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SAGGISTICA     CDE

C

 

Questo libro dovrebbe essere corredato dall’avvertenza che di solito accompagna i farmaci: ha controindicazioni ed effetti collaterali. Controindicazioni: se non sapete niente dei disabili, non leggetelo, vi fareste un’idea sbagliata. Effetti collaterali: attenzione alla glicemia, si rischia l’overdose di melassa grondante buonismo.
Dopodiché vale comunque la pena di leggerlo, perché raccoglie storie vere di vite eccezionali. Il chirurgo-sindaco paraplegico, lo scultore cieco, la ballerina senza braccia, lo scienziato spastico. Uomini e donne che sono riusciti a superare limiti creduti invalicabili.
Quello che disturba è il perenne stupore con cui Cannavò viaggia nell’universo dell’handicap. Sempre sopra le righe, sempre a bocca aperta di fronte a imprese indubbiamente straordinarie, ma anche di fronte al fatto che un disabile possa semplicemente vivere senza piangersi addosso, studiare, lavorare, divertirsi, leggere, suonare, amare e, somma meraviglia, essere amato da un compagno o compagna “normale”. Con il razzismo alla rovescia di chi pensa che per essere “politicamente corretti” si debbano negare le difficoltà, gli ostacoli, i problemi piccoli e grandi che un disabile affronta ogni giorno. Esistono milioni di persone che non danzano alla Scala, non girano il mondo in barca a vela, ma sarebbero perfettamente in grado di dare un contributo valido alla società se venissero rispettati alcuni loro diritti elementari, ad esempio di poter camminare su marciapiedi senza biciclette e motorini o di non trovare auto parcheggiate davanti alle rampe d’accesso. Persone per cui andare a lavorare da soli ogni mattina è già un’impresa. Alcune volte, come nel caso dei distrofici, è un’impresa sopravvivere qualche mese di più. Non per questo desiderano essere considerati eccezionali, non per questo i loro familiari vogliono essere considerati martiri. Ma se vi ritenete vaccinati contro la retorica e i falsi stupori, allora leggete questo libro: vi farà scoprire un mondo vitale e positivo di iniziative, idee, associazioni, gruppi e singoli individui, disabili e non, che vale comunque la pena conoscere. Sempre tenendo presente le avvertenze di cui sopra.

(Daniela Borsato)

 

 

...ma voi siete stupidi, intelligenti, sprovveduti o banditi? La risposta vi verrà dal secondo dei due simpaticissimi saggi che compongono questo lepido libretto: Le leggi fondamentali della stupidità umana. Con un linguaggio che risulta da una sapiente fusione di matematica, statistica, socio-filosofia, psicologia, facezia e sottile umorismo, l'autore - uno studioso di storia e di economia medievale - propone una brillante analisi dei rapporti interpersonali, corredandola opportunamente di teoremi, grafici e corollari.
Giocato sul filo del paradosso e dell'assurdo è anche il primo saggio, di taglio più strettamente storico e socio-economico: Pepe, vino (e lana) come elementi determinanti nello sviluppo economico dell'età di mezzo, vale a dire nel Medioevo. Pepe, vino e lana, cioè spezie, agricoltura e industria tessile. Ma i tre elementi, nell'ottica della parodia, diventano tre potenti afrodisiaci, che contribuiscono non poco all'incremento demografico registratosi dopo l'anno Mille.
Un gioco, certo, un divertissement intellettuale, in uno stile gradevole e frizzante nel quale si coglie il sorriso divertito e bonario del saggio. Al lettore resta il sapore asprigno ma allettante dell'ironia, quella di cui in fondo un po' tutti abbiamo bisogno per... non prenderci troppo sul serio.

