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NARRATIVA BA-BL
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BM-BZ
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B
Autore:
Richard BACH
Titolo:
Il gabbiano Jonathan Livingston
Editore:
BUR Biblioteca Universitaria Rizzoli
Anno: 1977
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Questo libro parla di un gabbiano che non si contenta,
come gli altri gabbiani del proprio stormo, di vivere sulle scogliere per volare
quel poco necessario a procurarsi il cibo sufficiente alla propria
sopravvivenza, elemosinandolo dai pescherecci che si avvicinano e gettano in
mare gli avanzi. Jonathan vuole imparare a volare più in alto, come un falco…
vuole conoscere tutte le possibilità offerte dalle sue ali per superare la
propria natura ed essere migliore. Tutto ciò lo rende un diverso: come tale, è
un reietto ed è esiliato dallo stormo. Ma lui non si lamenta per questo, né
soffre di solitudine: è dispiaciuto perché non potrà rendere partecipi gli altri
gabbiani delle sue scoperte, non potrà far capire loro come la vita non sia solo
cibo, sonno, gracidio… ma qualcosa di più: la vita è importante per imparare a
superare i propri limiti e divenire esseri superiori. Il gabbiano Jonathan
Livingston supera se stesso e giunge in un mondo parallelo al nostro, in cui è
inutile parlare, ma si comunica telepaticamente, in cui è possibile spostarsi
nel tempo e nello spazio in un istante: è il limite estremo. Diventa così uno
spirito superiore, fatto di luce… ma non vuole rimanere lì. Jonathan desidera
tornare sulla terra, nel proprio stormo, per insegnare agli altri gabbiani una
vita migliore. Anche per gli uomini, il buon esempio può essere contagioso, così
come quello cattivo… se uno ha la forza di iniziare, altri lo seguiranno. La
lezione che si può trarre dalla lettura di questo libro è che i diversi sono
sempre, all’inizio, mal tollerati dagli altri, ma che tutti abbiamo la
possibilità di migliorare, purché lo vogliamo veramente.
(Gabriella Nasi) |
Autore: Muriel BARBERY
Titolo: L’eleganza del riccio
Editore: e/o
Anno: 2008 |
Un’adolescente deliziosa, ricca di curiosità, humour,
intelligenza, sensibilità… così diversa e più vera delle adolescenti che ci
appaiono attraverso il mondo dei media di oggi. Un’adolescente alla ricerca di
se stessa, del mondo, di un significato da dare alla vita, che cerca e trova la
bellezza, quella vera (che, secondo Dostoewskij, può forse ancora salvare il
mondo) nell’arte, nell’estetica, nei piccoli gesti quotidiani. Un’adolescente
che si prefissa il proprio suicidio, e l’incendio della casa paterna, perché
“così, forse, gli adulti, senza casa e senza figlia, penseranno a tutti quegli
africani morti di fame… oppure no?” Chi di noi, da adolescente, non ha
immaginato la propria morte e il proprio funerale, per vendicarsi dei rimproveri
e vedere quanto i genitori ci volevano bene?
Accanto a lei, una donna ormai matura, con una ricchezza ed un’intelligenza
interiore nascoste, volutamente, da un’apparenza sciatta ed umile, per non
aspirare a qualcosa di
superiore, di cui non si sente degna, e per non soffrire.
In un piccolo condominio di Parigi si affacciano alla guardiola le vite, le
speranze e le meschinità dei vari abitanti, intrecciate tra loro, finché un
raffinato architetto giapponese arriverà a sconvolgerne i ritmi e a dare un
nuovo senso alla storia. Il finale, ribaltando un lieto fine scontato e forse
melenso, ci induce a sperare ancora che valga la pena, tutto sommato, di
continuare a vivere e a cercare da qualche parte un significato ai nostri gesti
e pensieri quotidiani, anche se nessuno, purtroppo, può cambiare il mondo.
