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SAGGISTICA RSTU
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R
Autore: Scilla RAFFIN, Ludovica CANTARUTTI
Titolo: Le
parole del silenzio
Editore: Edizioni del Leone
Anno: 2000
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Io e Scilla abbiamo qualcosa in
comune: siamo nate nello stesso anno, a soli due mesi l’una
dall’altra, entrambe nell’Italia del nord-est, io a Treviso, lei
nella confinante Pordenone. Se cito questi dati anagrafici non è a
caso… a volte la vita invece lo è; il caso, il destino, chiamatelo
come volete, ha voluto che io sia e viva in una determinata maniera,
molto diversa da quella di Scilla. Ma proprio la nostra vicinanza
geografica e anagrafica mi ha fatto molto riflettere: avrei potuto
essere io al posto di Scilla. Scilla era ancora una bimba in fasce
quando le è stata diagnosticata una lesione cerebrale, accompagnata
da una forma di autismo e da disprassia (difficoltà a coordinare i
movimenti del corpo). Tuttavia Scilla non è nata cerebrolesa; sembra
infatti che a causare i suoi problemi sia stata un’encefalite senza
febbre provocata da un vaccino; diagnosi, questa, mai stata scritta,
ma formulata in Svizzera (tra l’altro, sembra che proprio nel 1975,
anno in cui a Scilla sono stati somministrati i vaccini, sia
circolata in Italia una partita di trivalente avariata… ma queste
cose non bisogna dirle a voce troppo alta, lo Stato italiano non
riconosce i danni da vaccini!). Nella prima metà del libro, Ludovica
Cantarutti, madre di Scilla e giornalista, narra la storia della
figlia, le impensabili difficoltà quotidiane, pratiche e non solo,
che solo il genitore di un figlio affetto da handicap può conoscere
e capire: le diagnosi senza speranze, la ginnastica quotidiana da
dover somministrare a Scilla per ottenere qualsiasi piccolo
risultato, come stare seduta o infilarsi il cappotto, il rapporto
con una scuola dell’obbligo che non ha saputo né aiutare né tanto
meno accettare Scilla. All’età di ventidue anni, per puro caso, si è
scoperto che Scilla sapeva leggere e scrivere, ma che non era mai
riuscita a comunicarlo, e da quel momento la sua vita cambia; Scilla
esce dal suo silenzio e inizia a comunicare, fino a compiere
l’impresa di scrivere la sua storia, che occupa la seconda parte di
questo libro. Grazie alla scrittura Scilla ha potuto comunicare il
suo disagio, la sua solitudine, la sua volontà di testimoniare la
sua esperienza per aiutare persone che vivono nelle sue condizioni,
ha potuto insomma comunicare il suo… essere! La ragazzina che fino a
qualche anno fa la scuola ha giudicato irrecuperabile, inidonea agli
esami di terza media, oggi, attraverso questa incredibile
testimonianza, grida al mondo, pur senza parlare, senza rancore,
senza manie di protagonismo tanto moderne al giorno d’oggi, il suo
essere viva, essere intelligente, essere cittadina italiana, essere
donna.
(Fanny Grespan) |
Autore: Majid RAHNEMA
Titolo:
Quando la povertà diventa
miseria
Editore: EINAUDI
Anno: 2005
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Un libro dedicato ai poveri e al
fenomeno della povertà. Infatti, l’autore esamina l’evoluzione del
concetto di povertà ed afferma che essa è relativamente recente e
legata ai bisogni creati da un certo tipo di società. Egli, iraniano
e personaggio di spicco dell’ONU, tenta di fare un bilancio dei
programmi di lotta alla povertà. Il suo intento non è quello di
offrire facili ricette ma di ricondurre il pensiero del lettore al
vero significato della parola.
(Alida Fonnesu) |
Autore: Amal
RIFA'I e Odelia AINBINDER
Titolo:
Vogliamo vivere qui tutte
e due
Editore: Tea
Anno: 2003
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Due ragazze di diciott’anni,
un’israeliana e una palestinese, si conoscono nel 2000 in occasione
di un viaggio in Svizzera organizzato da un’associazione pacifista.
Il programma di scambi si interrompe a causa dell’intifada.
Sollecitate da una giornalista tedesca, le ragazze continuano a
comunicare tramite la posta elettronica. È un rapporto molto
difficile: benché le due protagoniste vivano a pochi chilometri di
distanza, ignorano tutto della lingua, della storia e della cultura
dell’altra. Ad esempio l’israeliana si stupisce che la ragazza araba
pensi già al matrimonio, lei aspira ad una futura carriera e
nell’immediato farà il servizio militare, benché appartenga ad una
famiglia di pacifisti. In realtà le due giovani vivono in mondi
differenti, dove la diffidenza verso l’altro popolo, la coscienza
dei torti subiti, lasciano ben poco spazio al dialogo. Entrambe
aspirano alla pace, ma impressiona l’ignoranza assoluta,
l’incomprensione totale delle ragioni dell’altra. Raccontandosi la
propria vita, imparano ad esprimere apertamente le frustrazioni, la
paura, la rabbia, la speranza.
Odelia partirà soldato e Amal (nome di fantasia) si augura di
non doverla incontrare a qualche posto di blocco.
Un libro duro, per niente rassicurante, che fa riflettere su
quanto sia facile dal nostro comodo osservatorio europeo trovare la
soluzione ai conflitti e quanto invece sia difficile avere spazio
per il confronto e la conoscenza reciproca quando ci si trova
immersi dentro la guerra, l’ingiustizia, la paura.