(Paola Lerza)

 

 

Paulo Coelho è uno scrittore sudamericano contemporaneo: nei suoi libri egli esprime una profonda spiritualità, alla ricerca della natura dell’uomo e dello scopo della sua esistenza sulla terra. Per lui ognuno di noi ha un cammino da percorrere, uno scopo per cui lottare, per migliorare non solo se stesso, ma anche gli altri uomini, il mondo e l’universo intero. Il guerriero della luce è appunto colui che cerca la propria strada, lotta per superare gli ostacoli, imparando dagli errori commessi, sentendosi sempre in contatto con la natura e con i propri simili, amandoli anche nei momenti di conflitto, accettando chiunque e cercando di aiutare gli altri perché, in questo modo, sa di aiutare se stesso. Il guerriero della luce non è un essere molto diverso da noi, anche lui ha difetti, paure, sbaglia… la differenza è nel fatto che non si arrende mai e lotta per raggiungere gli obiettivi fissati. I suoi fini sono sempre giusti e si muovono nello spirito dell’armonia universale: per questo la natura e l’universo aiutano il guerriero nel suo cammino, perché non va mai contro le leggi cosmiche. Le armi di cui dispone sono la fede, la speranza, l’amore. Egli ha fiducia: poiché sa di essere nel giusto, anche se a volte sbaglia o perde, continua a sperare e va avanti, amando l’umanità e perciò è riamato. Egli conosce la gratitudine, non imbroglia mai, sa leggere nel cuore degli uomini senza lasciarsi ingannare dalle apparenze. Egli sa distinguere le cose importanti e definitive da quelle effimere e passeggere, perciò sceglie di mettere le sue forze a disposizione di ciò che è importante. Egli, a volte, ama restare solo per ascoltare la voce del proprio cuore, la propria coscienza: sa di imparare molto riflettendo su ciò che ha fatto e che vuole fare. Forse non diventerà né importante né famoso, ma sarà consapevole di aver compiuto azioni giuste e di aver portato il proprio contributo al mondo ed all’umanità affinché il domani sia migliore dell’ oggi. Tutti noi possiamo essere guerrieri della luce, offrire il nostro piccolo contributo per migliorare il mondo in cui viviamo, imparando a rispettarci, ad essere onesti, per divenire veri uomini… guerrieri che portano la luce della speranza e la diffondono negli altri irradiando la natura, per dare un futuro migliore all’umanità.

(Gabriella Nasi)

 

Mai, forse, come nelle ultime vicende della politica italiana, un libro è stato così attuale. Sembra esserci un peccato originale nel destino della grande ideologia del XX secolo, quella del Socialismo Reale, che si rifà a Carlo Marx ed al suo libro "Il capitale".
È indubbio che molte delle idee socialiste siano più che giuste: il sogno di rendere tutti uguali e liberi, di eliminare per sempre la fame, la guerra, la povertà dal mondo, di impedire lo sfruttamento dell’umanità sono idee che, forse da sempre, gli uomini hanno vagheggiato; sono le stesse idee che si ritrovano in molte religioni, le stesse idee per cui un uomo è morto sulla Croce duemila anni fa
Cosa è dunque accaduto per cui l’attuazione di tale ideologia ha fallito dovunque, portando miseria invece che ricchezza, spingendo gli uomini alla delazione invece che alla solidarietà, i popoli alla dittatura invece che alla democrazia?
C’era qualcosa di sbagliato negli uomini che hanno cercato di realizzare tali idee o c’è qualcosa di sbagliato nel sistema stesso, nel tentativo di imporre con la legge una nuova giustizia sociale?
Perché, anche nel nostro paese, a partire dal ‘68, i movimenti che si ispirano alle idee “comuniste” hanno fallito, anche quando sono riusciti a prendere il potere? È dunque vero che ci si è illusi di portare il “bene” finendo con il fare del male a noi stessi ed alla gente che volevamo aiutare?
È sempre stata colpa dei cosiddetti “poteri forti” e dei complotti orchestrati dal “nemico” o l’errore sta proprio nel ritenere di possedere la chiave giusta per portare un nuovo “ordine” nel mondo? Non è forse vero che il cambiamento, la “conversione” vanno realizzati al nostro interno prima che imposti dall’esterno, per essere efficaci?
Sono queste le domande che si pone, forse insieme a molti di noi, Mario, il protagonista di questo libro, un ex “ comunista” come ormai molti di noi dicono di essere stati (quando, come Veltroni o Lucio Dalla, non dichiarano di “non essere mai stati comunisti”...).
In piena crisi di identità, sia politica che familiare, Mario incontra tre donne appartenenti a quattro generazioni della stessa famiglia: nonna, nipote e pronipote, giunte in Italia, come migliaia di altre, dopo la caduta del muro di Berlino. Manca una donna, figlia di una e madre dell’altra, nonna della bambina, di cui esiste solo una foto; una donna che dovrebbe avere la stessa età di Mario, una donna i cui occhi lo colpiscono… e sarà proprio per scoprire chi era, dove sia finita, perché sia scomparsa questa donna che Mario farà nuove scelte di lavoro, viaggerà e scoprirà il mondo dei “desaparecidos” dell’ex URSS, il mondo dei piccoli ricatti, delle spie, dei manicomi politici già denunciato, anni e anni fa, dal grande dissidente russo Solgenitzin e, ultimamente, nel film “ Le vite degli altri”.
Un libro, questo della Comencini, da leggere e su cui riflettere, non per rinnegare ideali giusti, ma per cercare un nuovo modo per realizzarli.

