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Ho una baracchetta con una specie di bar, qui a Colonia, accanto alle macerie. Partecipo a tutte le funzioni, nella cattedrale semidistrutta, e seguo le processioni, nei vicoli feriti dalla guerra. Il vescovo ci tiene molto. Lui e tutti gli ecclesiastici. Stamattina Fred e sua moglie Kate sono entrati insieme. Ieri erano entrati separatamente, prima Fred e poi lei. Tutti e due mi avevano fatto i complimenti per il mio caffè. Non accade di frequente. Non avevo pensato che si potessero conoscere. Si tocca la loro povertà, la fame nascosta dietro le buone riservate maniere. La fame di qualcosa che si è perso. Casa, famiglia, dignità. Lui mi ha fatto tenerezza, ieri. O forse pietà. Spero di non averglielo mostrato. Un uomo perbene dalla faccia grigia e stanca. Ho capito che non viveva in casa. È andato via, non ce la faceva più. Non sopportava più la miseria, i giochi spenti dei figli, la convivenza con gli altri inquilini. Malgrado l’amore per i figli e per Kate. Lei è rassegnata ma non vinta. Le labbra dipinte di un rosso cupo. Un rossetto prestato, sicuramente, per sollevare la testa. Tutto sulle sue spalle, senza sconfitta. Anche questa nuova gravidanza. Non lo ha detto ma ho capito che è incinta. Di nuovo incinta. Si saranno poi incontrati e avranno camminato tenendosi a braccetto tra le baracche della fiera. Questo ieri. Stamane sono entrati insieme. Me ne sono rallegrata. Li ho guardati con la complicità di chi sa. Di chi sa che dormono ancora insieme, ogni tanto, in brutti alberghi. Di chi sa del loro tenersi le mani, con pudore, con malinconia, con tenerezza. Di chi sa del loro amore. Nonostante le macerie, nonostante la miseria asfissiante, nonostante la solitudine e l’ emarginazione. Non c’è modo di ribellarsi, per noi. Siamo come Cristo…" Lo misero in croce, lo inchiodarono alla croce, e non disse nemmeno una parola". Kate, però, ha toccato il cuore di Fred, e questo è un impegno. “Tornerete?”, ho chiesto. “Sì”, mi ha risposto lei. E questo è un impegno.

(Maria Cristina Rosa)

C’è un che di inquietante in questo libro: non solo nella storia in sé, per molti aspetti ancora misteriosa, ma anche nelle circostanze che hanno portato l’autrice a scoprirla. Due strani sogni, a distanza di molti anni l’uno dall’altro, spingono la Bompiani a compiere delle ricerche minuziose fino a rinvenire, in una biblioteca di Londra, un vecchio settimanale di cronaca del 1733: sorprendentemente, molti elementi di quei sogni convergono nella storia di Sarah Malcolm, giovane governante londinese condannata a morte e giustiziata perché giudicata colpevole dell’assassinio della sua vecchia padrona e di due domestiche durante un tentativo di rapina. L’autrice decide quindi di ricostruire la vicenda sfruttando i documenti del frettoloso (durò solo cinque ore) processo e le cronache dell’epoca. Sarah fu l’unica a pagare per un delitto di cui si era sempre detta innocente: i suoi complici, due uomini e una donna con i quali aveva progettato quella che doveva essere solo una rapina, riuscirono infatti a cavarsela.
Il titolo originale dell’opera “Il ritratto di Sarah Malcolm” (l’articolo fu poi cassato dall’editore) fa riferimento a una celebre opera di William Hogarth, pittore e incisore dell’epoca, che dopo averla ritratta ebbe a dire di lei: “Vedo nei tratti di questa donna che è capace di qualsiasi nefandezza”. Questo spiega come l’autrice non abbia inteso tanto delineare la figura di Sarah Malcolm quanto piuttosto far emergere le contraddizioni e le debolezze dell’inchiesta che portò alla sua condanna.

(Monica Anelli)

In una Londra avvolta da mille misteri, arriva Walter Rothschild, archeologo americano, per decodificare la terza traduzione della stele di Paser custodita al British Museum. La stele di Paser è una lastra incisa a geroglifici, nel cui messaggio stesso è racchiusa una griglia che garantisce tre diversi modi di lettura del messaggio: orizzontale, verticale e ... il terzo rimane ancora un mistero. Rothschild, appassionato conoscitore dell’antico Egitto, accetta la sfida dell’autore della stele ma si ritrova coinvolto nel furto di un antico papiro, probabilmente legato al mistero della terza traduzione, tenuto nascosto a Rothschild stesso. L’archeologo si trova ad affrontare avventure rocambolesche tra colpi di scena e avvenimenti drammatici in una Londra notturna nella sua migliore veste di città misteriosa. La narrazione dei fatti, supportata da una buona tecnica descrittiva dei luoghi e dei sentimenti, coinvolge il lettore in una continua suspense
Riuscirà il nostro eroe a decodificare la terza via della traduzione della stele? Svelarlo sarebbe un “affronto” ai potenziali lettori.

