triste destino. Un giovane con un occhio ferito, tirò fuori dalla sua bisaccia il mazzo di tarocchi che era solito portarsi in battaglia come portafortuna. Il ragazzo iniziò a osservare le proprie carte e con qualche gesto con le mani e qualche cenno col capo ci fece capire che attraverso i suoi tarocchi insanguinati avrebbe potuto raccontarci una storia. In ogni caso chi non avesse capito subito l’intento del soldato, avrebbe afferrato il concetto poco dopo con il succedersi delle carte. Data la nostra impossibilità di comunicare, questo sembrava l’unica distrazione dal dolore delle ferite e un buon modo per aspettare la morte.
Gli scrupoli dell'imperatore
Assicuratosi che più o meno tutti i presenti lo stessero guardando, il giovane mise sul tavolo “l’imperatore”. Essendo la prima carta, esso non poteva che essere il protagonista della vicenda. Il sovrano, coperto da una lunga barba bianca, doveva aver regnato per moltissimo tempo, invecchiando sul suo polveroso trono. Il vecchio imperatore, raffigurato di profilo, sembrava guardare dritto verso le porte del suo castello, come se impaziente stesse aspettando qualcuno. Il narratore confermò le nostre teorie poco dopo, affiancando allo sguardo del sovrano una carta che accomunava molto il destino dell’imperatore al nostro: essa raffigurava uno scheletro con una falce, doveva quindi essere la morte in persona. Il nostro giovane racconta-storie esitò un attimo sulla posizione della carta seguente, fino a riporla sopra il sovrano. Poteva essere quindi che il protagonista stesse contemporaneamente aspettando “il Papa” o una sua lettera, magari poiché, preoccupato del suo imminente destino, avesse chiesto direttamente al pontefice se sarebbe stato destinato agli inferi o alla beatitudine eterna. Il Papa, che non poteva sapere con certezza l’esito post mortem del re , doveva avergli risposto cripticamente con una domanda: “sei certo di aver vissuto seguendo le quattro virtù sacre?”. Il soldato aveva infatti riposto sopra “il Papa”, la “giustizia”, la “forza”, la “temperanza” ed una quarta carta raffigurante una donna nell’intento di domare due belve feroci. Non so in quanti tra i presenti capissero il significato della quarta carta misteriosa, in realtà non so nemmeno in quanti stessero ancora seguendo la narrazione… in ogni caso per me la spiegazione più plausibile era che rappresentasse la “prudenza”: il quadretto delle quattro virtù sarebbe stato così completo. Il giovane cominciava a respirare affannosamente a causa della sua brutta ferita, ma non sembrava voler rinunciare a raccontare la sua storia. Dopo un po’ di sforzo affiancò alla destra del protagonista “l’appeso”. Secondo le raffigurazioni la nuova carta era alle spalle dell’imperatore, come se a seguito della domanda del pontefice, si fosse ricordato che in un momento più o meno anteriore al presente avesse ingiustamente condannato un giovane innocente. Il narratore aveva ormai perso molto sangue e incominciava a ondeggiare da una parte e dall’altra. Accelerò quindi la narrazione, probabilmente tagliando qualche particolare, e affiancò all’"appeso” una nuova carta: in essa una giovane donna semi nuda giaceva sulle sponde di un laghetto. L’ imperatore nella sua giovinezza doveva aver commesso anche un qualche peccato di lussuria. Con gesti sempre più bruschi il giovane decise di concludere, o quasi, la sua sofferente narrazione: non essendoci apparentemente altri modi per farcelo capire, prese “la morte” e la mise sopra il vecchio e pentito sovrano. La carta de “l’imperatore” non era più visibile, dopo una lunga reggenza, era morto di vecchiaia. Il soldato, dopo un’ultima rapida occhiata al mazzo di carte, lo ripose sul tavolo, e decise di tenere in mano solo due carte, quindi le girò verso di noi e le mostrò a tutti i moribondi presenti: erano “l’inferno” e “il paradiso”. Prese quindi una carta per mano e le alzò in aria, dopo lo stupore generale tutti capimmo che solo una carta sarebbe stata riposta sul tavolo: finalmente si sarebbe svelato il destino del nostro protagonista. Il giovane tenne le braccia alzate per qualche istante, mostrandoci ferite di cui nessuno si era accorto prima. Il pubblico impaziente, incitò il ragazzo ormai esausto a compiere il solenne gesto. Anche quelli che in un precedenza sembravano essersi distratti e abbandonati ai loro pensieri, ora, avendo visto le carte alludere quei peccati, che sicuramente avevano commesso, guardavano ad occhi sbarrati le due carte nelle mani insanguinate. Con tutta la forza che aveva il soldato prese un ultimo grande respiro, ma cominciò a oscillare più vistosamente fino a che, stremato, non cadde a terra. Nonostante i tentativi dei vicini di risvegliarlo, nessuno riuscì nella impresa. Nessuno saprà mai se l’imperatore brucia ora nelle fiamme degli inferi o giace beato nei cieli, ma ripensandoci, perché doveva esserne a conoscenza una giovane matricola? Poteva forse lui giudicare la vita di un uomo?