(Gabriella Nasi)

 

Amanti e regine ovvero, come recita il sottotitolo, il potere delle donne. Un potere sui generis, ma per molti versi effettivo, quello che ha caratterizzato le donne francesi dell’Ancien Régime, mogli, madri, sorelle, figlie o concubine che fossero. Perché sui generis? Perché non fu mai esercitato in nome di una autorità riconosciuta, ma sempre in qualche modo guadagnato attraverso l’astuzia, l’intelligenza, la bellezza, o approfittando di circostanze favorevoli quando veniva a mancare, per motivi diversi, il potere maschile.
È questa la tesi di fondo del bellissimo libro di Benedetta Craveri, che ricostruisce con dovizia di particolari le vicende di tante di queste donne: dalla volitiva Caterina de’ Medici alla discussa reine Margot, da Anna a Maria Teresa d’Austria, alle tante favorite reali, per finire con Maria Antonietta, figura ancora da decifrare, divisa com’è tra l’immagine della regina inadeguata e insensibile della storiografia repubblicana e antimonarchica e quella di martire diffusa dalla Restaurazione.
Sempre rigorosamente fedele alle fonti storiche e attenta al dettaglio curioso, ma allo stesso tempo dotata di una rara capacità affabulatoria, la Craveri riesce a fare dei ritratti di queste donne tanti piccoli romanzi, al punto che il libro si apprezza meglio se non lo si legge tutto d’un fiato, come effettivamente verrebbe voglia di fare: meglio lasciar decantare ogni storia, ogni vita, prima di tuffarsi in quella successiva. I numerosi aneddoti e i commenti spesso arguti dell’autrice strappano più di un sorriso e rendono la lettura estremamente avvincente anche per i non “addetti ai lavori”.

(Monica Anelli)

 