(Gabriella Nasi) |
Autore: Alessandro Baricco
Titolo: Castelli di rabbia
Editore: Rizzoli
Anno: 1991
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Castelli di rabbia, castelli di… sabbia.
Baricco tratteggia, con la sua penna lieve e profumata di sogni, una città
della fantasia, Quinnipak, e i suoi abitanti. Ma i sogni non sono desideri,
non sempre, almeno, non in questo romanzo. Scorre la vita di intrighi, di
affanni, d’amore improbabile o profondo come il sonno più profondo, di
sangue, di ineluttabilità del destino, si materializza sotto i nostri occhi
sempre più increduli attraverso i personaggi ai quali ci ha abituato,
affacciati ad un tempo che ha i contorni sfumati del mito. Ci riporta
indietro, ad un passato non troppo lontano eppure dimenticato, nel 1800,
nella meraviglia di scoperte tecnologiche che hanno il gusto di quelle
infantili, che oggi guardiamo col disincanto di adulti. Ė la storia di un
amore intenso tra i due protagonisti, che non reggono da soli la scena, ma
fanno parte di un coro di personaggi, tutti importanti, perfettamente
delineati nella loro unicità e straordinarietà, comprimari. Una costruzione
ad incastro, un puzzle che appare nel suo significato di immagine compiuta
solo in fine, quando la narrazione si avvia alla conclusione. Non è facile
raccontare la trama di un percorso magico e realistico insieme: magico per
l’improbabilità delle vicende, realistico per l’accorta documentazione di un
periodo che oggi appare concreto e precario come castelli di sabbia,
appunto, disegnati meticolosamente sulle rive del mare che presto li porterà
via, ineffabilmente.
Complesso, giocato su più livelli, forse tanti quanti sono i personaggi che
animano la storia, un pezzo di vita affollato che richiama le molte letture,
i molti amori letterari dell’autore. Mi è parso di sentire, prima fra tante,
l’eco di Faulkner, ma molte altre mi saranno sfuggite, impastate come sono
tra loro, a rendere il racconto un lungo, immateriale sogno. E, su tutte,
domina la musica, che pulsa al centro della vicenda, al centro del libro,
intorno alla quale tutto sembra essere costruito, epica, nella descrizione
di un incontro di due bande, nel paese dell’illusione.
Alla fine resta il piacere di un’ottima lettura, che se non vogliamo
intendere nei molteplici significati, per emozionarci, ci ha comunque
regalato momenti di piacere estetico intenso, che trova segni tangibili in
alcuni passaggi di indubbia qualità letteraria, di moderna poesia della
scrittura. Così, come in questi, tra i tanti: “La verità è che si vedono e
si sentono e si toccano così tante cose... è come se ci portassimo dentro un
vecchio narratore che per tutto il tempo continua a raccontarci una storia
mai finita e ricca di mille particolari. Lui racconta, non smette mai, e
quella è vita.”
“La sera, come tutte le sere, venne la sera.
Non c'è niente da fare: quella è una cosa che non guarda in faccia a
nessuno.
Succede e basta. Non importa che razza di giorno arriva a spegnere.
Magari era stato un giorno eccezionale, ma non cambia nulla. Arriva e lo
spegne. Amen.
Così anche quella sera, come tutte le sere, venne sera.”
(Sonia Solomonidis)
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Autore: Alessandro BARICCO
Titolo: Emmaus
Editore: Feltrinelli
Anno: 2009 |
Non ho mai letto niente di Baricco. Questo è il primo
libro che leggo di lui e qualcosa mi dice che sarà anche l'ultimo. Una scrittura
graffiante, sì, ma fatta più per stupire sul momento che per lasciare un segno
nel tempo, frasi che ti si attorcigliano addosso con la smania di restarci
attaccate, e invece poi scivolano via. Forzato. Ecco come mi è parso: forzato.
Un tentativo forzato di riproporre la Gioventù bruciata di Nicholas Rey (1955) o
Les enfants terribles di Cocteau (1929). Ma quelli di Baricco sono altri tempi.
