Notti e notturni

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Notti e notturni

Letterature classiche e letteratura italiana

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Alunni delle Scuole Superiori di II grado

Icona iDevice INTRODUZIONE

Obiettivo di questo percorso è quello di offrire una panoramica diacronica - cioè attraverso il tempo - di varie letture e interpretazioni della notte, intesa sia come momento "fisico" della giornata, sia come riferimento metaforico alla fine della vita umana, e quindi alla morte.

Dalla notte classica, contemplata nella bellezza del silenzio e dell'immobilità, si passa attraverso la notte interiore, fatta di tormento per l'individuo, alla "notte della società", i tempi bui che l'uomo si vede davanti e che sa di dover affrontare.

Leggi attentamente i testi con le relative parti introduttive ed esegui gli esercizi nella pagina successiva.


Icona iDevice Testo 1
Quello di Alcmane è uno dei primi notturni della letteratura occidentale e anche uno dei più concisi ed efficaci. Vi domina il tema del sonno che avvolge tutti gli esseri, viventi e non, in una quiete tranquilla. Manca - o almeno così pare, visto che si tratta di un frammento - la presenza dell'uomo.

testo greco
ALCMANE, fr.89 P (trad. A. Garzya)
VII-VI secolo a.C.

Dormono le cime dei monti e le gole, i picchi e i dirupi, e le schiere di animali, quanti nutre la nera terra, e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api e i mostri negli abissi del mare purpureo; dormono le schiere degli uccelli dalle ali distese.

Icona iDevice Testo 2
Più ampio e particolareggiato rispetto a quello di Alcmane, il notturno di Virgilio inserisce, per contrasto, la componente umana: mentre tutta la natura gode il meritato riposo ed è immersa nel silenzio e nella quiete, Didone veglia da sola in preda alle smanie d'amore.

Significative l'apertura del notturno (nox erat) e la chiusura (sub nocte silenti), che si riprendono ad anello, chiudendo il cerchio.
VIRGILIO, Aen. IV, 522 sgg
(I sec. a.C.)

Nox erat et placidum carpebant fessa soporem
corpora per terras, silvaeque et saeva quierant
aequora, cum medio volvuntur sidera lapsu,
cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,
quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis
rura tenent, somno positae sub nocte silenti.
At non infelix animi Phoenissa neque umquam
solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem
accipit: ingeminant curae rursusque resurgens
saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu.

 

 

immagine di Lucia Maria Izzo


Icona iDevice Testo 3
Il notturno di Dante, chiara ripresa di quello virgiliano, riduce però all'osso le caratteristiche ambientali (oscurità, sonno e riposo degli animali) per concentrarsi sul poeta (io sol uno) che si accinge ad affrontare il viaggio ultraterreno attraverso l'Inferno. Particolarmente suggestivo l'uso dell'imperfetto, che dà al brano il tono di una fiaba.

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DANTE ALIGHIERI, Inferno II, 1-6
(1265-1321)


Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno
m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.

 

 

 

 

 

G. Dorè, Dante e Virgilio lasciano la selva oscura


Icona iDevice Testo 4
Quando Michelangelo realizzò la celeberrima statua della Notte, conservata oggi alle Cappelle Medicee, l'amico Filippo Strozzi, ammirato, gli scrisse una quartina per esaltare il realismo straordinario dell'opera, che sembrava una donna dormiente. La risposta dell'artista non si fece attendere: gelida e ironica fino al sarcasmo, appare come una denuncia morale contro "il danno e la vergogna" dei suoi tempi. Meglio dormire, dunque, per non vederli e non sentirli.
MICHELANGELO BUONARROTI, Rime
(1475-1564)

Filippo di Bernardo Strozzi:
La Notte, che tu vedi in sì dolci atti
dormir, fu da un angiol scolpita
in questo sasso, e perchè dorme ha vita:
Destala, se nol credi, e parleratti.

Michelangelo:
Caro m' è 'l sonno, e più l'esser di sasso,
mentre che 'l danno e la vergogna dura:
Non veder, non sentir, m' è gran ventura;
però non mi destar, deh! parla basso.

 

notte

 

Statua della Notte, di Michelangelo Buonarroti,

Firenze, Cappelle Medicee


Icona iDevice Testo 5
C'è sintonia tra l'uomo e la natura in questo splendido notturno tassiano che presenta vasti scenari di natura e ingloba, senza nominarla, la presenza animale. I verbi tacciono e giace racchiudono il quadro di immobilità iniziale, mentre la profondità del silenzio (alto) è segnato dalla presenza della luna, soggetto posticipato con grande effetto stilistico. Gli amanti, con i loro giochi appartati, trovano nel paesaggio l'ambiente ideale per le loro segrete effusioni.
TORQUATO TASSO, Rime, Madrigali per musica
(1544-1595)

 

 

Tacciono i boschi e i fiumi,
e ’l mar senza onda giace,
ne le spelonche i venti han tregua e pace,
e ne la notte bruna
alto silenzio fa la bianca luna;
e noi tegnamo ascose
le dolcezze amorose.
Amor non parli o spiri,
sien muti i baci e muti i miei sospiri.