Tommaso Gnone |
Racconto 2
Storia della partita a scacchi con la morte |
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Nel silenzio una carta indecisa ridestò l’interesse dei soldati; il Fante di Spade si presentò a tutti come il protagonista del nuovo racconto. Solo quando il muto narratore si accorse che tutti avevano iniziato a seguirlo, posizionò con cura sul tavolo la seconda carta, che rivelò il tema della sua storia: quelle due spade incrociate non potevano che rappresentare un duello Dopo una lunga attesa l’arrivo dell'antagonista rimbombò nella mente di ciascuno, era una vecchia conoscenza: la Morte era la sua sfidante. Ci voltammo ognuno a cercare lo sguardo degli altri, come per trovare una risposta alla domanda che sorgeva spontanea “come può un uomo sfidare la morte?” Non tutti sembrarono trovare un chiarimento nel nuovo tarocco: “La torre” e fu il ricordo di una vecchia leggenda a farmi trovare la risposta: una sfida a scacchi era stata iniziata per avere salva la vita. La rassegnazione che comparve sul volto del narratore ci aiutò nell’interpretazione dell’arcano che seguiva: “la Temperanza”, che fece pensare alla pazienza con la quale l’uomo affrontò la partita, come se avesse cercato in questa un modo di guadagnare tempo, sapeva infatti che in quella partita la vittoria era impossibile. Lo scopo di questo suo indugio provammo tutti a cercarlo nella titubanza del gesto con cui andò ad appoggiare le due carte seguenti sul tavolo: il nove di bastoni e l’arcano XVIIII “il sole”: un fitto bosco che, una volta attraversato, lasciava riscoprire la luce, pensai di interpretare correttamente interpretandolo come un cammino verso il divino, una ricerca di redenzione davanti alla morte che incalzava. Un'altra coppia di carte, il Diavolo e gli Amanti, confuse ancor più le nostre idee, ma furono per me di più facile comprensione, poiché riconobbi in loro l’ultimo atto di carità che riuscì a compiere il cavaliere, dopo l’amara sconfitta: proteggere una giovane coppia da quel Diavolo, quel male che sembrava loro tanto vicino. Quale fosse il male da cui i due dovevano trovare scampo mi venne in mente ripensando alla prima impressione che quel cavaliere mi aveva suggerito, un fiero crociato a cavallo nel suo viaggio di ritorno avrebbe di sicuro potuto incontrare la terribile piaga che la morte rappresentava cosi bene: la Peste era loro nemica Trovai conforto nella carta seguente che parve confermare le mie congetture: “il Carro” era l’unico mezzo in grado di salvare i poveri innamorati, dovevano essere allontanati dalla loro città sempre più segnata dall’orrenda epidemia Alcuni di noi provarono lo stesso sentimento che illuminò il volto del soldato, quando questi posizionò “la Luna” sul tavolo : il suo volto placido nella notte serena , tanto che aveva emozionato anche chi si era perso da tempo, in quell’incalzare di carte di tanto difficile comprensione, ci rivelava la riuscita della sua ultima missione, il viaggio era finito ed i due Amanti ormai lontani dal proprio villaggio erano salvi. La forte commozione quasi si trasformò in lacrime all’arrivo dell’ultimo tarocco “L’angelo” che, con il suo disegno, ci lasciava intendere che era arrivata la fine della partita. La Morte aveva vinto e, chiamato dal cielo, l’uomo si apprestava ad andarsene, mentre dall’alto forte suonava la tromba degli Angeli, come un tuono che non si arresta. Parve a tutti di riacquistare l’udito, solo per sentire rombare incessante quell’interminabile suono, poi una voce tonante si distinse più chiaramente dal suono di fondo: “Scacco matto”.
