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I FILM

 

I

In my country

 

La trama in breve:

Due giornalisti, un nero americano ed una bianca afrikaaner, seguono il processo intentato, alla fine dell’apartheid, ad alcuni torturatori…

Recensione:

Il film documenta la tragedia dell’apartheid attraverso la ricostruzione del processo.
Il taglio scelto, ispirato al genere dei film americani ambientati nelle aule di tribunale, è suggestivo:la violenza è prevalentemente raccontata dai superstiti e dai familiari delle vittime.
Ciò consente al film di assumere, a tratti, un tono epico, illuminato dalla narrazione memoriale, che lo allontana dalla facile tentazione dell’orrido visivo.
Squarci lirici sono presenti in questo film, per altri versi classico e poco indulgente a novità di impatto: una storia d’amore resa struggente dalla difficile scelta, la bellezza dei paesaggi ripresi da una sapiente fotografia, i canti neri che punteggiano i passaggi narrativi più duri, documentando un modo particolare di elaborare il dolore ed il lutto.
Film senz’altro da consigliare.

(Maria Zeno)

 

Io la conoscevo bene

 

 

La trama in breve:

Adriana parte dalla provincia per cercare il successo nella Capitale. A Roma però scopre l’amarezza della sconfitta e delle promesse negate. Alla fine prevale la disperazione e Adriana...

Recensione:

Quando pesco nei ricordi dei film che hanno costruito e fondato il mio amore per il Cinema (e soprattutto per il Cinema italiano), mi accorgo che Io la conoscevo bene occupa un luogo dell’anima.

Il film affronta uno dei miti degli anni Sessanta, quello del facile successo e del posto al sole a Cinecittà, mecca del cinema italiano e, all’epoca, mondiale.

Struggente, ingenua, prodiga di sé in modo fanciullesco, Adriana cerca amore, ancora prima che notorietà.

I molti uomini che la amano per una notte rubano da lei sesso approfittando con cinismo del suo bisogno di esistere in un mondo, quello della celluloide, che nella cinematografia italiana dell’epoca affronta il metalinguaggio di sé senza mezzi termini, con coraggiosa autocritica ma con altrettanta dura consapevolezza che tanto le cose vanno così… e che il successo, per le molte aspiranti stelline dell’epoca, è un’ effimera speranza basata su un compromesso identitario con la propria dignità.

Adriana è bella di un candore che nemmeno le troppe esperienze scalfiscono, è arrendevole con gli uomini in modo autodistruttivo, sorride della propria trasognata bellezza e piange dei molti abbandoni che costellano la sua giovane vita, fino all’epilogo finale.

Chi voglia rivedere questo bel film, faccia attenzione a due dati che non sono dettaglio, ma sostanza: i “travestimenti” di Adriana (tra l’altro, splendido documento della moda dell’epoca, dei begli abiti di sartoria, trionfo di un’Italia che conosceva la breve stagione del boom economico) e la colonna musicale, in grado di farci andare nella terra magica dei ricordi; fra i tanti cantanti che la arricchiscono, mi piace citare Sergio Endrigo e la sua “Mani bucate”, un vero e proprio commento in musica e versi del film.

Della canzone, la Sandrelli in questa sua prova magistrale ha la recitazione sommessa ed apparentemente svagata che è il tono specifico del film e la traccia indelebile della protagonista.

(Maria Zeno)

 

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