(Daniela Borsato) |
Autore: Sergio RIZZO, Gian Antonio STELLA
Titolo: La casta
Editore: Rizzoli
Anno: 2007
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Non leggete questo libro prima di
addormentarvi: potreste avere sonni agitati. E nemmeno dopo pranzo,
se non volete rovinarvi la digestione. Però leggetelo. Non perdete l’occasione di erudirvi su come,
anno dopo anno, legislatura dopo legislatura, i nostri politici
siano riusciti a creare – una leggina qui, un decretino là - “il
migliore dei mondi possibili”. Per loro, ovviamente, o al massimo
per i loro familiari e amici. C’è stato un tempo in cui De Gasperi
andava in visita ufficiale negli Stati Uniti con un cappotto preso
in prestito e molti politici, anche tra le più alte cariche,
faticavano a sbarcare il lunario. Era un altro momento storico,
erano altre condizioni economiche, certo. Oggi però si è andati
molto oltre quella che poteva e doveva essere l’evoluzione del
tutto naturale di un Paese e di un’epoca. Rizzo e Stella,
giornalisti del Corriere della Sera, hanno condotto un’inchiesta
precisa e approfondita sui costi, gli sprechi e i privilegi della
politica italiana, a tutti i livelli. Di fronte ai tanti aneddoti –
alcuni davvero spassosi nella loro assurdità – e ai dati ufficiali
che sono lì, nero su bianco, è difficile non farsi prendere ora
dall’incredulità, ora dall’indignazione, ora dallo scoramento: come
si è potuti arrivare a tanto? E soprattutto: è ancora possibile
restituire alla politica quella dimensione etica che sembra essere
ormai preoccupazione di pochi? Le domande restano nell’aria, insieme
a una sensazione netta e pesantissima di impotenza e smarrimento.
(Monica Anelli) |
Autore: Paolo RUMIZ
Tiolo: La secessione leggera
Editore: Feltrinelli
Anno: 2001 |
Cinque anni soltanto, ma
sembra passato un secolo. Rumiz, triestino, scrittore di confine,
esploratore del nordest d’Italia e dell’est d’Europa, nel momento di
massima espansione delle spinte federaliste e secessioniste, viaggia
nelle infinite diverse identità, nella paura e nella rabbia del
profondo nord italiano.
Scopriamo così i miti veri o inventati che guidano i “serenissimi”
all’assalto del Campanile di S. Marco. Ridiamo della paccottiglia
leghista pseudo-celtica, del “dio Po”, del “sole delle Alpi”, antico
simbolo alpino che non è mai stato verde.
Ma se i miti sono fasulli o ridicoli, la rabbia è vera. Rumiz tenta di
rispondere a una semplice, banale domanda: perché questo astio,
questa cattiveria, questo vittimismo in regioni che sono tra le più
ricche d’Europa? Perché non si ribella invece il Sud, che ne avrebbe
maggior motivo? Le risposte sono molte e difficili, contraddittorie,
tutte discutibili, tutte facilmente smontabili con il senno di poi,
forse già smentite dagli eventi successivi. Ma vale ancora la pena
di leggere questo libro, se non altro per le splendide descrizioni
delle varie “tribù” che compongono il popolo del Nord. I veneti,
soli e perduti in un territorio che hanno costruito e snaturato così
rapidamente da non riconoscerlo e non riconoscersi più. Gli emiliani
della “riva destra”, per cui il “fare insieme” sembra invece il
valore fondante, la chiave del successo, ma a guardare in fondo
anch’essi divisi e frammentati. Gli altoatesini, che la loro
identità etnica hanno saputo far fruttare, ricavandone denaro e
assistenzialismo. I bergamaschi chiusi nei loro dialetti
incomprensibili da una valle all’altra. Gli alpini di tutte le
regioni, che dal caos alcolico delle loro feste emergono
miracolosamente inquadrati e sfilano disciplinatamente per ore, ma
nessuno porta il cappello allo stesso modo. Però poi basta
un’alluvione, un terremoto e li ritrovi tutti lì, pronti ed
efficienti come orologi svizzeri.
Troppo facile liquidare questo popolo di formiche tutte diverse,
tutte intente a lavorare quindici ore al giorno, come “ignoranti e
razzisti”. È anche così, ma non solo così. “La destra non capisce le
Alpi perché è troppo centralista. La sinistra crede che tutti i
localismi siano forme di razzismo. Rifiuta il grande discorso di
Pasolini, quello della resistenza all’imperialismo culturale e all’omologazione."
(Daniela Borsato) |
S
Autore: Donato SALVIA
Titolo: La mia mano destra
Editore: Bonfirraro
Anno: 2011 |
Un testo informativo, e nello stesso tempo narrativo,
sull’handicap, raccontato in forma colloquiale da una persona colpita per errore
da uno svantaggio, offre lo spunto per riflettere. L’errore è rappresentato,
nello specifico, da un medicinale (commercializzato tra il 1959- 1965)
prescritto alle donne gravide, come sedativo e antinausea. Il principio attivo
del farmaco, il Talidomide, poteva provocare nei neonati gravi malformazioni
agli arti. Donato Salvia, l’autore, è una delle tante vittime e, senza la
pretesa di essere uno scrittore [“ Io non posso ritenermi uno scrittore.[….] Io
sono uno a cui piace raccontare le cose per cui se questo libro non lo trovate
di alto livello o ben scritto, come dovrebbe, perdonatemelo……”], lancia nel
testo un messaggio a sostegno dell’integrazione: “ Sostenere che tutti siamo
uguali è pura follia ed è controproducente[…….] L’integrazione parte dalla
tolleranza , ma se non passa dall’intelligenza di entrambe le persone - la
categoria protetta e la categoria protettrice - sarà sempre causa di scontri e
di lotte secondo me improduttive. Quindi se il mio libro potesse aiutare le
persone ad avere meno compassione per chi ha dei problemi e potesse aiutare
qualcuno a mettersi in discussione malgrado la propria situazione, avrei già
guadagnato più di quello che si possa immaginare. Per me sarebbe veramente una
buona paga”.
Emblematica l’immagine stampata sulla copertina, in cui l’autore viene ritratto,
ai tempi della Scuola Materna, con la sua mano destra focomelica ben nascosta da
una macchinina, segno di disagio nei confronti della “ diversità” nei tempi
andati e nel contempo di grande tenerezza. La stessa tenerezza che aleggia nel
racconto nei momenti in cui Donato ricorda sua madre, imbarazzata ed impreparata
a rivelargli la verità.
