Sc. Superiore - Il viaggio
Alla stazione in una mattina d'autunno, 1-36 (G. Carducci, Odi barbare, 1876)
La donna amata è in partenza; il poeta la accompagna alla stazione con un senso di angoscia e di sgomento che trova corrispondenza in un paesaggio opprimente, nebbioso e tetro. La stazione è il luogo dell'addio, popolato da viaggiatori anonimi a da sinistri ferrovieri; il treno appare come una creatura mostruosa, meccanica e insensibile, che porterà la donna lontano.
Oh quei fanali come s’inseguono accidiosi là dietro gli alberi, tra i rami stillanti di pioggia sbadigliando la luce su’l fango! Flebile, acuta, stridula fischia la vaporiera da presso. Plumbeo il cielo e il mattino d’autunno come un grande fantasma n’è intorno. Dove e a che move questa, che affrettasi a carri foschi, ravvolta e tacita gente? a che ignoti dolori o tormenti di speme lontana? Tu pur pensosa, Lidia, la tessera al secco taglio dài de la guardia, e al tempo incalzante i begli anni dài, gl’istanti gioiti e i ricordi. Van lungo il nero convoglio e vengono Incappucciati di nero i vigili. |
Com’ombre; una fioca lanterna Hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei freni tentati rendono un lugubre rintocco lungo: di fondo a l’anima un’eco di tedio risponde doloroso, che spasimo pare. E gli sportelli sbattuti al chiudere paion oltraggi: scherno par l’ultimo appello che rapido suona: grossa scroscia su’vetri la pioggia. Già il mostro, conscio di sua metallica anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei occhi sbarra; immane pe’l buio gitta il fischio che sfida lo spazio. Va l’empio mostro; con traino orribile sbattendo l’ale gli amor miei portasi. Ahi, la bianca faccia e’l bel velo Salutando scompar ne la tenebra. |
Gioiosa e confortante | |
Triste e malinconica | |
Frenetica e inquietante
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Sgomento angoscioso | |
Speranza di rivedere presto la donna | |
Desiderio di riprendere la propria vita
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È opera dell’intelligenza umana che sfida i propri limiti | |
Porta lontano la persona cara | |
incute paura con il suo aspetto e la sua velocità
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In viaggio, 1-18 e 31-54 (G. Pascoli, Canti di Castelvecchio, 1903)
Nel testo pascoliano il passaggio del treno ha un profondo potere evocativo, associato ad altri elementi particolarmente suggestivi del paesaggio. I rintocchi della campana della sera accompagnano tristi la partenza del convoglio, mentre la casa-nido si chiude a protezione dei suoi abitanti. E anche per chi fugge e va lontano la campana del paese e la casa restano come un richiamo struggente.
Si ferma, e già fischia, ed insieme,
tra il ferreo strepito del treno,
si sente una squilla che geme,
là da un paesello sereno,
paesello lungo la via:
Ave Maria...
Un poco, tra l'ansia crescente
della nera vaporiera,
l'addio della sera si sente
seguire come una preghiera,
seguire il treno che s'avvia:
Ave Maria...
E, come se voglia e non voglia,
il treno nel partir vacilla:
quel suono ci chiama alla soglia
e alla lampada che brilla,
nella casa, ch'è una badia:
Ave Maria...
[...]
O, tinta d'un lieve rossore,
casina che sorridi al sole!
per noi c'è la notte con l'ore
lunghe lunghe, con l'ore sole,
con l'ore di malinconia...
Ave Maria...
Il treno già vola e ci porta
sbuffando l'alito di fuoco;
e ancora nell'aria più smorta
ci giunge quell'addio più fioco,
dal paese che fugge via:
Ave Maria...
E cessa. Ma uno che vuole
velar gli occhi, pensar lontano,
tra gemiti e strilli e parole,
tra il frastuono or tremolo or piano,
ode il suono che non s'oblia:
Ave Maria...
Con l'uomo che va nella notte,
tra gli aspri urli, i lunghi racconti
del treno che corre per grotte
di monti, sopra lenti ponti,
vien nell'ombrìa la voce pia:
Ave Maria.
dà voce a un profondo sentimento religioso
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evoca una realtà familiare cara e confortante
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costituisce solo un elemento descrittivo
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suscita nel poeta il desiderio di conoscere realtà lontane
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gli consente di avviare un confronto tra la miseria della società rurale e le prospettive di sviluppo di un mondo industrializzato
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evoca a contrasto luoghi cari e affetti familiari
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Un treno che fa impazzire, quello di questa novella di Pirandello: un treno che al suo passaggio evoca nel protagonista Belluca - uomo frustrato da una vita monotona e grigia - fantasie di evasione e di fuga. Un treno che viaggia, si muove e va lontano, verso mondi sconosciuti, verso gente che vive, verso un "altrove" di cui il povero Belluca aveva perfino scordato l'esistenza. Costretto in ufficio a un superlavoro alienante e tiranneggiato a casa da tre donne, egli scopre nel treno l'unico filo che congiunge la sua realtà di sacrificio e di rinuncia con il mondo esterno, e questa improvvisa consapevolezza, materializzatasi nel fischio di un locomotore. cambia radicalmente il suo approccio con la vita, tanto che tutti lo credono pazzo.
Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, s'era fieramente ribellato al suo capo ufficio, e che poi, all'aspra riprensione di questo, per poco non gli s'era scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse d'una vera e propria alienazione mentale. (…)
Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il diritto di fargliela, il capo ufficio. Già s'era presentato, la mattina, con un'aria insolita, nuova; e cosa veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo d'una montagna era venuto con più di mezz'ora di ritardo.
Pareva che il viso, tutt'a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutt'a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d'improvviso all'intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi tutt'a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni non avvertiti mai.
Così ilare, d'una ilarità vaga e piena di stordimento, s'era presentato all'ufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente.
La sera, il capo ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte:
- E come mai? Che hai combinato tutt'oggi?
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un'aria d'impudenza, aprendo le mani.
- Che significa? - aveva allora esclamato il capo ufficio, accostandoglisi e prendendolo per una spalla e scrollandolo. - Ohé, Belluca!
- Niente, aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d'impudenza e d'imbecillità su le labbra. - Il treno, signor Cavaliere.
- Il treno? Che treno?
- Ha fischiato.
- Ma che diavolo dici?
- Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L'ho sentito fischiare...
- Il treno?
- Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia... oppure oppure... nelle foreste del Congo... Si fa in un attimo, signor Cavaliere! (…)
Lo avevano a viva forza preso, imbracato e trascinato all'ospizio dei matti.
Seguitava ancora, qua, a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio assai lamentoso, come lontano, nella notte; accorato. E, subito dopo, soggiungeva:
- Si parte, si parte... Signori, per dove? per dove? (…)
Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo.
Quando andai a trovarlo all'ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, sì, ancora esaltato un po', ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito.
- Magari! - diceva - Magari!
Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni ma proprio dimenticato che il mondo esisteva.
Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla stanga d'una nòria o d'un molino, sissignori, s'era dimenticato da anni e anni ma proprio dimenticato che il mondo esisteva.
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l'eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno.
Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero sturati.
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt'intorno.
S'era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte.
C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr'egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo s'era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria... Ma ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L'attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l'immaginazione d'improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari... Questo stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C'erano, mentr'egli qua viveva questa vita " impossibile ", tanti e tanti milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti... sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva cosi... c'erano gli oceani... Ie foreste... (…)
Una rivelazione improvvisa della condizione di alienazione
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Una creazione della fantasia per evadere dalle responsabilità
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Una presa di coscienza dell’ingiustizia sociale
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Si libera dalla prigione della sua vita
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Soddisfa il suo desiderio di conoscere luoghi lontani
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Trova consolazione al suo male di vivere
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Sogno di prigione (D. Campana, Canti Orfici, 1909-1913 ca)
In un frammento lirico che propone una dimensione allucinata, Dino Campana, attratto dal fascino di un treno nella notte, sogna di fuggire dalla prigione della realtà. Colori e suoni violenti si accavallano e danno l'idea della visione onirica.
il desiderio di fare nuove esperienze
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un modo per sfogare la propria inquietudine
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il bisogno di sfuggire il presente
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è un oggetto reale
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dissolve il suo senso concreto in una dimensione allucinata
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diviene un simbolo
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visive
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uditive
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tattili
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I treni di Tozeur (F. Battiato, 1984)
La città di Tozeur sorge in un'oasi tunisina, in prossimità del confine con l'Algeria. Il passaggio dei treni - quasi sicuramente solo carovane all'orizzonte - si confonde con un miraggio, e sembra l'unico segnale di movimento nel paesaggio immobile e sonnacchioso del deserto, l'unico elemento in grado di far pensare a una dimensione diversa della vita che scorre monotona nella vecchia città carovaniera.
Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni
le strade deserte di Tozeur
Da una casa lontana tua madre mi vede
si ricorda di me, delle mie abitudini
E per un istante ritorna la voglia di vivere a un'altra velocità
Passano ancora lenti i treni per Tozeur...
Nelle chiese abbandonate si preparano rifugi
e nuove astronavi per viaggi interstellari
In una vecchia miniera distese di sale
e un ricordo di me come un incantesimo
E per un istante ritorna la voglia di vivere a un'altra velocità
Passano ancora lenti i treni per Tozeur...
Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni per Tozeur
il confine tra mondi a velocità diversa
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una zona in continua fibrillazione
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un limite invalicabile
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reali
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un miraggio nel deserto
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il frutto della fantasia
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- Carducci
- La rappresentazione del treno è fondata su tratti sia crudamente realistici sia evocativi di uno stato d’aniimo angosciato. Esemplificare in 12 righe
- Pascoli
- Quali elementi (situazioni, parole, immagini,…) danno un colorito malinconico alle scene in cui è presente il treno?
- Spiegare il significato della contrapposizione treno – paese
- Pirandello
- 3. Il comportamento che il fischio del treno induce in Belluca è sintomo di follia o di lucidità razionale? Max 8 righe)
- Che cosa significa per il personaggio “spaziare… nel vuoto arioso”? (max 5 righe)
- Campana
- Individuare e spiegare qualcuna delle espressioni con cui il poeta dà voce al suo bisogno di evadere verso un irraggiungibile mondo ideale (max 10 righe)
- Battiato
- In che cosa consiste l’”incantesimo” che si manifesta a Tozeur? (Max 4 righe)
Nelle letture proposte il treno a volte appare come un concreto mezzo di locomozione, a volte è metafora e simbolo,a volte è lo strumento per un viaggio nella fantasia nel sogno e nell’irreale. (max 20 righe)
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