(Teresa Ducci)

 

Il nome completo dell’autrice di questo libro è Donna Alessandra Romana dei Principi Borghese, erede di una delle più prestigiose e antiche famiglie romane. Con occhi nuovi racconta, in prima persona, il modo in cui Alessandra si è avvicinata a Dio, diventando una fervente praticante, dopo aver vissuto l’adolescenza immersa negli agi dell’aristocrazia romana. Alessandra con questa autobiografia si mette a nudo, raccontando gli avvenimenti principali che hanno segnato la sua giovinezza, dal suicidio del suo primo amore al matrimonio con un ricco armatore greco che muore di droga, fino alla profonda amicizia con Giovannino Agnelli e Leonardo Mondadori. L’avvenimento principale della vita di Alessandra è sicuramente la sua conversione, che pare autentica, sentita spiritualmente con molta profondità, non come il capriccio momentaneo di un’aristocratica annoiata dalla bella vita e dai molti viaggi. L’incontro con la Fede non è solamente basato sull’intimo rapporto della donna con Dio, sul dialogo interiore (che potrebbe malignamente essere considerato come un tentativo di sopperire alla mancanza di un legame amoroso duraturo); esso è anche una vera e propria riscoperta della Chiesa, del suo significato, dei suoi riti e del suo ruolo, piuttosto complicato nella società di oggi. Alessandra non vuole indottrinare il lettore, convincendolo della bontà assoluta della religione cattolica, bensì raccontare in maniera semplice la sua incredibile “avventura”.

(Fanny Grespan)

Borroughs. E allora il pensiero va alla sua vita pazzesca e sregolata, alla beat generation, a Ginsberg, a Kerouac, a Gregory Corso, all’esperienza delle droghe e della malattia mentale. A tante altre cose di cui non so e non voglio, soprattutto non so, qui, parlare.
Un solo accenno al suo Soft Machine, per ricordare il celebre gruppo omonimo, e il suo geniale leader Robert Wyatt che, in questo contesto, non c’entra un bel niente, ma la cui musica mi fa "tremar le vene e i polsi" al solo nominarli.
A loro m’inchino, devota e riconoscente, tributando un doveroso omaggio…
I shan't say...
One more word...
So instead... I'll play drums...
E poi mi fermo sennò mi commuovo.
Allora, Borroughs ha scritto questo semisconosciuto libretto, quasi in forma di diario, dedicandolo ai suoi gatti, al gatto, visto come “compagno psichico”, “noi siamo il gatto che è in noi. Siamo i gatti che non possono camminare da soli, e per noi c’è un posto soltanto”.
Gatti bianchi, gatti arancioni, gatti persiani, gatti come entità soprannaturali che accompagnano Borroughs in una continua rievocazione di storie, di sensazioni, di incontri, di esperienze, dalla particolare intensità ammaliatrice.
L’affinità tra l’autore e i gatti, queste creature mistiche e magiche, cresce ad ogni rigo, pagina dopo pagina, come “qualcosa di ancora inimmaginabile, che potrebbe essere il risultato di un’unione non consumata per milioni di anni”.
E l’emozione sale, le vibrazioni aumentano, soprattutto in una gattòlica come me, quando si legge che “questo libro sul gatto è un'allegoria, in cui lo scrittore vede passare in rassegna la sua vita passata in forma di sciarada gattesca. Non che i gatti siano marionette. Tutt'altro. Sono esseri che vivono e respirano, ed è una cosa triste quando si stabilisce un contatto con qualsiasi altro essere: perché vedi le limitazioni, il dolore e la paura, la morte finale. Il contatto significa questo. E di questo mi accorgo quando tocco un gatto e mi ritrovo con le lacrime che mi scorrono sul viso."
Si legge d’un fiato. Magari mettete sul piatto, se ancora ce l’avete, la musica giusta e lasciatevi prendere dal doppio ritmo, che poi diventa uno solo.
E lasciatevi andare al gatto che è in voi.
Good vibrations, yeah!

(Maria Cristina Rosa)

Il romanzo è ambientato in un futuro non lontano dove scrivere e leggere libri è proibito. Il protagonista è Guy Montag, un vigile del fuoco: in questo futuro però la funzione dei pompieri non è spegnere incendi, anzi, armati di lanciafiamme, irrompono nelle case dei sovversivi che leggono o conservano libri e bruciano (451°F è la temperatura a cui brucia la carta). Una sera, però, Guy incontra una ragazza, Clarisse, che gli racconta di un passato in cui leggere e scrivere non era reato e di come creare parole sia molto meglio che distruggerle. Da quel momento la sua vita si trasforma e con l’appoggio e la guida di Faber, un anziano professore depositario del sapere antico, egli troverà il modo di salvare la cultura.
Questo celebre e appassionante romanzo si può definire anti-utopistico. È un manifesto di lotta alla omologazione collettiva.