(Maria Pompea Coluzzi) |
Autore: Béatrix SAULE
Titolo:
La giornata di Luigi XIV
Editore: Sellerio
Anno: 2006
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Davvero impeccabile la ricostruzione di questa giornata,
una fra le tante del lungo regno del Re Sole. Non una qualsiasi, però, anzi,
forse la più bella: è il 16 novembre del 1700 e Luigi ha appena saputo che suo
nipote Filippo D’Anjou è stato designato dal re di Spagna Carlo II nel suo
testamento come suo legittimo successore. I Borbone stanno per soppiantare gli
Asburgo sul trono spagnolo e per Luigi XIV sembra finalmente realizzarsi il
sogno di “riunire i Pirenei”.
Béatrix Saule, conservatore capo del castello di Versailles e specialista del
periodo, ripercorre nei minimi dettagli, da mezzanotte a mezzanotte, i vari
momenti – i pochissimi di solitudine e di intimità, i tanti sotto l’occhio del
pubblico – della giornata del sovrano, col suo cerimoniale rigido e quasi
immutabile. Talmente immutabile che l’autrice riesce a colmare i vuoti storici
riferiti a quella precisa data pescando a piene mani in una documentazione
copiosa e autorevole sulla vita quotidiana alla corte del Re Sole: i Mémoires di
Saint-Simon, quelli di Sourches, di Dangeau, le cronache di Breteuil, le lettere
di Madame Palatine o di Madame de Sévigné, per non citare che alcune delle
fonti.
Béatrix Saule si è divertita a andare a caccia del dettaglio mancante, del
particolare che invano potremmo cercare nelle cronache ufficiali o nelle pagine
di storia, e ci ha restituito così il quadro vivo e palpitante di un personaggio
e di tutta un’epoca.
(Monica Anelli |
Autore: Roberto SAVIANO
Titolo: Gomorra
Editore: Mondadori
Anno: 2006
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È difficile se non impossibile parlare di
camorra in un territorio come quello campano.
L’argomento è tabù; parlarne ad un pubblico vasto non conviene,
perché chi ti è intorno fa terra bruciata, perché le persone
iniziano ad insultarti, a parlare male di te, ad additarti come
“quello che parla male della zona in cui vivo”, “quello che ci ha
fatto diventare la vergogna d’Italia”. Non conviene perché se
esageri puoi rischiare la vita.
Saviano ha avuto il coraggio, che manca a troppe persone, di far
parte di un osservatorio sulla camorra, di entrare in contatto con
la malavita organizzata locale, di fare i nomi.
Il libro racconta lo sviluppo dell’imprenditoria cinese nel
Napoletano, le grandi potenzialità di questo territorio che sono
sfruttate sì, ma dalla camorra. Interi palazzi a Napoli sono
sventrati e all'interno, negli spazi recuperati, vengono stipate
tonnellate di merci. A Napoli e dintorni non si vedono mai funerali
di cinesi nonostante siano presenti in gran numero, perché già
quando partono dal lontano oriente stipulano una sorta di contratto
in cui si stabilisce che dopo morti saranno rispediti in Cina
all'interno di container. Al loro posto verranno rispediti in Italia
altri cinesi "con tutti i documenti a posto". I documenti del morto.
Il porto di Napoli è un inferno. Può capitare (ed è capitato) che si
rompa un container: all'interno si possono trovare decine di
cadaveri. La criminalità organizzata è presente nell’edilizia: mezza
Italia è stata costruita da imprese edili napoletane e casertane.
Una vera e propria maledizione, perché il territorio non si
arricchisce, tutti i profitti vanno agli imprenditori del crimine.
Il territorio tra Napoli e Caserta è invaso da rifiuti tossici e
nocivi che provengono dalla Toscana, dal Veneto, dal Piemonte ecc.
L'ecomafia si fa carico per quattro spiccioli di smaltire nelle
campagne tra Marcianise ed Aversa tonnellate di rifiuti tossici e
nocivi. Si va dall'amianto ai radioattivi. “Gomorra” nella prima
parte ti trascina in un vortice di sensazioni ed emozioni, mentre
nella seconda racconta i meccanismi, l’organizzazione, il business
che stanno dietro a questa parola-tabù. Saviano è parte del suo
racconto, non si arroga il diritto di giudicare tutto dall’alto, né
descrive superficialmente ciò che racconta.
“Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera. Io voglio
diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche,
voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in
un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il
mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda
veramente. Voglio morire ammazzato.” (lettera di un ragazzino
rinchiuso in un carcere minorile)
”Saviano è un fissato, dipinge Napoli come l’inferno. Catania è
peggio di Napoli.” (dichiarazione del sindaco di Napoli)
(Giuseppe Landolfi) |
Autore: Daniele SCAGLIONE
Titolo: Istruzioni per un genocidio
Editore: EGA
Anno: 2005
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Daniele Scaglione, per quattro
anni presidente della sezione italiana di Amnesty International,
ricerca le cause del genocidio rwandese del 1994, ma soprattutto il
perché dell’indifferenza del resto del mondo di fronte ad un massacro
di così vasta entità. Nella sua ricostruzione dei fatti,
peculiarmente documentata, tenta di comprendere come questa scelta
abbia
trovato giustificazione. Il genocidio rwandese non ha rappresentato
una delle tante crisi, bensì uno degli eventi più tragici di fine
millennio. In Rwanda, il paese delle mille colline, una gran parte di
cittadini si è preparata a massacrarne un’altrettanta gran parte
grazie a una meticolosa e scientifica persuasione che ha utilizzato i
moderni mezzi di comunicazione come radio e giornali.
Un libro che apre molti interrogativi anche sul mondo occidentale che,
pur celebrando ogni anno la Shoah in memoria del genocidio ebreo,
è rimasto inerte ed insensibile di fronte ad un evento altrettanto
drammatico consumato ai giorni nostri. (Teresa
Ducci) |
Autore: Nicolò SCIALFA
Titolo:
La scuola negata – La radiografia di un disastro e le ragioni di una
speranza
Editore: De Ferrari
Anno: 2009 |
Scrivere un libro sulla scuola di oggi non è
cosa facile. Un po’ perché è un tema su cui è già stato detto
moltissimo, un po’ perché si tratta – come è facilmente immaginabile
– di una questione di lana caprina. Con l’ulteriore specifica, en
passant, che la capra deve essersi rotolata per qualche settimana in
un cespuglio di rovi: in effetti l’argomento è anche piuttosto
spinoso. E come in tutti gli argomenti spinosi, il rischio è quello
di dire da un lato cose scontate e banali, dall’altro cose scomode.