Nell’immaginario collettivo Maria Antonietta, consorte di Luigi XVI e come lui decapitata nel corso della Rivoluzione Francese, è e resterà per sempre “quella delle brioches”. Che la famigerata frase sia mai stata pronunciata, e nel caso proprio da lei, è ancora tutto da dimostrare, ma tant’è. Eppure la sua figura appare molto più complessa di quanto non risulti dalla storiografia ufficiale e dalle cronache di corte, viziate dal pregiudizio dei Francesi nei confronti della mai amata ”Austriaca”.
In questa breve opera, che si legge d’un fiato, Benedetta Craveri ricostruisce una vicenda che ebbe una portata enorme sull’opinione pubblica francese ed europea negli anni che precedettero la Rivoluzione; lo scandalo, anche in epoche successive, fornì materiale in abbondanza a drammaturghi, romanzieri e storici, ma soprattutto diede il colpo di grazia a una monarchia già prossima al tracollo: come disse Wolfgang Goethe, “(…) intaccò le fondamenta dello Stato, annientò il rispetto verso la regina e in genere verso le classi elevate: giacché tutto quello che venne in discussione non fece che manifestare chiaramente l’orribile corruzione in cui si trovavano impaniati la corte e gli aristocratici.(…)”.
Al centro dell’affaire una costosissima collana di diamanti, apparentemente commissionata proprio da Maria Antonietta ai gioiellieri della Corona, poi fatta sparire e mai pagata. La sovrana fece di tutto per dimostrare la propria estraneità ai fatti, ma per l’opinione pubblica rimase lei l’unica, vera colpevole. Benedetta Craveri propende per la tesi innocentista, ma ricostruisce i fatti sulla base di una rigorosa documentazione storica che, ammette, ancora non consente di fugare tutti i dubbi sulla vicenda e sul comportamento della regina.

(Monica Anelli)

“Quando è entrato in prigione era sano, pesava 52 chili e non aveva malattie né patologie particolari; ne è uscito cadavere, ridotto a uno scheletro di 37 chili, con il volto e il corpo ricoperti di ecchimosi, escoriazioni e tumefazioni”.
Stefano Cucchi muore solo, nella notte fra il 21 e il 22 ottobre del 2009, all’ospedale Sandro Pertini di Roma, mentre si trova in stato d’arresto per il possesso di una modica quantità di stupefacenti. Muore nell’indifferenza di chi gli sta intorno, mentre è affidato allo Stato e a dei medici che dovrebbero avere cura di lui e del suo corpo martoriato; al contrario, nessuno raccoglie le sue accorate richieste di parlare col proprio avvocato, nessuno si rende conto o dà peso al progressivo aggravarsi delle sue condizioni di salute né ai motivi che hanno reso necessario il suo ricovero. Stefano Cucchi muore di noncuranza e forse di pregiudizi: in fondo è un tossico e uno spacciatore, ultimo degli ultimi. Nessuno si sente in dovere di mettere al corrente lui e la sua famiglia delle sue reali condizioni di salute, nessuno dà ascolto a quei genitori che ogni giorno, per una settimana, bussano alle porte del carcere e dell’ospedale chiedendo inutilmente di vederlo e di sapere come sta.
Qualcuno dovrà pur rispondere di questa ingiustificabile incuria e forse di colpe più gravi: perché è probabile che quelle lesioni e quelle fratture Stefano non se le sia procurate cadendo dalle scale, come dichiara. Forse c’è stato un pestaggio, ci sono dei testimoni.
In questo libro, scritto insieme al giornalista Giovanni Bianconi, sua sorella Ilaria ripercorre i giorni bui e angoscianti della detenzione e della morte di Stefano e ci parla di lui: lo fa con amore e tenerezza, ma senza nascondere le fragilità e gli aspetti meno edificanti di una vita persa nell’alcol e nella droga e il dramma di una famiglia che ritrova forza nella determinazione ad arrivare alla verità su questa morte atroce: “Non cerchiamo vendette, ma risposte e decisioni che restituiscano dignità a mio fratello, morto mentre si trovava in custodia dello Stato di cui era cittadino. Forse pensando di essere solo, quando non lo era affatto.”
Grazie alla forza e alla determinazione di Ilaria e della sua famiglia molte prove emergono sulla fine assurda di Stefano e nel mese di aprile 2010, concluse le indagini preliminari, tredici persone fra agenti penitenziari, medici, infermieri e responsabili dell’amministrazione carceraria risultano indagati per “lesioni, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio, omissione di referto, favoreggiamento. E soprattutto, per i medici e gli infermieri, per abbandono di persona incapace di provvedere a se stessa.”
Si muore ancora di indifferenza. Non nell’angolo buio di una strada, ma in una struttura ospedaliera della civile Italia.