Alessandro Francesca |
Racconto 3
Storia del dongiovanni punito |
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Prese in mano il mazzo una recluta tutta tremante e con una grossa ferita alla spalla destra, procuratagli da una delle terribili macchine da guerra del nemico. Aveva una faccia tanto stravolta che probabilmente non sarebbe stato in grado di parlare nemmeno in condizioni normali. Con mano tremante posò sulla tavola la prima carta: il Matto. Non capii in che modo interpretarlo, fino a quando posò la seconda carta : il Diavolo; allora immaginai che il protagonista fosse un ricco giovane che viveva in modo lussurioso e spensierato. Questa teoria era suggerita dalla carta del Mondo, che rappresentava una donna nuda. Capii che la sua vita era immorale dal gesto sprezzante con cui lanciò sul tavolo la carta del Diavolo: i suoi peccati erano dovuti all'amore proibito e al tradimento, vista la carta degli Amanti. Immaginai allora che il giovane amava intraprendere storie proibite con donne sposate, rovinando cosi il loro onore, tuttavia un giorno cercò di conquistare la signora sbagliata. Era una moglie fedele che decise di punirlo per quello che aveva fatto. Il soldato posò con decisione le carte della Temperanza e della Giustizia. La donna aspettò il momento giusto e finse di acconsentire alle avance del cavaliere, aumentandone il suo desiderio. Un giorno finalmente lo invitò a casa, promettendogli che sarebbero stati soli, invece lo aveva ingannato: al momento del bacio era intervenuto il marito. Il soldato posò la carta della Forza, che alludeva al marito, un importante generale militare, famoso per la sua gloria e le sue pene severe. Il marito, infuriato, ordinò alle sue guardie di arrestare il giovane disgraziato, ma prima gli diede una solenne bastonatura, rappresentata da una carta dei Dieci di Bastoni. Il giovane, ridotto ad uno straccio, venne rinchiuso in una cella in cima ad un alta Torre. Il soldato posò la carta della Torre sotto la Forza. Subito dopo mise accanto alla Torre a sinistra la Luna e a destra il Sole e infine sotto la Torre la figura dell'Appeso. Era difficile comprendere il significato delle ultime tre carte e congetturai storie diverse per capire il finale dell'avventura che sicuramente era negativa, visto la carta della Forca. Alla fine trovai credibile il seguente accostamento: il giovane, durante la notte, mentre era prigioniero nella Torre, rifletteva sulla sua vita e comprendeva tutti i suoi errori. Quindi l'ultimo giorno , mentre incatenato si dirigeva verso la Forca, colpito da un Sole tiepido, conscio di essere diventato un altro uomo e felice per aver ritrovato la retta via, ma triste per averlo fatto troppo tardi, si diresse verso il suo destino.