Scialfa però di cose banali non ne dice; può dirne qualcuna di
scontata, ma solo nell’ambito strettamente necessario a fornire le
informazioni indispensabili ai non addetti ai lavori, che vengono
così messi in grado di avere chiaro un quadro su cui formularsi un
giudizio. Di cose scomode, in compenso, ne dice moltissime.
La prima parte del libro è un vero e proprio j’accuse contro una
gestione dissennata che in poco più di trent’anni ha portato allo
sfacelo la scuola italiana e, con essa, il senso profondo della
cultura, dello studio e dell’edificazione intellettuale a cui i
valori dell’istruzione dovrebbero condurre. L’autore, attualmente
preside di uno dei maggiori istituti tecnici genovesi, denuncia
questa politica fallimentare non tanto con violenza, quanto piuttosto
con l’amarezza di chi ama profondamente la scuola e alla scuola ha
dedicato la vita.
Non va bene la scuola del sei politico, dell’ope legis e del
politicamente corretto; non va bene la scuola ridotta a fabbrica di
posti di lavoro a prescindere, a serbatoio di elettori, a succursale
becera dei sindacati. Non va bene, in definitiva, la scuola che non
metta la persona e i valori della cultura al centro di quella cosa
delicatissima e quasi magica che è il processo di crescita
dell’individuo attraverso un percorso educativo.
Sarebbe al contrario necessaria – e questa è la seconda parte del
libro, costruttiva, che apre alla speranza – una scuola che
trasmettesse dei valori e dei contenuti, che siano quelli della
civiltà, della cultura, della mente e dello spirito. Per fare questo
la terapia è una sola: massima serietà, insegnanti preparati e
motivati, incentivati anche sul piano economico, dirigenti che
sappiano fare il loro dovere e che pensino alle implicazioni
didattiche – e non aziendali – della scuola. E meritocrazia, senza
deroghe. Esami, concorsi, valutazioni. E presto, che non c’è più
tempo, e la scuola italiana non può permettersi di perderne altro: ne
va della formazione delle generazioni future, destinate a vivere in
un mondo sempre più difficile.
L’autore si esprime in uno stile semplice, informale e diretto, ma
non manca di fondare le sue affermazioni sul pensiero e sull’esempio
dei grandi maestri, di cui vengono spesso citate le parole: grandi
pensatori come Baruch Spinoza, Marc Bloch e Benedetto Croce, ma anche
uomini impegnati nel sociale come Don Lorenzo Milani e Don Andrea
Gallo, o docenti universitari come Francesco Cataluccio o Claudio
Costantini.
Un libro idealista? Forse… ma per fare le cose e avere possibilità di
successo bisogna crederci con convinzione, con dedizione, con
passione. E Nicolò Scialfa ci crede.
(Paola Lerza) |
Autore: Scuola di Barbiana
Titolo: Lettera ad una professoressa
Editore: Libreria Editrice Fiorentina
Anno: 1967 |
“Sulla parete della nostra scuola c’è scritto: I care.
Me ne importa, mi sta a cuore.”
Non ce l’ho più, questo libro. La copia che possedevo e
che ho praticamente imparato a memoria è letteralmente andata
in pezzi e si è persa nei meandri della casa paterna. Era
un’edizione mal stampata e mal rilegata, copertina bianca con
scritte in azzurro, spartana al limite della povertà, come si
addiceva a un’opera collettiva della scuola di Barbiana, Don Lorenzo
Milani non compariva nemmeno con il suo nome. In un sito
di insegnanti non credo di dover spiegare di cosa parla “Lettera ad
una professoressa” e che cosa ha rappresentato per la nostra
generazione. Oggi Lorenzo Milani è dimenticato. Forse luoghi come
Barbiana non esistono più, forse abbiamo l’illusione che non ci sia
più bisogno di lavorare perché Gianni abbia le stesse opportunità di
Pierino. Ma io credo che se il priore di Barbiana fosse qui oggi,
radunerebbe intorno a sé tanti Gianni che si chiamerebbero però
Ahmed o Wang. Ora sono loro ad aver bisogno della lingua che li
faccia eguali al padrone.
“…ho imparato che il problema degli altri è eguale al
mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è
l’avarizia.”
(Daniela Borsato) |
Autore: Luis SEPULVEDA
Titolo: Il generale e il
giudice
Editore: Guanda
Anno: 2003 |
“Abbiamo imparato a vivere con quelli di cui sentiamo
la mancanza, perché sono parte di noi, perché sappiamo come mai ci
mancano e perché la loro assenza la colmiamo di
orgoglio.”
Quando il generale Pinochet, il 16 ottobre 1998, viene
arrestato a Londra su mandato del giudice spagnolo Garzón, l’autore
si trova in Italia. Per due anni spera in una qualche sorta di
giudizio che renda giustizia al Cile, ai suoi compagni desaparecidos
e anche a lui stesso, torturato e costretto all’esilio. Ma le sue
speranze rimangono deluse. Il generale ritorna in Cile trionfante e
impunito: appena scende dall’aereo, si rialza sprezzante dalla sedia
a rotelle che aveva usato per farsi credere malato. Questo libro
raccoglie gli articoli che Sepúlveda ha scritto in quel
periodo su giornali e riviste di vari paesi, per tener fede al
“sacro ufficio della memoria” nei confronti di un’odiosa dittatura e
delle sue vittime. Solo a tratti si ritrova qui il Sepúlveda
narratore che conosciamo: troppa è l’indignazione, troppo grandi
sono la passione e poi la delusione. Troppo importante è il compito
di richiamare alle ragioni della giustizia contro le comode amnesie
del potere, in Cile e altrove. “Scrivo per amore delle parole che
amo… scrivo perché ho memoria e la coltivo scrivendo della mia gente,
degli abitanti emarginati dei miei mondi emarginati, delle mie
utopie derise.”