Eravamo quattro amici al bar... cantava qualche anno fa Gino Paoli. Anche qui,
quattro amici, tutti maschi, figli di quella piccola borghesia cattolica gretta
e perbenista - cattolica, sì, anche un po' beghina se vogliamo, ma santo cielo,
ribadirlo ogni dieci righe è francamente un po' troppo - capace di costruire
intorno ai suoi figli un mondo dorato e un po' falso, fatto di buone azioni e di
una discreta dose di ipocrisia, di vita parrocchiale e di standard radicati nel
DNA da generazioni. Un equilibrio instabile, però, che vacilla per poi
sgretolarsi di fronte alle piccole-grandi difficoltà dell'adolescenza e
soprattutto di fronte alla scoperta di cose che la mentalità “tradizionale”
aveva sempre tenuto accuratamente nascoste.
Sesso, droga, fascino del proibito portano i ragazzi, a uno a uno, a camminare
in modo sempre più rischioso sullo spartiacque che divide la voglia di vivere
dalla scelta di morire e qualche volta, consapevolmente o no, quest'ultima
prevale. E così i quattro amici si assottigliano fino a diventare uno, testimone
di tante defezioni e prigioniero dei ricordi. Paradossalmente l'unica presenza
viva, vera e reale sarà proprio quella della ragazza - una sorta di femme fatale
- che era stata la causa scatenante di tutto. Ma questo tutto è forzato,
addirittura prevedibile, e sembra teso a far apparire come straordinario quello
che appartiene solo ai canoni della normalità.
(Paola Lerza) |
Autore: Alessandro BARICCO
Titolo: Omero, Iliade
Editore: Feltrinelli
Anno: 2004 |
Iliade, lettura pubblica:
Baricco smonta il capolavoro di Omero, con il rispetto dovuto, e lo consegna
ad una immersione agile e avvincente nella vicenda. Inalterato il senso del
“magico” della guerra nell’antichità, il suo sacrale valore, la sua
inevitabilità. La sorte domina sulle vicende degli uomini, ed essi ci
parlano del proprio destino, qui liberi dagli interventi divini. A ciascuno
il suo! Se qualcuno vuole sperimentare come ci si sente in panni diversi, si
accomodi. In Omero, Iliade lo fanno tutti, tutti protagonisti, vinti e
vincitori e noi con loro, così, semplicemente, dentro di loro!
Il passato ritorna, il mito è rivisitato in modo eroico e cammina con noi,
ci fa sognare di gesta dimenticate o scolasticamente riposte in un austero
libro di epica. L’operazione è interessante e condotta con la solita abilità
stilistica di un maestro, a parer mio, dello stile contemporaneo. Da
consigliare a chi Omero lo ha già conosciuto e ne è rimasto affascinato.
Piccola riflessione sulla “Postilla sulla guerra.”
Si interroga Baricco!
Gridavano alla guerra gli antichi popoli combattenti, e ne facevano un
monumento dell’umanità, degli uomini che, combattendo, sognavano la pace.
“Niente, per me, vale la vita: non i tesori che la città di Ilio fiorente
possedeva prima, in tempo di pace, prima che giungessero i figli dei Danai;
non le ricchezze che, dietro la soglia di pietra, racchiude il tempio di
Apollo signore dei dardi, a Pito rocciosa; si possono rubare buoi, e pecore
pingui, si possono acquistare tripodi e cavalli dalle fulve criniere; ma la
vita dell’uomo non ritorna indietro, non si può rapire o riprendere, quando
ha passato la barriera dei denti.” Queste le parole di Andromaca,
pronunciate dal guerriero per eccellenza, Achille, che fa guerra e muore,
sognando la pace. Baricco ce le ricorda.
E noi?
