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NARRATIVA    H

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Mi chiamo Cristopher, ho 15 anni, conosco i nomi di tutte le nazioni del mondo e delle loro capitali, i numeri primi fino al 7507.
Ma non capisco le espressioni dei visi, le metafore e molte altre cose che per voi sono “normali”.
Mi piacciono i cani perché non dicono bugie.
Così, quando ho visto il cane della mia vicina infilzato con un forcone, ho pensato che avrei potuto scoprire chi l’aveva ucciso, come Sherlock Holmes nel “Mastino di Baskerville”. Ho finito per scoprire molte altre cose, su mia madre, su mio padre, sulle bugie e sulle paure della gente. Diventerò un astronauta e uno scienziato. “E so di potercela fare perché sono andato a Londra da solo… e sono stato coraggioso e ho scritto un libro e questo significa che posso fare qualunque cosa.”
Cristopher soffre della “sindrome di Asperger”, una forma di autismo. La sua logica, i suoi percorsi mentali non sono i nostri, ma il viaggio nella sua mente e nelle sue emozioni porta il lettore di questo “giallo” anomalo molto più lontano di quanto si possa credere: la verità può nascondersi in una formula matematica o nelle strane manie di un adolescente che ama i numeri e le stelle.

(Daniela Borsato)

Torey L. Hayden, americana, vive da molto tempo in Scozia, dove insegna nelle scuole speciali per bambini emotivamente labili.
In questo libro, Torey racconta  il suo ritorno all’insegnamento dopo un lungo periodo di assenza. Un ritorno deciso più da fatti contingenti che da una scelta personale.
Viene inserita in un progetto distrettuale di “classe autogestita per bambini con disturbi emotivi”. Una classe con pochi bambini, ma tutti con seri problemi relazionali che diventano per Torey il suo incubo, ma anche la sua ragione di vita.
La storia si snoda nel racconto della quotidianità di una insegnante che non riesce a separarsi dal pensiero dei suoi “discoli” neppure fuori dalla scuola. Un rapporto che diventa ancora più difficile e complicato dall’assunzione, come aiutante ufficiale, della mamma di una bambina della classe. Torey si trova ad affrontare nuove problematiche e dinamiche relazionali con la donna che, dopo un inizio conflittuale con l’insegnante, cerca di appoggiarsi a lei per risolvere i suoi numerosi problemi.
Un libro da cui, per la semplicità e la sincerità con cui emergono i sentimenti più contrastanti di un’insegnante che si trova ad operare in un contesto difficile da gestire, si possono trarre molti insegnamenti sul rapporto sia con i bambini che con gli adulti.

(Teresa Ducci)

 

 

La cascata di ghiaccio narra la storia di Selda, ragazzina dodicenne che con la madre e le sorelle lascia la natia Smirne per raggiungere il padre e i fratelli nella moderna, pulita, fredda Svizzera. Le problematiche dell’immigrazione, sia quella regolare sia quella clandestina, vengono raccontate attraverso le parole della piccola e quelle delle lettere che scrive alla nonna rimasta in Turchia, con uno spirito di osservazione, un’intelligenza e una sensibilità davvero incredibili per un’adolescente. Il colore del cielo, l’incanto stupefacente di una cascata che ghiaccia in montagna, la pioggia che scende anche d’estate, gli sguardi della gente, i sapori dei cibi, i profumi e gli odori delle strade, nulla sfugge ai suoi occhi curiosi, che compensano la mancata conoscenza della lingua tedesca. "… essere degli stranieri. È come diventare muti di colpo, incapaci di parlare e di capire, smettere di essere delle persone, diventare come animali, sempre in attesa, sempre all’erta, e pieni di paura." Sono molte le difficoltà che Selda si trova ad affrontare in Svizzera, non solo per la sua condizione di immigrata, ma anche per il fatto di dover convivere con un padre che spesso vorrebbe fare da padrone, magari per nascondere le proprie insicurezze, le proprie paure, con una madre ancor più timorosa e con due sorelle profondamente diverse da lei. Tuttavia, Selda riesce ad ambientarsi senza dover mai scendere a compromessi, senza nascondere la propria personalità; ma, soprattutto, comincia a crescere veramente, a oltrepassare quel difficile varco che separa l’infanzia dall’età adulta, e questo anche attraverso l’amicizia con l’altera e ricca Giselle e il ragazzo turco clandestino Ferhat. Gaye Hiçyilmaz era già una scrittrice di successo quando ha lasciato la Turchia per trasferirsi in Svizzera (ora vive in Inghilterra); tuttavia ritengo che ci sia davvero molto di autobiografico in La cascata di ghiaccio.

(Fanny Grespan)

 

La giovane Alexis lascia Londra alla volta di Creta per raggiungere il paese natio della madre Sofia, Plaka, con l’intento di dipanare i misteri che avvolgono le origini della famiglia materna.
Arrivata a destinazione, Alexis viene a conoscenza dell’isola di Spinalonga, il cui profilo, che si staglia ora minaccioso, ora affascinante di fronte a Plaka, cela un triste passato, legato alla sorte di centinaia di persone accomunate dallo stesso destino.
La storia della famiglia materna di Alexis riemerge grazie ai ricordi della vecchia Fotini, amica d’infanzia della nonna della ragazza; è grazie a questo sofferto racconto che Alexis riuscirà non solo a ricostruire le proprie origini, ma anche a capire meglio il presente.
Questo romanzo è appassionante; si legge tutto d’un fiato ed è impossibile non sentirsi partecipi delle tragiche storie di ben quattro generazioni di donne.