(Daniela Borsato) |
Autore: Beppe SEVERGNINI
Titolo: L’italiano, lezioni
semiserie
Editore: Rizzoli
Anno: 2007 |
Cari colleghi, vi sentite mai infastiditi
quando i genitori dei vostri alunni vi danno tranquillamente del tu,
oppure vi salutano con un ciao al supermercato come fossero vostri
amici di lunga data? Io sì, e molto. Quando ho iniziato a insegnare
ho attribuito questo comportamento alla mia giovane età (avevo 22
anni), ma ora che di anni ne ho quasi 34 posso constatare che le
cose non sono cambiate. Non è questione di superiorità: è questione
di ruoli, educazione, pertinenza linguistica.
Questo è solo uno degli argomenti che Severgnini affronta nel suo
saggio semiserio, ironico, divertente.
L’autore tratteggia, velocemente, ma a mio avviso in modo efficace,
quello che è il panorama linguistico nell’Italia di oggi: errori, o
cattive scelte linguistiche, che a volte sono più vicine
all’ignoranza (sempre linguisticamente parlando), altre volte alla
mancanza di gusto e alla maleducazione. Il saggio ha uno scopo:
aiutarci a parlare e a scrivere meglio, fornendo anche semplici
consigli… non per niente l’autore lo dedica a tutti coloro che
scrivono da cani!
(Fanny Grespan) |
Autore: Giuliana SGRENA
Titolo: Fuoco amico
Editore: Feltrinelli
Anno: 2005 |
Giuliana Sgrena racconta il suo sequestro da parte di
sedicenti mujaheddin iracheni. Non racconta particolari inediti, non
riporta rivelazioni clamorose, si guarda bene dall’avanzare ipotesi
sulle motivazioni del suo rapimento e sui retroscena dell’assassinio
dell’agente del SISMI Antonio Calipari da parte degli americani.
Evita con cura accentuazioni emotive della sua drammatica
esperienza, svolge insomma con grande rigore il suo mestiere di
giornalista.
Il racconto del sequestro e della liberazione è
inserito in un reportage puntuale, preciso e proprio per questo più
allarmante, della realtà irachena: l’assedio di Falluja, le difficoltà della vita
quotidiana, la crescente islamizzazione del paese, la condizione
della donna, le fazioni in lotta per il controllo del territorio, la
farsa delle elezioni, la resistenza, il terrorismo. Giuliana Sgrena
non ha accettato di far parte degli embedded, i giornalisti
al seguito degli americani, che non lasciano l’albergo e girano con
la scorta fornita dagli occupanti. Non è questa la sua idea sul fare
informazione. “Fuoco amico” ha un doppio significato: i colpi
sparati dagli americani contro cittadini di un paese alleato, ma
anche il sequestro di una persona che si era sempre impegnata per la
pace e contro l’occupazione.
“Perché proprio me? È la domanda che mi ha tormentata durante la prigionia.
Che fortunatamente è finita. E poi, l’angoscia: perché proprio
Nicola Calipari? Avremo mai una risposta? Non possiamo rinunciare a
cercare la verità."
(Daniela Borsato) |
Autore: Agnese SILVESTRI
Titolo:
Il caso Dreyfus
e la nascita dell'intellettuale moderno
Editore: Franco Angeli
Anno: 2012 |
L’autrice, ricercatrice di letteratura francese
all’Università di Salerno, si cimenta nell’esposizione di uno dei casi più
eclatanti di errore giudiziario francese del XIX secolo focalizzando
l’attenzione su un risvolto di fondamentale importanza: la nascita di una nuova
concezione dell’intellettuale.
Nel 1894 un capitano d'artiglieria francese di estrazione ebrea, Alfred Dreyfus,
ingiustamente accusato di spionaggio a favore dei tedeschi viene condannato alla
deportazione all’isola del Diavolo. Solo una intensa campagna di stampa,
condotta dallo scrittore Emile Zola, permette di riabilitarlo riconsegnandolo
alla società civile.
Il libro, attraverso una approfondita ricerca bibliografica, ripercorre le tappe
essenziali del celeberrimo caso, dalla condanna nel 1894 alla riabilitazione nel
1906, mettendo in evidenza l’importante ruolo degli intellettuali nella
salvaguardia della Verità e della Giustizia.
L’ articolo apparso sul giornale “Aurore”, in cui Zola esplicitava il suo
“J’accuse” nei confronti del potere, innesca non solo un acceso dibattito, ma la
riapertura del caso. Si trattava di una lettera aperta al Presidente della
Repubblica francese Félix Faure, in cui lo scrittore denunciava l'arbitrio
giudiziario e la manipolazione dell'informazione a vantaggio del consolidamento
di una cultura antisemita.
Il dibattito che ne scaturì spaccò la nazione tra i sostenitori della
colpevolezza ed innocentisti: antidreyfusardi e dreyfusardi.
È da questo infiammato dibattito, a volte dai toni efferati, che emerge una
figura nuova dell’intellettuale che rivendica la propria funzione socio-politica
nella definizione della cultura di un popolo. Con questa orgogliosa
rivendicazione, Zola trascina molti altri intellettuali ad assumere, attraverso
la difesa del capitano ebreo, la più ampia difesa dei diritti all’Uguaglianza,
alla Giustizia e alla Verità così faticosamente conquistati con la Rivoluzione
Francese.
Il saggio intreccia con dovizia la narrazione dei fatti supportati dalla
traduzione dei documenti e la riflessione personale dell’autrice. Nel leggerlo
spesso vengono richiamati alla mente confronti con situazioni politiche attuali
che mettono in guardia il lettore dalla persuasione che i diritti siano
acquisiti per sempre e dalla possibilità di recrudescenze culturali. Un invito a
tenere sempre alto il livello di guardia sulle dinamiche socio-politiche e sulle
trasformazioni culturali. Molto interessante.
(Teresa Ducci) |
Autore: Raffaele SIMONE
Titolo: Il Paese del pressappoco
Editore: Garzanti Editore
Anno: 2005
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Simone, che è un linguista e non un
politologo, analizza in questo saggio l’insofferenza che prova nei
confronti della società italiana che lo circonda. Fa questo
presentando e analizzando tracce, lettere ai giornali, articoli di
quotidiani, proverbi, frammenti di discorsi e riportando giudizi di
grandi scrittori italiani e stranieri.
