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NARRATIVA VA-VL
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VM-VZ |
V
Autore: Sebastiano VASSALLI
Titolo: Marco e Mattio
Editore: Einaudi
Anno: 1991 |
Val di Zoldo, Dolomiti Venete. Un luogo bellissimo di
montagne, boschi, acque. Oggi regno del turismo invernale ed estivo, in
tempi ancora recenti i suoi abitanti sono emigrati in tutto il mondo a
vendere gelati. Allora però, siamo a cavallo tra il 1700 e il 1800, questo
paradiso naturale era un luogo di miseria e di stenti. Questa è la storia di
Mattio Lovat, uno dei tanti poveri disgraziati, impazziti per la pellagra,
la malattia di chi si nutriva solo di polenta, uno dei tanti che finivano i
loro giorni nel manicomio di S. Servolo, in un’isola della laguna. Ma Mattio
è anche protagonista e testimone di fatti straordinari, sullo sfondo di
eventi epocali: la fine della Serenissima, l’invasione delle truppe
napoleoniche con le loro astratte promesse di libertà e le loro reali
devastazioni e ruberie, la consegna del Veneto all’impero austriaco. “Co
Venezia comandava/ se disnava, se cenava/ co i franzesi, bona zente/ se
disnava solamente/ co la casa de Lorena/ no se disna né se cena.” La vita di
Mattio incrocia più volte quella di Marco, misteriosa e malvagia
reincarnazione dell’Ebreo Errante o emanazione della sua mente malata,
chissà… Mattio si contrappone a lui nella sua angosciata ossessione di
un’impossibile redenzione di se stesso e del mondo attraverso un estremo e
sconvolgente sacrificio. Due personaggi affascinanti, due “matti” destinati
entrambi ad essere inevitabilmente perdenti.
Vassalli racconta in modo splendido la vita nella valle, i viaggi in zattera
sul Piave verso gli splendori e le miserie di Venezia, la ribellione ingenua
e velleitaria dei montanari che invadono Belluno e terrorizzano i nobili
cantando quello che oggi è un canto da osteria, ma allora era l’inno degli
affamati: “Se el mare fusse de tocio/ e i monti de puenta/ ohi mama che
tociade/ de puenta e bacalà.
(Daniela Borsato) |
Autore: Lucia VASTANO
Titolo: Tutta un’altra musica in casa Buz
Editore: Salani
Anno: 2005 |
La protagonista, Rubina Buz, è una ragazza afghana di
16 anni, nata in un campo profughi in Pakistan. Ed ecco un’altra delle
innumerevoli storie di guerra, miseria, oppressione. Invece no: Lucia
Vastano, inviata di guerra, ci racconta una vicenda ricca di umorismo,
ottimismo e speranza, e riesce a sorprendere e a scardinare i nostri comodi
pregiudizi occidentali.
La famiglia Buz è benestante, Rubina non indossa il burka, frequenta la
scuola, conosce l’inglese, usa il DVD e ha addirittura un suo sito internet.
Nel campo profughi ci vive benissimo e non vuole ritornare a Kabul, dove la
trascina il padre, convinto da un mullah fondamentalista a un velleitario
tentativo di fare il padre-padrone e ad organizzare per le figlie due
matrimoni combinati. Rubina e sua sorella Alia riusciranno con successo ad
opporsi al padre e a sfuggire al destino segnato dalla tradizione, dalla
paura, dall’ignoranza. La storia ha momenti drammatici, ma anche decisamente
comici. Irresistibile la scena in cui le ragazze con la loro astuzia
riescono a mettere in fuga le famiglie degli aspiranti fidanzati. La vicenda
di questa famiglia, sospesa tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro,
tra miseria e tecnologia, dà voce e significato al desiderio del popolo
afghano di reagire, alla voglia di vivere e di ricostruire un paese
distrutto da decenni di guerra. Soprattutto ci consente di vedere oltre i
pigri luoghi comuni, al di là delle donne velate e delle barbe islamiche:
una realtà più complessa, disegnata con simpatia e rispetto.