(Sonia Nicoletta Solomonidis) |
Autore: Alessandro BARICCO
Titolo: Questa storia
Editore: Fandango
Anno: 2005 |
Il Novecento, irruente e veloce, annulla le
consuetudini nel contesto di una campagna desolata d’inizio secolo e un clima
di attesa, di curiosità e di diffidenza verso un evento generazionale:
l’arrivo dell’automobile, aleggia nella prima parte del romanzo. Libero Parri,
predestinato nel suo mestiere di allevatore e custode fedele delle sue
ventisette mucche fassone, e suo figlio Ultimo, un ragazzino malaticcio ma
preparato alle prove della vita, credono nel sogno. Sogno che ha le sembianze
di un aristocratico in declino, che lascia in eredità, quale riscatto di una
vita dissipata, la realizzazione del desiderio. Libero e Ultimo, sfidando
l’opposizione della moglie e madre Florence, accolgono questa nuova
dimensione. Con l’arrivo delle automobili, gli orizzonti si allargano ed un
nuovo scenario si apre all’immaginazione. Questa prima parte lascia il posto
al capitolo più bello e intenso del romanzo, “Caporetto” in cui appare una
voce narrante diversa: il padre di un disertore alla ricerca della verità.
La terza voce narrante del romanzo è Elizaveta, un’esule russa, unico amore
di Ultimo. Donna voluttuosa e dall’intelligenza acuta, Elizaveta recupera
Ultimo dal percorso scosceso e del tutto personale della sua mente, in cui
l’America rappresenta l’ultima tappa del circuito. Nella memoria di Ultimo
riappare la scena che segnerà la perdita della sua innocenza: al cinema, poco
più che bambino, vide sedersi davanti a lui una donna splendida. Il suo
desiderio, libero da freni, seguì il suo percorso, proprio come le
automobili. Dopo la sua scomparsa, sarà Elizaveta a ricostruire la sua
storia, alla ricerca di segreti e personaggi che ne avevano segnato il
cammino. Cammino che ripercorre a bordo di un’auto da corsa, sogno
onnipresente del protagonista. Romanzo caratterizzato dalla tecnica narrativa
a più voci, “Questa storia” evidenzia uno stile elegante ed incisivo, in cui
predominano i sentimenti di attesa, di stupore, di sgomento e di malinconia
tipici della nascita di ogni nuova epoca.
(Maria Pomepa Coluzzi) |
Autore: Tahar BEN JELLOUN
Titolo:
Il razzismo spiegato a mia
figlia
Editore: Bompiani
Anno: 1999
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“Senti,
papà, cos’è il razzismo?” La domanda di sua figlia Meriem, dieci anni,
durante una manifestazione di immigrati francesi a Parigi nel 1997, offre
lo spunto a Tahar Ben Jelloun, giornalista e scrittore marocchino, per una
riflessione su un fenomeno senza tempo e senza confini, molto più capillare
di quanto gli episodi di cronaca più eclatanti – anche di questi ultimi
giorni - possano far pensare.
Il linguaggio del
libro, scritto sotto forma di dialogo tra padre e figlia, è volutamente
semplice: l’autore persegue un’esigenza di chiarezza, di semplicità e di
obiettività perché i destinatari privilegiati del suo messaggio sono i
bambini e i ragazzi fra gli otto e i quattordici anni. Due princìpî guidano
l’autore: non si nasce razzisti, caso mai lo si diventa; la lotta contro il
razzismo, pertanto, comincia con l’educazione. I bambini di per sé non hanno
pregiudizi, ma possono assorbirli dall’ambiente circostante: è lì dunque,
soprattutto nella famiglia e nella scuola, che si può e si deve agire per
evitare l’insorgere di quelle forme di sottile diffidenza e di intolleranza
che possono sfociare in seguito in veri e propri fenomeni di razzismo.
“Differenza”, “pregiudizi”, “discriminazione”, “rifiuto”, fino a
“xenofobia”, “genocidio”, “schiavitù”… sono solo alcuni dei temi che Ben Jelloun affronta nella sua opera. E, in conclusione, una riflessione:
attenzione alle parole che usiamo, alle espressioni portatrici di stereotipi
e pregiudizi. La lotta contro il razzismo passa anche attraverso il
linguaggio.