Il saggio è costruito come un insieme di lettere a un amico che ha
deciso di lasciare definitivamente l’Italia perché le cose non vanno
e non si intravede un cambiamento profondo all’orizzonte. Simone
giunge a delle conclusioni piuttosto amare. Ciò che, secondo lui,
rende l’Italia “il maggiore dei Paesi minori” è la mancanza di senso
civico dei suoi cittadini. Gli esempi riportati dallo scrittore sono
tanti e tutti portano a fenomeni quali il furbismo, il
pressapochismo, il perdonismo, il servilismo, il bullismo, il
consociativismo e altri ancora. Gli italiani non hanno rispetto del
bene comune, non si sentono parte dello Stato ma vedono in quest’ultimo
un nemico. Ciò fa sì che in Italia, per esempio, rispetto agli altri
Paesi europei, le stazioni siano sporche e scarsamente illuminate,
le file negli uffici lunghe, i moduli da compilare complicati e via
di seguito. In Italia, dice Simone, il senso della collettività e la
consapevolezza dell’altro e dei suo diritti sono molto bassi. Così
la cosa pubblica è usata da tutti senza limiti tanto da rimanere
distrutta nell’uso.
Analisi spietata e molto attuale della società italiana.
(Gabriella Rapella) |
Autore: Gian Antonio STELLA
Titolo: Avanti popolo
Edizioni: Rizzoli
Anno: 2006
|
Chiedo scusa se mi autocito: “… si ha la
molesta impressione che l’autore potrebbe disegnare altrettanti
ritratti di uomini dell’altra parte. Ma ci si può sempre illudere
che sarebbe un po’ più faticoso trovare tanta negatività.” Questo
scrivevo nella recensione a “Tribù S.P.A.”
L’ha fatto: Stella in questo libro raccoglie una serie di ritratti
degli uomini dell’Unione che hanno vinto le elezioni. La tecnica è
sempre la stessa: cogliere di ciascuno le contraddizioni, le
debolezze, i lati ridicoli, per costruire un ritratto che quasi
sempre demolisce la serietà e la rispettabilità costruite da mass
media sempre compiacenti verso il potente di turno. Eppure questa
volta non è tutto negativo: qualcuno si salva, ad esempio le
rarissime donne. Se davvero la qualità umana e intellettuale dei
politici di sinistra sia mediamente superiore, o se sia l’autore a
non essere del tutto imparziale, giudicherà il lettore. Il libro è
come sempre godibile e divertente. Segnalo in modo particolare le
cattivissime pagine dedicate ai due ultimi sindaci di Roma, Veltroni
e Rutelli: specie quest’ultimo è spietatamente analizzato nel suo
percorso politico, umano e religioso tutt’altro che lineare.
(Daniela Borsato) |
Autore: Gian Antonio
STELLA
Titolo:
L’orda (quando gli albanesi eravamo
noi)
Editore: Rizzoli
Anno: 2002
|
Gian Antonio Stella
ricostruisce non tanto una storia dell’emigrazione italiana, quanto
la vicenda dei pregiudizi, dell’intolleranza, degli episodi tragici
e violenti che hanno accompagnato gli emigrati italiani, in diversi
paesi e in diverse epoche.
Scopriamo così che
siamo stati anche noi “albanesi”. Sporchi, ignoranti, violenti. Che
abbiamo venduto bambini, gestito prostituzione e traffici illeciti,
che negli stati Uniti eravamo considerati “di colore”. Che la nostra
emigrazione in gran parte è stata clandestina esattamente come
quella degli extracomunitari di oggi. Ed è storia dell’altro ieri:
l’ultimo clandestino italiano caduto al passo della Morte, appena
oltre Ventimiglia, vi si schiantò nel 1962.
La bella favola degli
italiani amati e apprezzati in tutto il mondo, al contrario degli
immigrati di oggi, è clamorosamente smentita da fatti rigorosamente
documentati.
Il libro è stato,
com’è ovvio, violentemente contestato dalla Lega. Significativo il
commento dell’allora sindaco di Treviso, Gentilini: "Purtroppo oltre
agli immigrati dobbiamo sopportare anche un talebano di casa
nostra".
(Daniela Borsato) |
Autore: Gian Antonio
STELLA
Titolo: Tribù
S.P.A. Foto di gruppo con cavaliere bis
Editore: Feltrinelli
Anno: 2005 |
Tutti gli uomini e le donne di Berlusconi. La mappa
delle persone in questo momento più potenti d’Italia, viste nelle
loro gaffes, nei difetti, nelle debolezze, il tutto rigorosamente
documentato a prova di querela. Ritratti disegnati impietosamente
dalle dichiarazioni dei personaggi e talvolta dagli atti
giudiziari. Non si salva nessuno, l’effetto è “fanno ridere per
non piangere”. Il pressappochismo, l’ambizione, l’ossequienza verso
il potente di turno, la pochezza culturale e morale, l’indifferenza
verso le proprie contraddizioni, scoraggiano qualsiasi tentativo di
assoluzione. Si potrebbe ridere, e si ride, in effetti, ma è una
risata amara, perché questi personaggi così spesso apparentemente
ingenui diventano furbissimi quando si tratta dei propri interessi o
di quelli del padrone. In un altro momento e in altre condizioni
molti di essi sarebbero ospiti delle patrie galere. Con la stessa
tecnica, il collage di dichiarazioni e di documenti abilmente
estrapolati dal contesto, si ha la molesta impressione che l’autore
potrebbe disegnare altrettanti ritratti di uomini dell’altra parte.
Ma ci si può sempre illudere che sarebbe un po’ più faticoso trovare
tanta negatività.