(Monica Anelli)

D

Niente è più resistente e più diffuso in Italia del mito degli italiani “buoni”, che perdono le guerre, ma sarebbero incapaci di commettere le crudeltà e le efferatezze attribuite agli altri popoli. In realtà gli italiani, in epoche e luoghi diversi, si sono macchiati di crimini più o meno come gli altri: solo che storici, politici, studiosi, hanno preferito stendere un velo pietoso di ipocrisia su tanti episodi oscuri che i libri di storia continuano ad ignorare. Angelo Del Boca è il più illustre degli storici del colonialismo italiano. In questo libro ripercorre soprattutto gli eventi relativi alle conquiste coloniali, ma si occupa anche di altri fatti vergognosi e ignoti all’opinione pubblica. Il periodo considerato va dalla fine del 1800 al 1946. Si passa dalla lotta al brigantaggio alla rivolta dei Boxer in Cina, dalla guerra di Libia alla I guerra mondiale, alla guerra d’Etiopia, all’invasione della Slovenia fino alla “resa dei conti” dell’immediato dopoguerra. Per ogni guerra, perduta o vinta, stragi, massacri, deportazioni, di cui si è saputo poco o nulla. In Italia, ad esempio, è stato giustamente istituito il giorno della memoria per i martiri delle foibe, ma quasi nessuno parla dei 12000 sloveni uccisi, torturati, deportati durante l’occupazione italiana. Un’ingiustizia non ne giustifica un’altra, ma forse ci aiuterebbe a guardare le cose da una prospettiva diversa.
Nessuno ha pagato per quei crimini: nessuna Norimberga, nessun tribunale internazionale. Anzi, i responsabili delle guerre coloniali, in cui furono usati sulla popolazione civile gas velenosi e armi proibite dalla Convenzione di Ginevra, tornarono in patria accolti con tutti gli onori.
Ogni guerra porta con sé orrori e l’indignazione serve a poco: non esistono popoli più o meno predisposti alla violenza. In ognuno di noi probabilmente si nasconde un potenziale torturatore o un eroe, solo non lo sappiamo perché non ci siamo mai trovati nelle circostanze adeguate. Non siamo migliori degli altri, né peggiori, ma anche noi, e in particolare noi insegnanti, abbiamo l’obbligo di fare i conti con la nostra storia, come altri hanno fatto prima di noi. Un libro serio, documentato, imparziale come questo, può essere di grande aiuto.

(Daniela Borsato)


Federico De Rosa è una persona autistica ad alto funzionamento che con l’aiuto del computer è arrivato a scrivere un libro in cui descrive il suo mondo interiorem con una tale chiarezza e consapevolezza da coinvolgere il lettore alla scoperta di quella comunicazione così tanto considerata impossibile da rivelarsi emozionante.
Già dalle prime pagine, il lettore si accorgerà subito che lo scopo del libro è molto più alto di una semplice biografia. L’autore, di soli 20 anni, si propone di raccontare e far comprendere il mondo interiore di chi soffre di una sindrome che relega la persona lontana dalla realtà e che erge un muro di incomunicabilità con il mondo esterno: l’autismo. Egli narra, man mano, il suo cammino alla conquista della coscienza del mondo che lo circonda attraverso l’esercizio della sua volontà che, imprigionata in un blocco, fatica a risolversi in una situazione comunicativa. Ed egli si racconta per creare un ponte tra le persone autistiche e le persone non autistiche, che chiama neurotipiche, con il desiderio di frantumare quel muro di incomunicabilità per stabilire relazioni ed emozioni.
Un libro che conforta ed aiuta educatori ed insegnanti che vivono quotidianamente un rapporto con persone autistiche, dando loro la certezza, e non solo la speranza, che quel muro invalicabile potrebbe essere solo di carta velina.