(Monica Anelli)
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Autore: Alan BENNETT
Titolo: Nudi e crudi
Editore: Adelphi
Anno: 2001 |
Immaginate una tranquilla serata a teatro. Danno il
“Così fan tutte” di Mozart. Immaginate di tornare poi a quella che fino a un
pugno di ore prima è stata la vostra casa e di trovarvi davanti la scena
desolante di una serie di stanze completamente vuote. Niente è rimasto degli
arredi, degli oggetti, di tutte quelle cose più o meno utili ma pur sempre
rassicuranti che riempiono solitamente il vostro spazio quotidiano. Questo è
ciò che accade a Mr e Mrs Ransome, ed è un ben strano furto quello di cui
sono stati vittime.
Gli effetti di questo evento, un vero e proprio punto di non ritorno per una
coppia sclerotizzata dalla mancanza di affettività e di comunicazione,
saranno dirompenti…
Lo stile asciutto e tagliente di Bennett, la sua ironia a tratti beffarda,
sottolineano quanto di tragico, di comico, di assurdo e di profondamente
doloroso c’è nell’esistenza di due persone che si vedono ma non si guardano,
che si sentono ma non si ascoltano, che si sfiorano ma non si incontrano
mai.
Eppure, per uno di loro due c’è una speranza: “(…) quando ripensa al
passato, il furto e tutto quello che è venuto dopo (…) sembrano una specie
di apprendistato. Ora, si dice, posso ricominciare.
(Monica Anelli) |
Autore: Tahar BEN JELLOUN
Titolo: Non capisco il mondo arabo
Editore: Bompiani
Anno: 2006 |
"Non capisco il mondo arabo" simula una corrispondenza
telematica tra due diciassettenni: Mérième, figlia dello stesso autore,
cresciuta, quindi, in una famiglia laica di origini
marocchine, e Lidia, una giovane italiana di Bologna, cresciuta in una
famiglia cristiana. Le due ragazze, attraverso questo scambio di e-mail,
cercano di dare delle risposte ai
loro dubbi: “Esiste un'intolleranza cristiana?” “Che differenza c'è fra la
battaglia per il velo e la battaglia per il crocifisso?” "Che significato ha
per un'adolescente la
parola 'laicità'?". Mérième, con l’aiuto del padre e con la sua esperienza
in Occidente, malgrado conosca poco il Corano cerca di interpretare il
perché di alcune
situazioni: ”Non voglio giustificare l’ingiustificabile, ma rifletto...”
scrive in una sua mail. La riflessione di Mérième riguarda anche i motivi
della rabbia dei giovani algerini
in Francia e dei disordini che essa ha provocato nelle banlieues. Rabbia
relativa al loro non sentirsi accettati e alle difficoltà della loro
integrazione. Lidia, nei suoi scambi
telematici, racconta a Mérième del suo ragazzo tunisino e della precarietà
di questa relazione in cui non intravede un futuro, per le differenze tra le
loro culture e le loro
religioni, che la spaventano. L’argomento “ condizione della donna
musulmana” è oggetto di interesse da parte di Lidia e Mérième non esita a
trasmetterle le mail di sua cugina
Fattouma, profondamente convinta del suo credo. Lidia continua nel suo
scetticismo. Il fanatismo e la violenza integralista la spaventano ed
essendo alla continua ricerca di
risposte decide di interrompere la corrispondenza e l’amicizia fatta di
confidenze, di vacanze condivise ma anche di tensioni nascoste o evidenti:
”Cara Mérième, a conti fatti non
riesco a capire se tu sei una marocchina, una musulmana, una francese... non
puoi giocare su due tavoli, l’oriente da una parte, l’occidente dall’altra.