(Daniela Borsato) |
T Autore: Angela TERZANI STAUDE
Titolo: Giorni giapponesi
Editore: TEA
Anno: 2009 |
Cinque anni di storia contemporanea, cinque anni di vita trascorsa tra
tradizioni uniche e talvolta spietate in un Paese-icona di avanguardia, nonché
di incessante ricerca di rigorosa modernità. Ecco il Giappone di Angela Terzani
Staude, che fa del suo diario nipponico questo avvincente racconto in cui
racchiude pensieri, emozioni, impressioni, curiosità dei suoi lunghi giorni
vissuti al fianco del noto marito giornalista Tiziano Terzani, in una delle loro
straordinarie esperienze asiatiche. E l’autrice stessa, da questa avventura
quinquennale, riscopre nell’anima del Giappone un grandioso esempio di coraggio
e tenacia, caratteristiche proprie di una grande potenza mondiale, una vera
centrale del potere industriale. Forse proprio per la sua grandezza politica ed
economica, questo affascinante Paese del sushi e sashimi è obbligato a reggersi
sulla forza inesauribile degli “uomini-salario”, sulle silenziose attese delle
loro brave mogli, sui divertimenti notturni di quest’uomo-macchina nei numerosi
love hotels che l’azienda offre per risarcirlo dal faticoso dispendio energetico
lavorativo. Scrutatore è lo sguardo dell’autrice, che non esprime giudizio verso
questa società del guadagno, ma che in fondo patisce per tutte quelle mama-san
pronte a svendersi a favore di un’avida mentalità del possesso. Una vera
finestra sul mondo questa sincera lettura, da non perdere per tutti gli
appassionati che sanno mescolare arte, cultura, storia insieme agli accesi
colori di un Giappone antico e sempre attualissimo, tutto da scoprire.
(Elisabetta Pandolfo) |
Autore: Tiziano TERZANI (a cura di Folco TERZANI)
Titolo:
La fine è il mio inizio
Editore: Longanesi
Anno: 2006 |
Un padre si avvicina alla fine, chiama il figlio per
raccontargli la sua vita: sarà lui, Folco, a scrivere questo suo ultimo libro.
Va detto subito che non è una storia triste, per nulla. Perché il protagonista è
Tiziano Terzani, così niente è come sembra. Un giornalista famoso, certo: un
testimone di eventi epocali, uno a cui la Storia è passata vicino, proprio sotto
il naso, un’infinità di volte. Ha visto la presa di Saigon, è stato espulso
dalla Cina durante la rivoluzione culturale, è stato catturato e rilasciato dai
khmer rossi in Cambogia… Ma non è per avere informazioni storiche che vale la
pena di leggere questo libro. Se invece vi interessa sapere come i cinesi di un
tempo allevavano i grilli, perché il Giappone provoca una terribile depressione,
quanto si può essere felici meditando in un capanna sull’Himalaia, allora
provate a seguire le conversazioni tra Folco e suo padre. Niente è come te lo
aspetti. Un testimone della storia che rifiuta in modo radicale la sola idea di
potere. Un uomo che si veste, mangia, vive come un santone indiano, ma sceglie
di tornare a morire là dove è partito, in Toscana, tra i suoi cari. La frase
ripetuta più spesso è: "Sono stato un uomo fortunato". Così non c’è tristezza,
non c’è rimpianto in queste pagine. Piuttosto molte domande, anche alcune
risposte, ma personali e discutibili. E poi senso dell’umorismo, curiosità,
coraggio. "Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà
aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della
propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così
forte."
(Daniela Borsato)
Ogni strada ha un inizio e una fine, soprattutto in quell’incomprensibile
viaggio che è la vita. Cos’è la fine? Esiste veramente un confine superato il
quale vi è il nulla? In realtà non potrebbe germogliare un fiore se non dopo la
morte di un piccolo seme e la fine di qualcosa è solo l’inizio di qualcos’altro.
In questo “altro” sta il grande mistero di ciò che non ci è dato sapere a priori
e, pertanto, tentare di spiegarlo accrescerebbe solo l’illusione dell’uomo di
poter conoscere tutto. A cosa varrebbe dunque vivere?
Tiziano Terzani ha vissuto l’intera vita viaggiando, prima di capire che il vero
viaggio che compiva era la sua stessa vita. La sua lunga e stimabile carriera
giornalistica gli ha permesso di vivere in prima persona grandi eventi della
storia, tastando i terreni maestosi dell’Oriente il quale, oltre ad esercitare
un indiscutibile fascino, fu vetrina di stragi e rivoluzioni epocali.
Da brillante giornalista quale era ha sempre avuto il desiderio di conoscenza,
del “nuovo”, dello sconosciuto, cercando di essere il primo a farne notizia,
scomodando le verità, ostentando spesso irriverenza e infinita curiosità.
Per Terzani il giornalista non è quello che scrive, impersonale, lo scoop di
prima pagina, bensì quello che entra nei fatti, nella cultura del Paese, nella
mentalità delle persone. Lui diventa proprio una di quelle persone, le studia,
ne impara le abitudini, ne scopre il mistero. Il senso del viaggio non è la mèta
ma il percorso e l’incontro che, strada facendo, ti avvicina ai tuoi compagni di
avventura. Così Terzani, da modesto abitante del Monticelli, il quartiere
popolare di Firenze in cui nasce, diventa uomo di grande cultura, dalle
molteplici risorse e abilità, senza tuttavia perdere mai di vista la sua
dimensione umana.
La scoperta della malattia è la grande molla della sua vita fino agli
ultimi momenti. Dopo aver rincorso gli avvenimenti per anni, dal Vietnam alla
Cina, alla Cambogia fino all’India, decide di andare alla scoperta di un mistero
più grande: se stesso. In un lungo dialogo col figlio, che è questo
appassionante libro, Terzani lascia al mondo, in particolare ai giovani, il
senso profondo di ciò che è stato questo viaggio, il significato di questo
continuo cammino. Dopo aver assistito a tragiche violenze, guerre, colpi di
Stato, incoraggia il mondo a non cercare la pace attraverso
altra violenza, ma di avvalersi di pensieri propri, perché le alternative
esistono se uno le vuole trovare. Ci insegna che non bisogna rinunciare ai
propri ideali, alle proprie aspirazioni. Terzani è emblema del pensiero
asiatico, abbraccia l’idea che non bisogna cercare troppo lontano quella verità
che spesso è dietro l’angolo, ma è il nostro atteggiamento di fronte ad essa a
palesarla. Più d’ogni altra cosa esorcizza forse la più grande paura dell’essere
umano: quella di soffrire e, morendo, distaccarsi da tutto. Distaccarsi da se
stessi, da cosa uno è stato, è diventato, ha ottenuto. Distaccarsi dalle proprie
cose, dai propri affetti. La verità, che ben conoscono i rishi indiani, è
che la sofferenza viene dall’identificarsi con le cose, le persone, il proprio
lavoro o la propria famiglia, invece di guardare al mondo come a un continuo
divenire, un’incredibile armonia tra gli opposti. Il viaggio è la speranza del
cambiamento e la vita è il viaggio per eccellenza. È il viaggio di un
giornalista nel mondo, il viaggio di un uomo nella storia, il viaggio dentro una
malattia incurabile, dentro se stessi.
