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I FILM

 

P

Parada

 

"PA-RA-DA" racconta la vera storia del clown di strada Miloud Oukili, il suo arrivo in Romania nel ’92, tre anni dopo la fine della dittatura di Ceausescu, e l’incontro con i bambini dei tombini, i cosiddetti “boskettari”.
Il film racconta l’amicizia tra la banda di ragazzini tra i tre e i sedici anni e il clown ventenne franco algerino Miloud.
I bambini, scappati dagli orfanotrofi o dalla povertà di famiglie deprivate culturalmente ed economicamente, vivono da randagi, dormono nelle grandi condotte di Bucarest dove passano i tubi per il riscaldamento e sopravvivono con espedienti. Miloud con tenacia persegue il sogno di entrare in contatto con questi ragazzi diffidenti e induriti esperienze drammatiche. La sua unica risorsa sono le arti circensi, in cui è maestro, ma soprattutto la capacità di sperare oltre il lecito. L’epilogo, che non raccontiamo per non togliervi il piacere del film, è sorprendente…ed è la prova che anche la storia più dura può essere redenta.
Si tratta di un film sull’infanzia lontano da qualsiasi tentazione oleografica, ma è senz’altro da consigliare ad un pubblico di giovani, perché ha in sé l’idea della speranza come costruzione di futuro e della follia creativa come risorsa di vita.

(Maria Zeno)

 

The Passion of the Christ

 

La trama in breve:

Ispirandosi ai Vangeli sinottici, Mel Gibson racconta le ultime 12 ore di Cristo, dall'Orto degli Ulivi (Getsemani) fino alla morte…

Recensione:

Ha scatenato passioni le più disparate questo film, alla sua uscita ed ha determinato addirittura schieramenti pro e contro, accuse di antisemitismo, plausi ad un cattolicesimo più intransigente, polemiche per il divieto posto dalla censura ai minori di 14 anni… Io l’ho visto ieri, domenica di Pasqua, in TV e, durante la sua durata , mi sono incessantemente tornate alla mente le riflessioni aristoteliche sulla tragedia, in modo particolare quelle sul valore catartico. L’allestimento teatrale, secondo Aristotele, per far salvo il valore catartico, deve lasciare la mente libera di interrogarsi e questo lavoro su se stessi è ostacolato se le passioni sono brutalizzate da immagini di violenza che, attraverso gli occhi, giungono alle emozioni turbandole in modo eccessivo ed ostacolando l’analisi interiore.

Ho banalmente riassunto il pensiero del grande Aristotele, ma il senso è questo… ho visto forse la metà del film, la seconda metà l’ho ascoltata, con gli occhi coperti per l’orrore (soprattutto durante l’interminabile sequenza della flagellazione).

E mi sono chiesta: serve davvero a ricollegare più da vicino alla Passione di Cristo il VEDERE l’orrore delle carni straziate e fare il bagno (che Gibson vorrebbe purificatore) nel sangue versato a causa della furia belluina dei carnefici romani?

O non sarebbe bastato farvi allusione più sommessa per lasciare maggiore spazio alla sofferenza interiore di Gesù che, almeno a me sembra, Gibson lascia piuttosto sottesa, travolta com’è dall’orgia di violenza che incombe su tutto il film?

Mi ha fatto pensare di più l’urlo solitario sulla croce del grande film Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini che non la lunga sequela di colpi del film di Gibson, che indulge ad una spettacolarità che dispiace definire con un’espressione vieta all’americana, ma così l’ho vissuta.

Ho trovato coerente con l’assunto del regista, cui va dato il merito dell’unità stilistica, i suoni sordi che si susseguono in tutto il film, cui giova il suono originale (il film, in aramaico e in latino è sottotitolato): l’impressione è di esser compressi in uno spazio angusto in cui si rincorrono parole gutturali, suoni e colpi secchi, la lingua della violenza, insomma. E l’effetto, spettacolare, è di claustrofobia sebbene il film sia quasi del tutto girato in esterni.

Non credo che lo rivedrò e, soprattutto, non credo abbia aggiunto qualcosa alla mia consapevolezza religiosa ed alla compassione nel senso latino del termine.

Qualche staffilata in meno e qualche tentativo in più di irruzione nell’intimo del travaglio spirituale, oltre che fisico, di Gesù, avrebbero meglio giovato alla causa.

Almeno a mio modesto parere.

(Maria Zeno)

 

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