Del resto, non so neanche
se potremo continuare a mantenere questa corrispondenza perché a tutte le
domande tu cerchi di rispondere salvando sempre capre e cavoli...” Mérième
le risponde: ”Contrariamente a
te sono persuasa che l’incontro fra l’oriente e occidente, e lo scambio tra
mondo arabo ed Europa, sia possibile” e prosegue: ”Se l’ignoranza è un pozzo
profondo, il sapere è una
montagna la cui cima è inaccessibile”. Il mondo arabo, in definitiva, è
molto difficile per entrambe e l’autore, attraverso questo scambio
“adolescenziale” e spontaneo, cerca di
trattare argomenti di grande spessore politico e culturale. Il suo pensiero
“possibilista”, per un dialogo costruttivo, trova la sua risposta in questo
suo pensiero: "Lo scontro
di civiltà è lo scontro delle ignoranze, lo scontro delle paure”.
(Maria Pompea Coluzzi) |
Autore: Stefano BENNI
Titolo:
Comici spaventati
guerrieri
Editore: Feltrinelli
Anno: 1986
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Storia metropolitana
con un insolito impianto narrativo. In una cupa città degli anni 80 accade
un misterioso delitto: viene ucciso Leone l'allegro, giovane calciatore
innamorato e amato da tutti.
Lucio Lucertola,
anziano professore dedito alla ricerca dell'inizio finale, Lupetto, curioso
undicenne, Lucia, la ragazza di Leone,insieme ad altri irresistibili
personaggi della periferia, indagano sull'accaduto. È evidente fin da subito
che non è importante sapere chi ha ucciso materialmente Leone l'Allegro, che
irritava i padroni perché sorrideva e non se ne capiva il motivo. Leone è
morto davanti a un condominio dei quartieri alti, l’assassino sarebbe potuto
essere indifferentemente il trafficante d'armi, o lo spacciatore, o "la
portinaia perché gli pestava l'erba".
Alcune pagine sono da
ricordare e annotare: ad esempio alcuni monologhi di Lee, l’amico di Leone
appassionato di arti marziali, eternamente in fuga, i dialoghi tra il
professor Lucertola e Lupetto, ecc.
Felice vena
visionaria, grande senso dell'umorismo, molte amare verità.
(Daniela Borsato) |
Autore: Stefano BENNI
Titolo: Achille piè veloce
Editore: Feltrinelli
Anno: 2003
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Ulisse è uno
scrittore in crisi, innamorato di Pilar, giovane e bella sudamericana,
lavora in una casa editrice ed è afflitto dagli “scrittodattili”,
noiosissimi romanzi che premono per essere pubblicati. Riceve una lettera da
Achille, giovane malato e deforme, che vive recluso con la madre e il
terribile rampante fratello Febo. Tra i due nasce una strana, complice
amicizia che li porta a combattere insieme una grande battaglia già persa in
partenza. I personaggi portano nomi omerici e sembrano vivere in un universo
mitico, ma sono nello stesso tempo intensamente e crudelmente vivi in questo
nostro mondo.
Entusiasma la capacità
di Benni di raccontare l’indignazione, la crudeltà, l’amore e l’amicizia con
leggerezza e ironia. Riesce a far riflettere, ridere ed emozionare.
Da non perdere e da
rileggere.
(Daniela Borsato) |
Autore: Giuseppe BERTO
Titolo: Il cielo è rosso
Editore: Rizzoli Editore
Anno: 1947 |
Ma il soldato di guardia fra i due pilastri accennò al
rigonfiamento sotto la giubba, e disse qualcosa che il ragazzo non capì. E
il ragazzo stette un poco fermo, con la testa bassa, ma poi ebbe il coraggio
di alzare gli occhi e siccome il soldato aveva la faccia rivolta verso il
crepuscolo, egli poté vederne l’espressione. Sorrideva, il soldato, in un
modo indefinibile, e non avrebbe fatto niente per quella roba nascosta sotto
la camicia. Allora anche il ragazzo sorrise, e disse qualcosa che il soldato
non poteva capire. Quindi si allontanò attraverso la piazza, e il soldato
tra i due pilastri lo seguì con lo sguardo fin che poté, e continuò a
sorridere indefinibilmente. E anche il ragazzo continuò a sorridere, mentre
camminava, e toccava con le mani il rigonfiamento sotto la giubba.