Federico Cafarella |
Racconto 4
Storia dell'eremita saggio |
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Un Eremita camminava ormai da tre giorni. Tre giorni erano passati da quando aveva preso la sua decisione. Tre giorni da quando era scappato, corso via da ogni responsabilità, senza pensarci due volte. Sarebbe dovuto diventare Imperatore. Il peso di un'intera popolazione sulle sue spalle, il Mondo. Un grande peso. Troppo grande. Meglio fuggire. Correre veloce, prima che il mondo se ne accorgesse. La terza notte iniziò a calare sul bosco, e gli ultimi raggi del sole di settembre quasi non passavano attraverso i fitti rami degli alberi, dieci di Bastoni. L'aria iniziava a rinfrescarsi, e i tre giorni di cammino incessante iniziavano a far sentire il loro peso. L'eremita si fermò. Guardò dritto, il sentiero sembrava infinito davanti a lui. Avrebbe potuto scappare per sempre. Per un secondo, si voltò indietro. Sentì la fame, sentì la stanchezza, sentì tutti i passi che aveva fatto. Si guardò intorno, in cerca di un riparo per la notte. All'improvviso vide un Carro. Doveva essere stato un carro da guerra, un carro quasi invincibile, solo che adesso era malridotto, i cavalli che dovevano averlo trainato non c'erano più: forse, come lui, erano scappati, forse erano morti. Seduto sul carro, un solo cavaliere, Fante di Spade, con gli occhi di chi era stato sconfitto, lo sguardo fisso, l'espressione vuota. L'eremita provò a parlargli ma dalla bocca del cavaliere non usciva alcun suono. Dietro il carro c'era un gruppo di uomini, gli altri cavalieri, seduti in cerchio, muti, con la stessa espressione del loro compagno seduto sul carro. Il silenzio era così pesante che pareva che la Morte stessa si trovasse in mezzo al gruppo, pronta a portare con sè il primo che osava proferire una parola. Uno di loro si girò verso l'eremita, di scatto. Lo guardò dritto negli occhi, e finalmente parlò: "Quando il generale, la nostra guida, scappa, questo è il nostro destino." L'eremita vorrebbe rispondergli, fare domande, avere spiegazioni, ma non c'era tempo. La morte prendeva l'ultimo respiro di quel cavaliere, per poi iniziare a scegliere chi sarebbe stato il prossimo compagno a seguirlo. L'eremita fuggì. Doveva andare lontano, molto più lontano. Non poteva tornare indietro. Dopo ore di cammino che sembravano anni, l'eremita vide un uomo Appeso ad un albero. I suoi occhi erano spenti, il suo volto era rassegnato. "Sono stato condannato per la colpa di un altro." rispondeva alla muta domanda posta dallo sguardo dell'eremita. "Un Matto ha rubato il denaro di un mercante. Io l'ho visto, io ero lì. Il matto è fuggito. Hanno incolpato me. Sono stato condannato per la colpa di un altro." L'eremita aveva ancora una volta l'impressione di sentire la presenza della Morte che si avvicinava. Vide la Giustizia sorridere rassegnata, per poi allontanarsi e lasciare il posto all'oscurità. Al condannato venivano concesse le sue ultime parole. "Quando chi è responsabile della giustizia scappa, questo è il nostro destino." Ancora una volta, l'eremita corse via. Pensò alla sconfitta. Pensò alla Giustizia. Pensò a chi scappa. E continuò a scappare. Scappò finchè il corpo glielo permetteva, finchè non incontrò un ricco mercante, il Bagatto, fiero e sorridente. "Sono un truffatore."si presentò l'uomo "Tutto quello che ho l'ho rubato o l'ho ottenuto con l'inganno. Fingo di essere in grado di predire il futuro e di leggere le Stelle e le persone mi pagano per questo. Qualcuno si accorge dell'errore, ma è sempre troppo tardi. Io sono già fuggito. Se è così facile scappare, è questo il mio destino." L'imbroglione si voltò e continuò a camminare per la sua strada. L'eremita era stanco. Si sedette, tirò un lungo sospiro. L'eremita camminava ormai da cinque giorni. Cinque giorni erano passati da quando aveva preso la sua decisione. Non aveva mai pensato alla Giustizia, all'importanza di avere una guida per non essere sconfitti. Troppo facile scappare. Non voleva più scappare. L'eremita si alzò, tornò sui suoi passi, sul sentiero già percorso. Doveva diventare Imperatore. Flavia Durelli |