(Alida Fonnesu)

 

 

“Questa è una bellissima biblioteca, molto fornita, molto americana, e l’ora è perfetta. È mezzanotte. La biblioteca dorme profondamente. Come un bimbo che sogna, la porto dentro l’oscurità di queste pagine.” Come resistere a un incipit simile? Non si può che farsi prendere per mano ed entrare in questo luogo bizzarro, “dove i perdenti portano i loro libri”, quelli che nessun editore pubblicherebbe mai. Come “Coltivare fiori al lume di candela in camere d’albergo”, oppure “Frittella bella”, o ancora “Morte alla pancetta”. Un uomo li accoglie e se ne prende cura amorevolmente da tre anni, senza mai uscire da quella “casa dei libri” che ormai è diventata anche la sua. Poi, improvvisamente, un giorno arriva Vida: una bellezza imbarazzante, un candore antico, luce e aria per l’uomo dei libri. È la vita che irrompe prepotentemente nell’atmosfera rarefatta della biblioteca, è il richiamo della carne, dell’amore, del mondo lasciato alle spalle e quasi dimenticato; quel mondo che invece bisognerà affrontare, perché Vida a un certo punto rimane incinta e quel bambino nessuno dei due lo vuole. Paradossalmente, il viaggio che i due affronteranno insieme alla ricerca di un medico che possa fare abortire la ragazza rappresenterà per l’uomo dei libri il ritorno alla vita.
Grazie a una scrittura leggera e a una serie di personaggi e di situazioni surreali, questo libro riesce ad essere lieve nonostante il tema delicato e doloroso che lo permea fino alla fine.

(Monica Anelli)

Giallo dai risvolti sorprendenti.
Dall’indagine di un omicidio consumato nel museo del Louvre di Parigi si snodano ipotesi provocatorie sul Santo Graal che trovano il loro fondamento dalla scoperta sconvolgente che Leonardo da Vinci proteggeva un distruttivo codice segreto e nascondeva gli enigmi nei suoi dipinti
La struttura narrativa è caratterizzata da capitoli brevi che, pur concludendo le diverse situazioni, lasciano sempre aperta al lettore la curiosità e l’interesse a continuare.

(Teresa Ducci)

 

 

Credo sia uno dei libri più belli che abbia letto, un libro che ho sempre ricordato e che ho ritrovato, e riletto, tra i vecchi libri della mia adolescenza, in fondo alla libreria. Credo sia stato uno dei primi romanzi che si proponeva di rappresentare l’anima di un paese attraverso le vicende di più generazioni della stessa famiglia.
Ci trasporta in un’altra Cina, una Cina che non conosciamo, quella in cui gli strati sociali erano netti e rigidamente divisi, in cui i contadini si nutrivano di radici e terra per sopravvivere alla carestia; in cui i neonati, specie se femmine, venivano venduti come schiavi; in cui i vecchi, se ricchi, potevano comprarsi bambine come concubine… un mondo che non c’è più… o che c’è ancora? Di particolare rilievo la figura della protagonista, una contadina brutta ed analfabeta, quasi incapace di esprimersi pure a parole, eppure estremamente vitale e piena d’amore. E poiché, purtroppo, l’amore è spesso e soprattutto dolore e sacrificio, capace di atti estremi.

(Gabriella Nasi)

Ognuno di noi è alla costante ricerca del proprio “colombre”, del destino che gli è stato assegnato e la cui conoscenza al tempo stesso lo terrorizza e lo affascina… proprio come è successo a Stefano Roy.
È il racconto, ricco di allegorie e di inquietudini, dell’intensa vita di Stefano Roy, tutta dedita alla ricerca di un essere mostruoso e al contempo affascinante che lo insegue inesorabilmente da quando è nato, il colombre appunto, dal quale Stefano è irresistibilmente attratto, un fascino non privo di paura, che lo porterà alla fine all’incontro fatale, ricco di sorprese.
Un linguaggio semplice e scarno, con alcune ripetizioni che hanno il sapore di rituali magici e che sottolineano l’atmosfera irreale, mitica che pervade ogni azione.
Un interrogativo aperto sull’eterno destino dell’uomo, sulla vita e sulla morte che irresistibilmente si attraggono ed alla fine si fondono.
Il racconto, ricco anche di suspense, piace molto ai ragazzi. E’ adatto anche ad essere sceneggiato e rappresentato a teatro. Con la mia classe è stato realizzato uno spettacolo che non ha avuto bisogno di grandi scenografie, ma che ha ottenuto un vero successo, tenendo sempre desta l’attenzione della platea.

(Gisella Malagodi)

 

                                                      

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