Il 7 aprile 1944 non è una data come tante altre, soprattutto per chi, come
me, è trevigiano; quel giorno trecento aerei alleati bombardarono Treviso,
seppellendo migliaia di abitanti sotto le macerie. Tuttavia, Il cielo rosso
non è solamente una tra le tante testimonianze di guerra… esso è una storia
d’amicizia e soprattutto d’amore, di un amore che, benché nato e cresciuto
in quei giorni di desolazione, sia materiale che morale, ha saputo essere
incredibilmente puro, romantico come solo un amore a lungo taciuto può
essere. La guerra che fa da sfondo alla storia d’amore tra la piccola Giulia
e il timido Daniele non è la guerra delle grandi battaglie, degli atti
eroici, bensì la guerra della povera gente, di quelli che non importa da che
parte stanno.
Sul linguaggio de Il cielo è rosso è stato scritto di tutto; il romanzo è
stato via via etichettato dai critici come neorealista e neoromantico,
accusato di essere un oltraggio alla prosa bella, di assomigliare troppo a
Hemingway. Io non mi occupo di critica letteraria, ma posso dire di aver
apprezzato moltissimo le descrizioni paesaggistiche e ambientali; l’incipit
a mio avviso è stupendo, mi verrebbe da definirlo manzoniano, ma forse il
mio giudizio è dettato dal fatto di veder riaffiorare nella mia memoria
visiva i luoghi che trovo descritti; se pensate che le mie lodi siano
esagerate (e se non l’avete ancora fatto) leggetelo… sappiate però che alla
fine della lettura vi rimarrà nel cuore una struggente tristezza che per
giorni non vi abbandonerà.
(Fanny Grespan) |
Autore: Calixthe BEYALA
Titolo: Gli onori perduti
Editore: Feltrinelli
Anno: 1996 |
“Un grido trafisse l’aria. Nel cielo, a oriente,
apparve una stella infuocata. Sulla terra si aprì una voragine di silenzio:
ero io, ridicola prugna rossa, brutta, con la testa ammaccata dal forcipe.
Gridavo al mondo il mio dolore come se già sapessi tutto quello che avrei
sofferto”.
Inizia così la vita di Saida, in Camerun. Il sole d’Africa non sempre è
generoso con i suoi figli.
Saida infligge la prima delusione a suo padre solo perché è femmina.
È la storia della lenta maturazione di una donna nera che vive
confrontandosi con le contraddizioni della sua società. Spinta ad emigrare
per trovare la sua realizzazione, porta con sé il suo unico orgoglio, la sua
fierezza: la verginità, che in terra straniera si trasformerà in ragione di
vergogna.
Un romanzo da cui si intuiscono i risvolti psicologici di chi, donna per
giunta, affronta una nuova cultura vivendone i dissidi con la propria. Da
una parte la voglia di progredire e liberarsi dai pregiudizi, dall’altra
l’assurda voglia di ripararsi nelle credenze della propria terra per non
affrontare la fatica di cambiare.
(Teresa Ducci) |
Autore: Daria BIGNARDI
Titolo: Non vi lascerò orfani
Edizioni: Mondadori
Anno: 2009 |
Una morte, quella della madre, che nel dolore della
perdita e nella certezza di una mancanza di chi non vi è più, fa riaffiorare i
ricordi di una vita. E allora l’amore nel bene e nel male, che ti è stato
donato, ritorna preponderante, insistente, vivo, intenso; lo riconosci come
parte di te stesso con la consapevolezza che sarà sempre presente. Un amore che
diventa vita perché l’amore è l’essenza stessa della vita.