Questo libro è il resoconto di una vita in cui Terzani è stato tante cose e in
fondo niente, giornalista, scrittore, padre, marito e infine uomo. Tutto che
diventa nessuno. È un dialogo, un’intima confessione col figlio Folco cui affida
le sue memorie, dato che lo stesso Terzani ritiene che solo i libri e i figli
possano garantire, in un certo senso, l’immortalità.
Cosa lascia dunque Terzani alla fine del suo viaggio? Lascia una vita vera in
cui si è riconosciuto, che ha amato per le sue diversità, ma da cui si è anche
distaccato, e che alla fine ha deciso di concludere non in una delle grandi
città della Cina o dell’India, ma in un piccolo cantuccio familiare dell’Orsigna
parlando al figlio Folco di quanto bello sia andare incontro ad una fine che non
spaventa, ma che è un fantastico inizio. Emozionante ed intenso l’ultimo
capolavoro firmato Terzani e pubblicato dal figlio dopo la sua morte avvenuta
nel 2004.
(Elisabetta Pandolfo) |
Autore: Tiziano TERZANI
Titolo:
Lettere contro la guerra
Editore: Longanesi
Anno: 2002 |
L’11 settembre 2001 Tiziano Terzani
si trova nella sua casa di Orsigna, vicino a Firenze, e si prepara a
passare l’inverno in Himalaia, come fa da molti anni. Si è ritirato
dopo aver scritto per anni indimenticabili corrispondenze dall’Asia
per Der Spiegel e altri giornali europei. In Asia ha cercato per
decenni di comprendere quel mondo, la sua spiritualità, la sua
diversità, fino ad identificarsi con esso nel modo di vivere e anche
nell’aspetto esteriore, ma riuscendo a rimanere fondamentalmente
“fiorentino, un po’ italiano, sempre più europeo”. Incongruamente,
di fronte all’orrore delle Torri Gemelle, non riesce a togliersi
dalla mente una strana espressione: “una buona occasione”. Questa
catastrofe può davvero essere una buona occasione per l’Occidente,
per rivedere i suoi rapporti con il resto del mondo, l’Oriente,
l’Islam. Invece dopo pochi giorni è chiaro che l’occasione è
perduta. E nei mesi successivi Terzani riprende il suo cammino da
inviato, viaggia in Afghanistan, in Pakistan, in India, e scrive
questi articoli per il “Corriere della sera”. Sono passati quattro
anni e sembra un secolo: quello che Terzani cercava di scongiurare
non solo è accaduto, ma non fa nemmeno più notizia. I grandi
dibattiti sulla guerra, le manifestazioni in cui hanno sfilato
milioni di persone, sono passati di moda. Le bandiere arcobaleno
sono tutte scolorite. Intanto, dopo aver distrutto l’Afghanistan,
ora in mano ai signori della guerra e ai mercanti di droga, invaso
l’Iraq, in preda alla guerra civile con centinaia di morti al giorno
di cui nessuno parla più, l’America di Bush si prepara alla guerra
contro l’Iran. Bin Laden non è stato catturato, il terrorismo
islamico ha trovato migliaia di nuove adesioni e miete vittime in
tutto il mondo. Tiziano Terzani è morto nel 2004. Dopo questo libro
ha pubblicato “Un altro giro di giostra” il racconto autobiografico
della sua malattia e del suo estremo viaggio tra America e Oriente,
tra medicina e magia, tra spirito e scienza. Un’altra “buona
occasione”, l’ultima, per cercare di capire.
(Daniela Borsato) |
Autore: Marco TRAVAGLIO
Titolo: La scomparsa dei
fatti
Editore: Il Saggiatore
Anno: 2006 |
L’Italia è un Paese di poeti, santi, navigatori
e… opinionisti. Schiere di commentatori o sedicenti tali invadono
con le loro chiacchiere tivù, radio e giornali, discettando di
calcio, politica o delle ultime intercettazioni a qualche
personaggio noto con la stessa noiosa prosopopea. Se le opinioni
abbondano, però, i fatti – ahinoi! – scarseggiano. Perché a volte i
fatti è meglio nasconderli, in tutto o in parte, per mille motivi;
soprattutto perché un cittadino disinformato è una preda più
arrendevole per chi ha interesse ad abbindolarlo.
Travaglio lancia qui un pesante atto d’accusa contro chi dovrebbe
raccontare i fatti con obiettività, cioè i suoi colleghi
giornalisti. Un giornalista ha il sacrosanto dovere di raccontare la
verità e di raccontarla in maniera chiara e oggettiva. Se non lo fa,
soprattutto se non lo fa deliberatamente, per nascondere o difendere
qualcosa o qualcuno, allora gli dovrebbe essere impedito di
continuare a fare quel mestiere, come accade in altri Paesi. Ma “se
in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia
è il cane da compagnia. O da riporto.”
Implacabile come sempre, forte della limpidezza di dati
inoppugnabili, Travaglio ripercorre molte delle vicende che hanno
occupato le prime pagine di giornali e notiziari non solo italiani
negli ultimi anni, fornendo però anche le versioni “ufficiali”,
quasi sempre molto diverse dalla realtà. Fa nomi e cognomi di chi ha
mentito, di chi ha occultato, di chi si è reso colpevole di
eccessivo servilismo verso i potenti; perché, per dirla con le
parole di Indro Montanelli, “la servitù, in molti casi, non è una
violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”.
“La scomparsa dei fatti” è un libro prezioso, uno squarcio di sereno
nella nebbia della disinformazione.
(Monica Anelli) |
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