(Fanny Grespan)

Notte di Capodanno, Londra, sul tetto di un palazzo: lo chiamano “il palazzo dei suicidi”. Quattro persone hanno la stessa idea nello stesso momento: non è nemmeno un’idea originale, peraltro. Ciascuno di loro ha dei motivi che ritiene validissimi per buttarsi… ma l’arrivo degli altri gli impedisce di attuare l’intenzione. La discussione è accesa, rasenta l’assurdo. Scendono: la cosa è soltanto rinviata. Ma poi il tempo passa, i successivi incontri allontanano sempre di più l’idea, anche perché ciascuno si sente coinvolto in questa strana provvisoria, folle comunità che si è casualmente formata: Martin, conduttore televisivo che ha perso lavoro, famiglia e credibilità per aver sedotto una quindicenne; Maureen, che da una vita accudisce un figlio gravemente disabile, senza speranza, nella solitudine più totale; Jess, adolescente in crisi con la famiglia, abbandonata dal suo ragazzo; JJ, musicista che ha perduto la sua band e la sua donna, vale a dire tutto quello che contava. Non sono personaggi gradevoli, non amano se stessi e non si trovano neppure particolarmente simpatici tra di loro. Ma in qualche modo alla fine ciascuno finisce per sentirsi responsabile dell’altro. La vicenda si trascina un po’ troppo, il racconto ci avrebbe forse guadagnato ad essere un po’ più breve. Ma si legge volentieri: nonostante il tema tragico, si svolge sul filo del paradosso e riesce ad essere anche divertente.

(Daniela Borsato)

Amir e Hassan vivono la loro infanzia e adolescenza nella stessa casa di Kabul, negli anni '60/'70. Il padre di Amir è un ricco uomo d’affari, Hassan il figlio del suo servo. Uno è sunnita, di etnia pashtun, l’altro è un hazara ed è sciita. Li unisce l’amicizia e una passione, quella per gli aquiloni che fabbricano insieme durante il lungo inverno afgano e che fanno correre in cielo durante il torneo che si svolge ogni anno nella loro città. E proprio in occasione di una di queste gare accadrà qualcosa che segnerà profondamente e per sempre i loro destini.
Molti anni dopo, una telefonata riporta Amir, ormai adulto, indietro nel tempo: dagli Stati Uniti, dove vive da anni, è costretto a compiere un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio, per provare a far pace con un passato che ha ricacciato da qualche parte in fondo a sé ma che, come sempre accade, prima o poi torna a chiedere il conto.
Riflessione sul valore dell’amicizia, dell’onestà, ma anche su quanto il “non detto” e i segreti di famiglia possano pesare sui destini individuali, questo romanzo offre anche uno spaccato storico dell’Afghanistan degli ultimi decenni, visto attraverso gli occhi di chi lo ha abbandonato molti anni prima, ai tempi dell’invasione sovietica, e lo ritrova profondamente cambiato sotto il dominio talebano.
L’autore, figlio di un diplomatico afgano, ha ottenuto l’asilo politico negli Stati Uniti nel 1980, dove tuttora vive.

(Monica Anelli)

 

Dopo la storia di due uomini ne “Il cacciatore di aquiloni”, l’autore torna per raccontarci la vita di due donne accomunate dallo stesso marito e, perciò, prima rivali, poi più sorelle che amiche. È la storia di Mariam, una harami, una bastarda, che crede di sfuggire al suo destino ribellandosi all’esilio in cui è stata confinata, illudendosi di contare qualcosa per il proprio padre, finendo sposa di un vecchio, Rashid, in un villaggio lontano. Come donna e moglie in un Paese in cui la donna non vale nulla, Mariam deve sopportare mille umiliazioni, fra cui anche la disgrazia di non riuscire a portare avanti le proprie gravidanze (la nascita di un figlio sarebbe per lei il riscatto e la possibilità di avere uno scopo per cui vivere). Ed ecco che, nella sua casa, come seconda moglie, arriva Laila, una giovanissima ragazza che per amore si è data al suo uomo morto in combattimento e che per amore del figlio del peccato che porta in grembo accetta di sposare Rashid. Dapprima nemiche e rivali, le due donne, a poco a poco, imparano a fidarsi l’una dell’altra, ad allearsi contro l’uomo che le tiene in pugno; Aziza, la figlia partorita da Laila, diviene per Mariam il figlio tanto atteso e mai giunto. Per amore di Laila, Mariam arriverà ad uccidere Rashid, sarà ammazzata in nome della sharia, ma salverà Laila ed i suoi figli. Questa storia ci fa capire come il nostro destino sia segnato dalla società in cui nasciamo, ma anche come la ribellione sia sempre possibile, come solo attraverso la presa di coscienza degli individui, in questo caso le donne, sia possibile sperare di cambiare la società in cui viviamo, anche attraverso il nostro sacrificio: Laila diverrà insegnante e tornerà nel suo paese per aiutarlo a progredire.

(Gabriella Nasi)

                                                      

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