(Daniela Borsato) |
Genere: Narrativa
Autore: Mariolina VENEZIA
Titolo: Mille anni
che sto qui
Editore: Einaudi
Anno:
2006
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Con Mille anni che sto qui, il suo
il primo romanzo, la scrittrice Mariolina Venezia si è giustamente meritata
il Premio Campiello nel 2007. È la storia, quasi saga, di una famiglia di
Grottole, paese del materano. Le vicende della famiglia Falcone si dipanano
e si intrecciano in un arco di tempo che va dall’Unità d’Italia alla caduta del
muro di Berlino. Attraverso le vite di Francesco, Concetta, Candida, Colino,
Mimmo, Alba e tanti altri ancora, anche il nuovo mondo che avanza e l’antico
che tenta di resistere cercano di intrecciarsi, di coesistere: il corredo da
preparare e i supermercati in cui si trova tutto, lo Stato e il
brigantaggio, le guerre, l’olio e il petrolio, il rame e la plastica, la
fame e le pellicce, le masciare (delle specie di santone a cui i
popolani si rivolgevano per togliere il malocchio) e le levatrici, le
nascite e le morti; ma in realtà nulla sembra mai cambiare in quell’angolo
d’Italia che pare immutato nel tempo, come i suoi sassi. Il libro è scritto
con un linguaggio estremamente coinvolgente, che non può non stupire, capace
di mescolare con maestria dialettalismi, monologhi interiori, discorsi
indiretti liberi. Ottima la scelta del titolo, che non poteva essere più
“indovinato” di così!
(Fanny Grespan) |
Autore: Sandro VERONESI
Titolo: Caos calmo
Editore: Bompiani
Anno: 2006 |
Pietro è un manager televisivo di successo; ha una
compagna, Lara, e una figlia di dieci anni, Claudia. In un giorno d’estate,
mentre lui salva una sconosciuta che sta annegando, Lara muore
improvvisamente.
Da quel momento Pietro prende, prima un po’ casualmente, poi sempre più
convinto, la decisione di passare tutto il suo tempo davanti alla scuola
della figlia. Quella che sembrava una manifestazione un po’ assurda di amore
paterno si rivela suo malgrado essere una mossa vincente, non per Claudia,
come Pietro scoprirà amaramente alla fine, ma per lui. Davanti a quella
scuola, nei giardinetti o nella macchina di Pietro, irrompono i personaggi
del suo passato e del suo presente: tutti portano i loro insostenibili pesi,
tutti rimangono sconcertati davanti alle sue reazioni o non-reazioni. Tutti
si aspettano da lui ciò che non vuole o non sa dare. Un mondo impazzito,
affannato, dolente, che si infrange davanti al suo presunto dolore, alla sua
insopportabile nuova serenità. In realtà forse Pietro non è più forte,
saggio o comprensivo, in realtà anche lui è smarrito di fronte
all’impossibilità di dare il giusto valore al suo lutto, alla sua paternità,
alle sue prospettive di vita e di carriera. Intanto accoglie e conclude in
sé le storie di tante vite che s’intrecciano, si avvicinano e si allontanano
dalla sua. Sarà Claudia, alla fine, con la sua fin troppo matura richiesta
di normalità, a segnare il traguardo di questo suo lungo percorso.
Un libro di molte storie in una, molti personaggi fra il tragico e il
divertente, molte acute osservazioni sulla nostra società, in cui sembra che
l’unico personaggio ad agire veramente sia il protagonista, fermo, ma per
nulla immobile, nel “caos calmo” che gli gira intorno.
