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I FILM

 

V

Velocità massima

 

La trama in breve:

Claudio, diciottenne figlio di un autodemolitore, sogna di fare il meccanico per riparare anziché demolire le automobili. Stefano, meccanico trentacinquenne, appassionato di auto da corsa, lo prende a lavorare con sé e ben presto, superata un’iniziale diffidenza, lo considera un genio della meccanica e dei motori. Lo introduce nel mondo delle corse clandestine all'Obelisco dell'Eur e Stefano …

Recensione:

Film di drammatica attualità, primo lungometraggio di Daniele Vicari, premiato nel 2003 con il Davide di Donatello come regista emergente, Velocità Massima indaga con rigore il mondo delle scommesse automobilistiche clandestine.

L’ambientazione è doppia: il giorno è rappresentato in una Roma popolare, borgatara, in cui il lavoro non basta mai a ripagare i debiti e, soprattutto, a risarcire dalla deprivazione culturale; la notte irrompe con il suo carico di clandestinità, di rabbiosa sfida al destino, la corsa per la corsa, la corsa e la sfida alla morte per esserci, per guadagnare, per affermare la priorità di una scelta altra rispetto alla quotidianità.>

Vicari non indulge mai al sentimentalismo e tanto meno ad un buonismo d’immagine: i suoi protagonisti sono indagati con una precisione addirittura filologica, nel linguaggio, nel modo di essere, nei sogni disperati…

Ricco il linguaggio tecnico: va dalla rappresentazione mimetica della borgata al montaggio velocissimo delle scene delle corse, senza mai indulgere ad un che di troppo.

Uno dei pregi del film è difatti il rigore con cui Vicari (che nel cinema esordisce con documentari e cortometraggi), documenta un mondo sotterraneo, nottambulo, ai margini della legalità: un universo, quello delle scommesse clandestine, in questi giorni venuto drammaticamente alla ribalta per la morte di un sedicenne.

Non è sfuggita, al cronista, la tragica precisione con cui il film ha rappresentato il fenomeno e La Repubblica del 14 novembre 2005 porta una intervista a Daniele Vicari, proprio a commento del tragico episodio di cronaca.

(Maria Zeno)

 

 

Viaggio a Kandahar (Safar e Ghandehar)

 

Ho apprezzato moltissimo il film perché rappresenta, attraverso il motivo del viaggio, la speranza che questo paese possa risollevarsi e ritrovare in se stesso le radici della democrazia.. E non importa come andrà a finire il viaggio, ciò che importa è che esista il desiderio di conoscenza, attraverso il viaggio. Nessuna volgarità, nessun cedimento o compiacimento in scene di violenza, un'atmosfera quasi metafisica, la perfezione assoluta delle immagini, senza neanche una sbavatura, tutti motivi per consigliare la visione di questo film. Persino lo stuolo di zoppi o monchi che cammina alla ricerca di una protesi che arriva dall'alto, pur nella sua drammaticità, riesce a stagliarsi come una danza di preghiera contro il cielo terso e sulla sabbia ardente del deserto.

(Gisella Malagodi)

 

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