“Perdere un genitore a quarant’anni fa più male che a venti.
A venti è uno strazio, ma sei in corsa e corri. A quaranta è un dolore che non
passa più.”
A quarant’anni riscopri le impronte della tua vita: i ricordi, gli oggetti, la
casa, la città, le auto; le persone: i nonni, gli zii, gli amici, i gatti, i
compagni di scuola, i fidanzati; gli avvenimenti: la guerra, le morti, le
discussioni politiche, le canzoni. Si soffre perché sappiamo che nessuno ci
amerà più così.
Ciascuno è parte della storia della propria famiglia; il tempo storico, i
rapporti parentali, i conflitti, le armonie sono le radici che ti hanno aiutato
a crescere. Rimane alla fine l’amore che hai ricevuto e ha forgiato il tuo
essere oggi.
(Lucia Bartoli) |
Autore: James BLISH
Titolo: Guerra al grande nulla
Editore: Nord
Anno: 1997 |
La storia si svolge in un lontano 2049 sul pianeta
Lithia, luogo di un’interessante civiltà scoperta da una commissione di
scienziati terrestri. Il biologo della Commissione è un gesuita che si
accorge di come Lithia sia difforme da ogni altro pianeta. Infatti gli
ricorda il giardino dell’Eden: la natura è incontaminata e lussureggiante e
i suoi abitanti sono distaccati, lontani dall’odio, dal peccato e da ogni
genere di passione… Ma non hanno un dio e non lo cercano.
Al momento della partenza riceve un dono particolare: un uovo da cui nascerà
il figlio di un importante personaggio con cui ha trovato un'intesa sul
piano dell'amicizia. Ma le cose, sulla terra, avranno sviluppi imprevedibili
e il “Bambino” diventerà un terrestre aggressivo e cattivo.
In seguito il padre si recherà a Roma dal Santo Padre per dare risposta ai
problemi religiosi ed etici creati da tale situazione.
Il romanzo si discosta dai canoni del genere per la tematica affrontata: per
la prima volta un autore affronta il tema della religiosità nello spazio.
(Alida Fonnesu) |
Autore: James BLISH
Titolo: Le mappe del cielo
Editore: Mondadori
Anno: 1971
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Che peso può avere il passato in un futuro lontano dal
nostro pianeta? Questa è la riflessione che apre il romanzo il cui
protagonista Jorn Birn vive in un mondo dominato dalle donne. Gli uomini
hanno difficoltà a trovare un lavoro e perfino la procreazione non è di loro
competenza. Jorn accetta un lavoro che lo porterà fuori dalla terra che sta
per esplodere: non tutti potranno fuggire sulle astronavi. Egli è uno degli
eletti, scelto per far parte di un equipaggio composto per la maggior parte
da donne. L'odissea dei fuggitivi è lunga e densa d'incognite. Col tempo la
piccola comunità diventa una società in cui i rapporti tra i due sessi si
armonizzano e si completano. Il gruppo troverà un pianeta ospitale, ma Jorn
e sua moglie, una volta sbarcati, preferiranno ritrovare la loro libertà
nella morte, lontano dal passato e dai ricordi di un mondo scomparso. Che
ragioni si possono addurre per invogliare qualcuno a leggere fantascienza? A
me viene in mente che gli scrittori di fantascienza osservano il mondo con
occhi particolari e da una prospettiva privilegiata, visto che molti di loro
sono scienziati o biologi. Le storie contengono riflessioni su argomenti
forti e mai banali. Il romanzo in esame ha come tema secondario il rapporto
tra i sessi, ma la lettura fatta da Blish supera ogni illusione utopica che
noi potremmo avere. Nel suo mondo in pericolo e in disfacimento le donne
vincono, comandano e hanno potere pari agli uomini. L’intelligenza dell’uomo
di scienza viene abbinata con efficacia alla speculazione filosofica.
(Alida Fonnesu) |
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