(Teresa Ducci)

   
 

Questa antologia raccoglie le migliori strisce che Stefano Disegni (nomen omen!) ha pubblicato su diversi quotidiani negli ultimi due anni. Disegnatore e autore satirico, geniale interprete dell’attualità politica italiana, Disegni dipinge un quadro irresistibilmente comico delle miserie dei giorni nostri e non risparmia nessuno: né il premier, perennemente affaccendato con allegre donnine, né il Papa, che parla in latino maccheronico ed è ossessionato dalle sue “scarpettae rubrae de Prada” né nessuno dei comprimari che affollano le sale e i corridoi dei palazzi che contano. La sua è irriverenza bella e buona ma, come ben dice Marco Travaglio nella sua prefazione, riesce “a dire le cose più turpi e feroci con una levità che le rende soffici come una piuma. Riesce a rendere la pornografia del potere con la stessa leggerezza che usa il bambino quando dice “cacca”.”
Faccio mia la raccomandazione di Travaglio: “mai leggere Indemoniato! In luoghi affollati da sconosciuti, tipo aeroporti, stazioni, bar, ristoranti, spiagge. Vedendovi piangere o rotolare per terra, qualcuno potrebbe chiamare la neuro. O l’esorcista.”

(Monica Anelli)

 

L’ idea di decodificare il codice genetico dell’uomo, lanciata da Renato Dulbecco nel 1986, sembrò a molti una proposta pazzesca. E fu solo grazie al suo prestigio se si avviò una serie di progetti di ricerca che ha portato, in vent’anni, alla realizzazione di un sogno: leggere e trascrivere il messaggio di 3 miliardi di lettere che costituisce il “libretto di istruzioni” per formare, far crescere e riprodurre l’essere umano.
Questo traguardo è stato salutato dagli scienziati di tutto il mondo come una “svolta storica, una vera rivoluzione”, che ha apportato novità grandissime.
E il padre dell’ingegneria genetica le spiega in quest’opera "curiosa”, ma anche accattivante e affascinante, perché fa toccare con mano le enormi possibilità che si aprono per la medicina del futuro.
Anche chi non è avvezzo al linguaggio scientifico, si appassiona alla conoscenza di un mondo straordinariamente fisico, metafisico, psicologico e, in una parola, umano.
Le complesse interazioni tra i geni coinvolti nella determinazione della personalità, assieme agli effetti complessi dell’ambiente, possono spiegare perché la società umana ha un comportamento caotico. È emblematico l’esempio della farfalla che sbattendo le ali nel Canada causa un uragano nei Caraibi.
Si scopre l’enorme importanza dell’ambiente nella formazione della personalità, ma anche la riflessione e la consapevolezza dell’importanza dell’anima : che cosa siamo? Qual è la posizione dell’anima rispetto alle impronte che i geni e l’ambiente lasciano nell’individuo? E, soprattutto, quando “si forma” l’anima”?
È un’opera avvolgente e coinvolgente, pagine che si lasciano “divorare” per conoscere, sapere, stupirsi. E si possono "vedere" i geni che lavorano collegati tra loro e si comunicano le informazioni interagendo con l’ambiente.
Si aprono scenari incantevoli che fanno presagire un futuro imminente fondato sul benessere del genere umano: non più attraverso la ricerca di farmaci, ma agendo direttamente sulle proteine responsabili delle disfunzioni dell’organismo, certe malattie verranno definitivamente estirpate, riparando i pezzi difettosi del DNA.
La Mappa della vita e il metodo di ricerca voluto da Dulbecco hanno causato non poche polemiche da parte di chi contesta per motivi etico/ religiosi/ politici.
“Fino a ora era come se fossimo circondati da un alto muro , dalle crepe del quale potevamo intravedere il ricco paesaggio circostante; ma ora il muro è stato abbattuto, e vediamo le strade inesplorate che si addentrano in quel paesaggio. Ora sta a noi scegliere quale esplorare”. Tutta la vita è speranza.