(Daniela Borsato) |
Autore: Marko VESOVIC
Titolo: Chiedo scusa se vi parlo di Sarajevo
Editore: Sperling e Kupfer
Anno: 1996 |
Sono passati pochissimi anni eppure forse lo abbiamo già dimenticato, ma è
accaduto appena al di là dell’Adriatico. Un’antica città, colta e civile,
cosmopolita, abitata da genti diverse che avevano vissuto pacificamente
insieme per secoli, la chiesa ortodossa accanto al minareto, è stata
assediata per tre anni, sotto il tiro dei cecchini cetnici, sotto lo sguardo
indifferente dell’Europa e del mondo. Ci faceva comodo liquidare la vicenda
come una faccenda interna alle diverse etnie balcaniche, ignorando
volutamente la volontà del popolo di Sarajevo di continuare a vivere. Marko
Vesovic, docente di estetica, montenegrino di origine, sposato con una donna
croata, sarajevese di adozione, cristiano ortodosso, si è schierato dalla
parte dei musulmani e ha scelto di continuare a vivere nella città
assediata. Ha continuato a scrivere sul quotidiano cittadino i suoi
articoli, preziosa testimonianza di come si possa continuare a vivere con la
fame e la paura, con i bambini fatti a pezzi mentre giocano per strada e
conservare dignità e generosità, ironia e senso dell’umorismo. Ecco come
l’autore spiega perché ha smesso di scrivere poesie:
“Come faccio ad occuparmi di me stesso se sono sovraffollato dagli altri? A
volte mi sembra che dentro di me non ci sia più posto per me stesso. Per me,
io sono importante solo come memorizzatore delle loro storie, dei loro
sguardi terrorizzati, dei loro volti sfigurati dall’orrore, del loro
gesticolare impaurito. Nel corso della guerra ho avuto paura che una granata
dei cetnici potesse sfracellare non me ma tutta una piccola umanità chiusa a
chiave dentro la mia fronte, ronzante come un alveare”.
(Daniela Borsato) |
Autore: Renata VIGANO'
Titolo: L’Agnese va a morire
Editore: Einaudi
Anno: 1949 |
I Tedeschi le avevano ammazzato il
gatto, all’Agnese, e lei aveva deciso di fare lo stesso con loro.
Ammazzarli. O combatterli, a modo suo. Prima ancora, le avevano portato via
il marito, il Palita, e lei sapeva fin troppo bene che non lo avrebbe più
rivisto; ma il marito era un uomo, e che gli uomini fossero deportati era
“normale”… in qualche modo faceva parte dell’assurda legge di una guerra che
un popolo ormai provato dagli stenti aveva accettato con rassegnazione
disperata. Il gatto no. Il gatto era innocente, era libero, non aveva
bandiera, non meritava di morire. Il Tedesco che gliel’aveva ammazzato…
quello sì, meritava di morire. Era bastato un colpo ben assestato sulla
testa per vederlo crollare.
Per gli altri, ci sarebbe voluto un lavoro più lungo e sistematico, che
l’Agnese svolge con cura meticolosa e con l’impegno puntiglioso di una
scolaretta, mettendosi al servizio dei partigiani e facendo la staffetta per
loro, coprendoli, nutrendoli, consolandoli, annullando se stessa in nome
della “causa”. Con eroico spirito di sacrificio, questa umile donna del
popolo, dai modi rudi e semplici ma dal cuore grande, sostiene la Resistenza
nelle valli di Comacchio, trasformate in una palude spettrale dalla cattiva
stagione e dagli allagamenti provocati dai Tedeschi per arginare l’avanzata
degli Alleati. Non le importa del freddo, della fame, dei piedi sempre gonfi
nelle ciabatte scalcagnate: le basta lo sguardo riconoscente di quei ragazzi
che la chiamano “mamma” e che cercano in lei qualche brandello di quella
famiglia che hanno lasciato per andare a combattere. Clinto, il Comandante,
“la Disperata”, Tom… tutti giovanissimi, che potrebbero essere i suoi figli,
e quando ne muore qualcuno, per lei che di figli non ne ha mai avuti, è il
cuore di una madre che si spezza.
E morirà anche lei, l’Agnese, “giustiziata” da una fucilata tedesca, ma non
gliene importerà nulla, che intanto lei lo sapeva che sarebbe andata “a
morire”, e solo così avrebbe raggiunto il suo adorato Palita. Resterà, a
testimoniare la sua azione eroica, un piccolo cumulo di stracci neri
stagliati sul terreno innevato, secondo una tecnica degna dei migliori
Macchiaioli.
Ispirato a una storia vera e redatto in uno stile semplice, piano, veloce,
L’Agnese va a morire è uno dei racconti più limpidi ed edificanti della
Resistenza italiana, scritto da una donna per narrare i fatti di una donna.
(Paola Lerza) |
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