 

 

 

 

Immagine di Gisella Malagodi

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Icona iDevice Testo 6
Nell'armonia cristallina dell'idillio, ecco l'incomparabile bellezza dei notturni lunari leopardiani: tutto, dal paesaggio sapientemente tratteggiato, all'aggettivazione, alla costruzione del verso, alla disposizione delle pause, concorre alla composizione di un quadro di straordinario potere evocativo e suggestivo. Il notturno romantico non può prescindere dalla presenza della luna, riferimento etico ed estetico della poesia leopardiana, ed è contrapposto nella sua bellezza alla condizione umana. Nel primo brano la poetessa Saffo, sentendosi brutta, avverte la propria esclusione dall'armonia della natura; nel secondo è il poeta che esclude se stesso, tormentato e infelice, dal sonno e dalla quiete che avvolge tutti nella notte.

 

 

 

D.C. Friedrich, Due uomini che contemplano la luna

Giacomo LEOPARDI, Canti
(1798-1837)

 

1 - Ultimo canto di Saffo, 1-7

Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.

2 - La sera del dì di festa, 1-14

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno.


Icona iDevice Testo 7
L'alba e la notte, un autunno che lascia intendere una primavera, l'allusione alla caducità delle foglie: tutti elementi che rimandano alla consueta metafora della vita umana, immersa nello scorrere inesorabile del tempo. Una gioventù che trascorre, dunque, e l'amara meditazione dell'uomo sul suo essere effimero e fragile, "ma la notte sperde le lontananze": la notte, oasi di pace, di immobilità e di silenzio, sembra smussare gli angoli, annullare i sensi di vuoto e di distacco, e per questo merita il vocativo finale che dà il titolo alla poesia.
GIUSEPPE UNGARETTI, O Notte,
Sentimento del tempo
(1888-1970)


Dall’ampia ansia dell’alba
Svelata alberatura.

Dolorosi risvegli.

Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.

Autunni,
Moribonde dolcezze.

O gioventù,
Passata è appena l’ora del distacco.

Cieli alti della gioventù,
Libero slancio.

E già sono deserto.

Preso in questa curva malinconia.

Ma la notte sperde le lontananze.

Oceanici silenzi,
Astrali nidi d’illusione,

O notte.

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Immagine di Gisella Malagodi

Icona iDevice Testo 8
Ha una valenza prevalentemente sociale la notte dei Tazenda cantata da Pierangelo Bertoli: una notte scura e impotente di fronte alle sciagure umane, una notte in cui la luna appare come unico fascio di luce e di speranza. Il paesaggio sardo, aspro e selvaggio, fa da cornice a un'umanità diseredata che durante la notte esce allo scoperto alla ricerca di sostentamento. La presenza di una compagna con cui intrecciare le mani pare rafforzare la speranza, e l'alba alla fine indicano una rinascita verso un percorso nuovo.

 

PIERANGELO BERTOLI (1942-2002) e TAZENDA

 

Spunta la luna dal monte, 1991

 

Notte scura, notte senza la sera
notte impotente, notte guerriera
per altre vie, con le mani le mie
cerco le tue, cerco noi due.
Spunta la luna dal monte
spunta la luna dal monte.
Tra volti di pietra tra strade di fango
cercando la luna, cercando
danzandoti nella mente,
sfiorando tutta la gente
a volte sciogliendosi in pianto
un canto di sponde sicure
ben presto dimenticato
voce dei poveri resti di un sogno mancato

In sos muntonarzos, sos disamparados
chirchende ricattu, chirchende
in mesu a sa zente, in mesu
a s'istrada dimandende.
Sa vida s'ischidat pranghende
bois fizus 'e niunu
in sos annos ismenticados
tue n'dhas solu chimbantunu
ma paren' chent' annos.
Coro meu, fonte 'ia, gradessida
gai puru eo, potho bier'sa vida.

Dovunque cada l'alba sulla mia strada
senza catene, vi andremo insieme.
Spunta la luna dal monte
beni intonende unu dillu
spunta la luna dal monte
spunta la luna dal monte
beni intonende unu dillu
spunta la luna dal monte
beni intonende unu dillu

 

lunamonte
Immagine di Gisella Malagodi
TRADUZIONE PARTE IN SARDO

 

Negli immondezzai, i mendicanti cercano cibo, cercano in mezzo alla gente, in mezzo alla strada elemosinano. La vita si sveglia piangendo voi figli di nessuno, negli anni dimenticati, tu ne hai solo 51, ma sembrano 100.

Cuore mio
fonte chiara e pulita
dove anch'io, posso bere alla vita

vieni intonando una danza

dillu= ballo sardo accompagnato da un ritmo festoso, che consiste nell'avanzare saltellando a ritmo gioioso.


 


Icona iDevice CREDITI

Pagina a cura di Paola Lerza

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