(Tania Conte)

E

“Se veniste da queste parti, prendendo qualsiasi strada, partendo da qualsiasi posto, in qualunque ora e in qualunque stagione, sarebbe sempre lo stesso: vi toccherebbe spogliarvi dei sensi e della ragione” (Thomas S. Eliot).
Con questa prefazione, Antonio Errico dà una chiara immagine di quello che è il sapore della terra salentina e della miriade di sentimenti e passioni che scatena in chi la osserva, anche da semplice turista.
“Il Salento è una terra di miraggi, ventosa; è fantastico, è pieno di dolcezza; resta nel mio ricordo più come un viaggio immaginario che come un viaggio vero” dice Guido Piovene - e Antonio Errico, in questo volumetto di appena cento pagine, riesce ad esprimere con grande efficacia la piacevole sensazione che si prova a immergersi in questa terra, nativo o straniero.
“Quae lapis loquor accipe ni lapis es” e, in effetti, sembra che non ci sia “nessun discrimine” tra le sfere della “finitudine dell’umano” da quelle dell’eterno e dell’infinito. Il richiamo al barocco leccese è complesso, riflessivo, profondo. È nell’ansia di “farsi teatro” di attendere dalla pietra “risposte che la vita non può dare”.
La scansione in brevi capitoli è introdotta da versi poetici che, come il cerchio dei tamburellisti, “contiene e separa dal mondo la coppia che danza”. E così: Del silenzio. Della luce. Della malinconia: Castro è fatta di onde, con tempeste di luce quando albeggia e bonacce quando comincia ad imbrunire.
E la malinconia di Santa Cesarea: "Santa Cesarea è triste. Se non hai un amore”. Ed ecco che la Storia si tocca con mano, si legge nelle pietre, nelle case, nei volti della gente. E il passato riaffiora ad ogni angolo, in ogni piazza, nei muri a secco, nei campanili e nei silenzi delle strade, nei dolmen e nei menhir, nelle tarantate e nella penombra delle chiese, nei loro mosaici. Come quello della Cattedrale d’Otranto dove il prete Pantaleone ha voluto “insegnare con le figure”. Certamente Pantaleone conosceva l’ideologia di Gregorio Magno il quale sosteneva che “le immagini insegnano all’illetterato ciò che la scrittura insegna a colui che conosce le lettere dell’alfabeto”.
La città sognata che concettualizza la bellezza: “usa la pietra per elaborare l’incanto”. Forse l’immagine più autentica di Lecce è nella fantasia che se ne può avere. Nel sogno di questa città a orizzonte di un viaggio immaginario, ”Come in una pagina di Roland Barthes”.
Ma dov’è Finibusterrae? Il punto in cui la terra si distende sopra il mare (o è il mare che dilaga sulla terra?). Finibusterrae può essere nostalgia anche di cose che non sono mai state, “un luogo generato dal pensiero”, due luoghi distanti tra loro; due autori diversi; Pointe du Raz, estremità occidentale della Bretagna, dove s’innalza la statua di Notre- Dame des Naufragés, “è uno dei due luoghi”.
È il luogo che muove alla preghiera “Signora il cui santuario sta sul promontorio, prega per tutti quelli che sono in mare… Figlia del tuo figlio, anche per quelli prega ch’eran in mare…..”. Sono parole umili di una preghiera popolare, nonostante il verso dantesco che “compare improvviso”. Ogni immagine, verso, parola portano a Santa Maria di Leuca. In realtà è una lirica di uno dei “Quattro quartetti di Thomas S Eliot: Dry Salvages (nella traduzione di Filippo Donini, Garzanti, Milano 1976).

(Tania Conte)

 

                                                      

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